
Nelle giornate silenziose della quarantena il tempo smette di essere importante. Non ci sono impegni, non ci sono appuntamenti, non ci sono nemmeno le persone. La vita da sola non mi dispiace per nulla, forse perché ci ho messo così tanto tempo a guadagnarmela che ora sembra davvero il paradiso. Mi mancano le persone, mi manca il suono di una risata inaspettata, mi manca la luce in fondo agli occhi di uno sguardo diverso, la parola inaspettata a fior di labbra.
Mi manca il contatto fisico. Come una scossa elettrica sulla pelle, come una scarica di adrenalina. Mi drogo di memorie, rivivendo certi ricordi come le repliche dei classici del cinema che passano in tv. Anche io, a tarda notte, un po' in bianco e nero, un po' a colori sbiaditi. Mi ricordo che avevo i capelli corti, cortissimi come non li ho mai avuti in vita mia, e lui diceva che mi stavano bene anche se non mi piacevo. Mi guardavo sempre allo specchio, contorcevo il collo per trovare l'angolo giusto, e c'era sempre qualche linea che non quadrava, qualche ciuffo in piedi contro vento.
Lui sorrideva e mi diceva che non era vero, e che dovevo smetterla. Mi avvicinava alle spalle, cingendomi la vita con le mani, chinandosi a sfiorarmi dietro la nuca. Altissimo lo è sempre stato, robusto quanto io ero fragile, di corpo e spirito in quell'anno maledetto. Lui una roccia, sempre tranquillo, il vento incapace di smuoverlo neanche di un millimetro.
Così è molto più facile baciarti il collo mi ripeteva, e dolcemente iniziava a vincere la mia insicurezza, la mia resistenza e la mia tristezza, con una dolcezza che non avrei mai immaginato nelle sue mani grandi e ruvide.
Io mi donavo a lui con gioia ma senza desiderio, come lontana, distaccata dal mondo da uno strato di nuvole. Lui lavorava al piacere di entrambi senza lamentarsi, accompagnandomi dolcemente e senza irritarsi della mia assenza.
Quella primavera strana di tanti anni fa mi ricorda quella di oggi. Allora solo io stavo male, e ero isolata dal mondo psicologicamente, oggi lo siamo tutti, affrontando una cosa insieme seppur soli coi nostri pensieri.
La sera del suo compleanno mi portò a cena fuori, e io feci un grande sforzo e mi preparai al meglio, mettendo il tubino nero leggerissimo che avevo comprato appositamente e la giacca di Chanel sopra, solo per coprire le spalle. Lui mi guardava e sorrideva. Candele al tavolo, porzioni non esagerate e un po' troppo vino. Aveva un vestito grigio bellissimo ma troppo pesante, era una delle prime serate calde dell'anno e aveva un po' sudato.
Aveva un odore, caratteristico, un uomo troppo attento per farsi cogliere a puzzare, solo sapeva di lui, della sua concentrazione e della sua fatica, e lo sentivo benissimo quando mi stringeva, con il mio naso schiacciato contro il petto gonfio, il bottone della camica che mi premeva sulla guancia.
Tornati a casa sentivo il suo respiro pesante nelle mie orecchie, e le sue mani che avevano perso la consueta gentilezza. La giacca era volata via all'ingresso e mi ero piegata per slacciare le cinghiette dei tacchi quando sentii la sua forza contro di me e capii che non c'era più tempo. Mi posò sul bordo del letto, il tubino ridotto a una fascia, e mi prese con una forza inaspettata.
Mi fece male, ma venni, forte, velocemente, la prima scossa dopo lunghe settimane di calma piatta, e iniziai a piangere.
Prima sommessamente, poi a dirotto, come se fosse crollata la diga delle mie emozioni.
Lui ne restò sorpreso, interrotto, e interdetto, e si allontanò da me, restando in piedi al centro della stanza, lo sguardo triste e il sesso ancora in mano.
Io, con il trucco sfatto e i capelli schiacciati piangevo a dirotto, sdraiata sul bordo del materasso da cui mi aveva fatto quasi cadere con le sue bordate, aggrappata con le unghie al lenzuolo, il vestito arrotolato a stringermi le cosce.
Mi ricordo che gli sorrisi, piangendo sempre, che strana visione che devo essere stata per lui in quel momento, gli dissi no, tranquillo, va tutto bene, è tutto perfetto, e per la prima volta lo pensavo veramente.
Rovesciai la testa all'indietro, oltre il bordo del letto, e la sentii libera e leggera, sospesa sopra il pavimento. Lui torreggiava sopra di me, enorme e svettante, e riavvicinandosi lentamente mi cinse il collo con le mani e mi riempì la bocca spingendo con forza, immergendosi fino a perdere il controllo.
La notte scorsa, in preda all'insonnia ho scalciato via i cuscini dal letto e ho cercato di ritrovare quella stessa posizione, precaria, appoggiata sul bordo, la testa che penzola di fuori, e mi sono toccata inseguendo le memorie.