IRRESISTIBILI!
14 gennaio 2008 ore 23:16 segnala8657562
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Living Darfur
15 novembre 2007 ore 07:45 segnala8367499
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Sciocca favola sull’Amicizia
07 novembre 2007 ore 23:23 segnala
Ci fu un tempo in cui Amicizia andava a braccetto con Amore: erano due innamorati inseparabili, dove andava l’una potevate trovare anche l’altro.
Ma un brutto giorno Amore decise che Amicizia non gli bastava più, sempre così comprensiva, tollerante, spesso mentiva – a buon fine si intende – pur di evitare un dolore a chi la circondava. Amore si invaghì di Passione, una donna bellissima e senza pudori, che sembrava la compagna ideale. Ma non c’era dolcezza in lei, né comprensione: Passione era un’amante esigente che non concedeva né pause né errori.
Dal canto suo Amicizia, priva di Amore, se ne andava in giro sola e triste cercando di sistemare liti, di lenire dolori, di unire persone tra loro sconosciute, abusando della menzogna e dell’ipocrisia, pur di raggiungere i propri scopi.
Un giorno per caso Amicizia e Amore si rincontrarono. Amicizia era molto triste e Amore sembrava stanco e dimagrito. “Mi sei mancato molto in questi mesi” disse Amicizia “non capisco come mai le persone non sembrano più capaci di godere di me pienamente, eppure io faccio in modo che nessuno abbia motivo di essere malcontento o trovi ragioni per litigare!”. “Vedi” rispose Amore “tu vuoi che la gente vada d’accordo ad ogni costo e pur di ottenere tale risultato, sei disposta a mentire, a falsificare i sentimenti… questi giorni con Passione mi hanno insegnato molto: lei è spontanea, carnale, esigente, ti accende come un fuoco dentro, eppure… non so, anche di lei qualcosa non mi piace: è egoista, esclusivista e non si preoccupa delle sofferenze altrui”. “Io credo” continuò Amore “che non sia possibile per me avere un’unica amante. Io credo, di avere bisogno sia di te, Amicizia, che di Passione e credo, che anche voi abbiate bisogno di me”.
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Ci fu un tempo in cui Amicizia andava a braccetto con Amore: erano due innamorati inseparabili, dove andava l’una potevate trovare anche l’altro.
Ma un brutto giorno Amore decise che Amicizia non gli bastava più, sempre così comprensiva, tollerante, spesso mentiva – a buon fine si intende – pur di...
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07/11/2007 23:23:59
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"Tu sei
02 novembre 2007 ore 14:27 segnaladentro una vertigine che danza
e ci porta al di là del tempo
fino a ritornare sulle labbra
l'incanto è lo stesso
perchè niente è cambiato
anche se tutto è diverso"
C. Donà
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Autunno a colori
13 ottobre 2007 ore 18:46 segnala
Oggi il cielo è perfetto. Perfette le cime, perfette le tonalità delle foglie, perfetto il verde, perfetta anche la polvere delle strade, che odorano di mais. Occhi, orecchi, naso, labbra, polmoni, cuore sembrano sciogliersi nella stessa acqua, nello stesso liquido, che scivola sulla pelle e la impregna del suo profumo. Ti fermi ad ascoltare e sai che non potresti essere più felice di così, qui, ora, e mai più. Perché un giorno sarai ancora felice, forse in grado maggiore, ma non alla stessa maniera. Pensi allora, che per tanto bene, potresti anche barattare cuore e polmoni, perché tu hai avuto la tua parte e qualcuno sembra non poterne avere nemmeno la metà.
Ci sono decisioni che noi possiamo prendere. Noi possiamo fare delle scelte. Incredibile privilegio a cui si pensa poco.
C’è chi, invece, passa la vita intera a dipendere dalle decisioni altrui: chissà se sia meglio un polmone nuovo o un brandello di respiro attaccato al torace.
E. ama i bambini.
A. vuole dei figli.
E. è attaccata ad una macchina, oggi, ed A. pensa che ormai il suo tempo sia scaduto. E quando non puoi nemmeno afferrarti alla speranza, ti guardi bene dal far progetti per il futuro.
Noi possiamo fare progetti per il futuro. Noi possiamo decidere che stasera non ci va di uscire. Usciremo domani.
Mi faccio rabbia, perché nonostante ciò che ti sta accadendo, non posso fare a meno di essere felice, qui, ora e forse mai più.
Buona fortuna E.
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Se il dito indica il cielo...
25 settembre 2007 ore 13:30 segnala
l'imbecille guarda il dito!:-)))
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Malinconia del futuribile
23 settembre 2007 ore 09:11 segnala
È così bello quando qualcosa comincia, talmente bello che non puoi fare a meno di dare una sbirciata oltre. Giusto una sbirciatina, nulla di più, ma tanto basta. Qualcosa improvvisamente dentro si incrina, non è che una piccola breccia, ma come quando si scheggia un unghia, sai che la soluzione presto sarà una sola. C’è chi passa la vita a passare, giustificando le proprie fughe nei modi più fantasiosi, e chi invece, trascorre il tempo ad evitare di dover fuggire. Ma talvolta non è possibile e quello che un tempo mi rese ubriaca di gioia, cacciato dalla porta a fatica, bussa alla finestra con insistenza. Ed è necessario rispondere, non ne puoi fare a meno e mentre tu conosci la forza della tua debolezza, cominci a prendere le misure della debolezza della forza altrui. Qualcuno lo definisce il vizio di pensare troppo, io la chiamo banale paura del dolore. Non del proprio dolore, troppo semplice, troppo calcolabile, facilmente superabile, ma di quello altrui. Talvolta si scambiano le persone per ciò che non sono, con me accade spesso, che la gente si confonda. C’è chi mi imputa spalle gigantesche e volontà di ferro, chi la delicatezza di un fiore e la fragilità di un cristallo. Sono una donna, e non c’è molto altro da dire. Ma molti pensano, che già questo sia più che sufficiente. E lo credo anch’io.
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Legno e raso
20 settembre 2007 ore 23:43 segnala
Gli occhi dentro una vetrina ed un suono sommesso di pianoforte, strimpellato in modo mediocre. Una scala in finto velluto, su cubi di cartone e le tende pesanti a cadere dietro la sbarra rosa. Ordini che non ammettono discussione, silenzio di voci e strisciare di piedi. Un bastone ritmicamente batte sul pavimento della sala ed ogni luce, ogni schiena, ogni braccio, ogni gamba tesa si riflettono negli specchi. C’è un buffo topo gigante, vestito con un tutù rosa, accasciato in una vecchia poltrona senza molle, mentre le dita dell’anziana pianista hanno smesso di pestare sui tasti.
La giovane insegnante ha i capelli di un finto biondo, che trascina in palestra ancora avvolti nei bigodini, e guida una macchina con cui spesso, dimentica di guardare di fronte a sé, supera semafori rossi. Quindici anni in Accademia, quindici anni e una carriera stroncata per una sciocchezza alla schiena. Non restava che fare, ciò che molti prima di lei avevano già fatto: aprire una scuola.
Lo spazio è poco, ma l’edificio è in centro: lei è la prima e con il tempo diverrà la migliore insegnante della città.
Capelli cortissimi, scuri, calzamaglia di lana e maglietta dolcevita. Ha solo sette anni. Mica lo sa lei, che per presentarsi alla lezione, ci vogliono le calze rosa, il body nero, le scarpette in pelle con l’elastico (perché i nastrini non tengono!). La prima volta viene per tutti, ma la sua mamma non l’ha accompagnata, non ha parlato con la “maestra Giovanna” portandole i fiori, non ha acquistato tutto il necessario al negozio accanto. Lei c’è venuta col nonno e l’autobus, tutta colpa della compagna di classe che, terminato l’anno, aveva deciso che preferiva il pianoforte alla danza. Lei invece, aveva capito subito che quello era il suo posto, dalla prima volta che aveva solcato la porta della sala d’aspetto, per assistere allo spettacolo di bambine capaci - alla sua stessa età – di alzare le gambe quasi alla testa e porgere le mani con una grazia e una semplicità, comune solo agli angeli.
Nulla di tutto ciò le era appartenuto fino ad allora, e nulla di tutto ciò sarebbe stato per sempre nella sua vita, ma questo non poteva saperlo. Era ancora il sogno vivo di una bambina.
Ci sono cose che non si dimenticano e anche se gli anni passano, le impressioni si imprimono nell’animo a fuoco. Ci si illude di predestinazioni, gli altri spesso sono più illusi di noi. Ma quando insorge la coscienza adulta, sembra venga a mancare il coraggio per lottare ancora e si accetta di percorrere altre strade.
Ci sono teatri nuovi e modernissimi, con meravigliosi camerini e fantastiche sale spaziose dalle ampie e comode poltrone. Ma un vecchio teatro, con le sue sedie in prima fila, i palchetti laterali - dai quali non vedi quasi nulla, eppure si riservano ad illustri personaggi – e gli stucchi barocchi sul soffitto, non si scorda, soprattutto se è stato il teatro del tuo primo saggio.
La cosa fantastica delle vecchie strutture, per chi non siede in platea ma sta dietro le quinte, è il sottopalco. Un luogo nascosto agli sguardi indiscreti, dove stanno i macchinari di scena; un mondo parallelo, dove ci facevano attendere, cercando di far tacere, con musi severi, le nostre risatine ed i gridolini eccitati di bambine. Là inizia tutto, là inizia la passione, l’ammirazione, la magia, ed il tremore alle gambe quando infine è il tuo turno. E poi la musica comincia, non vedi nulla, non senti nulla e le luci sparate ti abbagliano. Non pensi al fatto che potresti sbagliare, ci hai già pensato prima e ci penserai dopo, pensi solo che tutto finirà molto, troppo in fretta. A sette anni nessuno ti ha ancora spiegato che c’entra l’adrenalina. Invece ti convinci che lo spettacolo è solamente una grande festa.
Le vere soddisfazioni verranno più tardi e insieme ad esse anche le lacrime. La soddisfazione di capire che chi ti guarda non comprende la fatica, quella la conosci solo tu. Una ballerina sorride, sempre: non importa quanto costi un salto, non importa se il giro è imperfetto, non importa se sanguinano i piedi. Tu stai sul palco perché gli altri credano di vederti volare, con grazia, semplicità e gioia.
Quell’anno si ballava lo Schiaccianoci.
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Notte
15 settembre 2007 ore 21:46 segnala
E spegni la luce, ancora una volta, chiudi gli occhi e ti raggomitoli sotto le coperte in posizione fetale, come da bambina.
Non vuoi girarti, non puoi girarti
i piedi sono freddi, come il sangue avesse deciso di smettere di circolare.
Il cuore batte più veloce, meno veloce, un rumore assordante muove le coperte e scuote il letto.
Il pavimento scricchiola, scricchiolano le assi del tetto
più forte, meno forte, con insistenza.
E accendi la luce, ti guardi intorno, ogni cosa è là al proprio posto
senza respiri, senza vita.
Ancora una volta, lato destro, lato sinistro, il tempo non ha tregua
le una, le una e dodici
le una e trentuno.
I rumori più acuti, meno acuti, striscianti sul suolo e un senso di agghiacciante vicinanza.
Ragioni del tuo cuore, che non vuol smettere di battere all’impazzata e infine decidi
di alzare il velo alle tue paure.
Spalanchi porta e finestre, l’aria è fresca, anzi è fredda, ma tutto ora ha nuovamente un aspetto normale.
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E spegni la luce, ancora una volta, chiudi gli occhi e ti raggomitoli sotto le coperte in posizione fetale, come da bambina.
Non vuoi girarti, non puoi girarti
i piedi sono freddi, come il sangue avesse deciso di smettere di circolare.
Il cuore batte più veloce, meno veloce, un rumore assordante...
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15/09/2007 21:46:59
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You can call me Al
08 settembre 2007 ore 21:18 segnala
Suggestioni e ancora suggestioni...:-))
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