IL BACIO A VENEZIA
26 agosto 2007 ore 10:20 segnala
Niente di essenziale.
In realtà quel che segue è frutto solamente di una catena di ricordi che si inseguono: ieri il post su Lotto, oggi una vecchia immagine quasi sepolta, che talvolta torna alla memoria.
Ogni anno, a Carnevale, medito sulla possibilità di salire sul trenino della Valsugana ed affrontare il viaggio di tre ore che ancor oggi ci vogliono, per giungere alla stazione di S. Lucia.
Qualche anno fa lo feci e rimasi perplessa ad osservare la calca dei turisti, che tutti in borghese come me, si ammucchiavano attorno alle poche ed elegantissime maschere, per strappare l’ennesimo scatto.
Un giorno buttato, in cui Venezia sembrava poco più che un gomitolo di tubi intasati, senza poter camminare, senza poter respirare, senza nemmeno poter alzare gli occhi sui palazzi, concentrata nel non farmi inghiottire!
Povera Venezia, malata certamente, malata come scrive Mann, e non per colpa del colera…la amo di un amore insensato, forse perché anch’io veneta, e la rimpiango, quando lasciandola tiro un sospiro di sollievo.
Eppure vi fu un giorno in cui la Serenissima mi si presentò così, come doveva essere apparsa ai viaggiatori del secolo dei lumi, quando - già in piena decadenza - essa emanava ancora lo splendore e l’opulenza di una vecchia, nobile signora imbellettata e ingioiellata, stretta a forza nel più feroce dei corsetti.
Era febbraio, era freddo, era notte ed io, appena dodicenne, tremavo nel mio vestito da damina (quanto avevo pestato i piedi per quel vestito!) proprio nel centro di piazza S. Marco. Lo ricordo ancora quell’abito: di raso viola, un nastro nero in vita, le scarpe da neve nascoste sotto le balze, l’ombrellino ed una piccola borsa a sacchetto che si chiudeva con le corde.
Le finestre dei palazzi erano tutte accese, sul lato opposto alla basilica un grande palco e pericolosamente appeso sopra di esso, quasi sospeso nel nulla, un enorme lampadario che a metà nottata sarebbe caduto. La folla era gigantesca e non era umana: da ogni pertugio, da ogni calle, da ogni gondola, maschere senza volto si riversavano nella piazza.
Spalancai la bocca, gli occhi brillanti: improvvisamente il palco si era animato! Un gruppo di circensi a piedi scalzi, avvolti in tute bianche e fasce multicolori, stavano volteggiando sospesi in aria, tra cavi d’acciaio e trapezi. E quasi non contenta dell’illuminazione elettrica - sparata in ogni dove a rendere ancora più oscuri gli angoli dei vicoli - la notte si accese del bianco della neve.
Ed in mezzo a tutto ciò – io non so se al destino si debba credere o piuttosto sia preferibile prendere con la debita ironia le proprie primitive suggestioni – vidi qualcosa che allora mi commosse profondamente: una gigantesca ed animata riproduzione del Bacio di Klimt.
Tutto qui…
un volto femminile abbandonato alla stretta di due mani esigenti, un’espressione di resa incondizionata e beata a tutto quanto è già stato e dovrà ancora accadere.
L’opera della mia anima.
PS. So che qualcuno, giunto al termine del post, sarà rimasto un po’ deluso, forse perché il titolo avrebbe fatto presagire altro… nel qual caso, mi scuso.:-)))
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Niente di essenziale.
In realtà quel che segue è frutto solamente di una catena di ricordi che si inseguono: ieri il post su Lotto, oggi una vecchia immagine quasi sepolta, che talvolta torna alla memoria.
Ogni anno, a Carnevale, medito sulla possibilità di salire sul trenino della Valsugana ed...
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26/08/2007 10:20:59
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Commenti
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Ack13 27 agosto 2007 ore 15:25
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Sinda 28 agosto 2007 ore 22:54
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poeta27 30 agosto 2007 ore 08:54
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vogliadiallegria 30 agosto 2007 ore 10:09
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