La favola della torre
08 agosto 2007 ore 19:03 segnala
La favola della torre.
Ci fu un tempo in cui le nuvole si ingrossavano all’orizzonte e le cime degli abeti bianchi sfioravano le modanature delle finestre.
Ci fu un tempo in cui i signori viaggiavano a cavallo e la plebe calcava la strada bagnata con gli zoccoli coperti di fango.
In quel tempo visse un vescovo, che era anche un principe, in quel tempo visse un principe, che talvolta sapeva di dover celebrare una messa.
E c’era una corte, attorno a quel principe, e c’erano un capitolo, un imperatore e un capitano, a reggere le sorti di un impero, vasto come è vasto il mondo.
Un giorno dei villani, che morivano di noia nei loro cenci sdruciti ed unti, nei loro zoccoli polverosi, nelle loro brache lente, decisero di ammazzare il tempo e per riuscirvi meglio, poiché il tempo fugge, rubarono del pane dalle scorte vescovili.
Gente ingrata, senza arte né parte, gente inutile ed ignorante, osava profittare del cibo che iddio aveva riservato al Loro Signore, quasi che il bene compiuto per le loro anime dal vescovo principe, dal principe vescovo, non contasse.
Poiché in quel tempo vigeva la Giustizia e la Giustizia, come ben si sa, giudica e punisce, essa ricadde, con tutto il peso della sua bilancia e della sua spada, sulla testa dei due malfattori.
Le catene ai polsi e alle caviglie stridevano sul pavimento lastricato, mentre la luce, che notoriamente illumina il Giusto, penetrava appena dalle feritoie e si soffermava sul volto del vescovo.
“Perché avete rubato? Perché proprio a me, che sono per voi come un Padre? Non vi bastavano i giochi, non vi bastavano le fiere, non vi bastavano le impiccagioni, alle quali sempre vi concedo di partecipare? Che ne fate mai di ciò che coltivate nei miei campi, non ci sfamate forse i vostri figli, le vostre mogli e voi stessi? Che ne sapete voi del mio pane? Che ne sapete voi di come è fatto, di quali farine contiene, di quanto tempo ci vuole a macinarle? Pensate forse che si diano le perle ai porci? Credete forse che non vi veda, che non veda con quale bramosia voi villani fissate l’eleganza delle vesti mie e della mia corte? Pensate forse di averne il diritto?!”
“Mio Signore” rispose allora uno dei due malcapitati, quello a cui non era ancora stata strappata la lingua “Noi rubammo il Vostro pane perché non potemmo farne a meno. Era così bianco e soffice, profumava di forno e di campi. No, noi non sappiamo leggere libri e non sappiamo scrivere, perciò se anche solo provassimo ad immaginare la morbidezza delle Vostre sete, faremmo peccato. Ed è tuttavia altrettanto vero che talvolta Voi ci venite a trovare. Che passeggiate tra le nostre case e scrutate dalle nostre finestre. Che carezzate la testa ai nostri bambini e guardate con cupidigia le nostre figlie. E la notte, venite spesso a spiarci dalle finestre, mentre amoreggiamo con le nostre donne. Perché tutto questo interessi ad un vescovo, io non lo capisco, ma il pane bianco, quello sì è una ragione per cui sarei disposto a morire”.
“Tu lo hai detto”, rispose il vescovo e finito che fu il processo li fece rinchiudere nella torre.
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La favola della torre.
Ci fu un tempo in cui le nuvole si ingrossavano all’orizzonte e le cime degli abeti bianchi sfioravano le modanature delle finestre.
Ci fu un tempo in cui i signori viaggiavano a cavallo e la plebe calcava la strada bagnata con gli zoccoli coperti di fango.
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