La menade danzante

31 agosto 2007 ore 15:41 segnala
A fine ottobre il vento rombava attorno alla prua dell’isola, facendo tremare le vetrate della grande cupola. La Spree era gonfia e torbida: i battelli non si sarebbero mossi per quel giorno.

I visitatori stavano dando l’assalto alle collezioni e c’era da stupirsi che le gradinate del Pergamon non si sciogliessero sotto le suole insistenti di chi ogni minuto, ogni secondo, saliva e scendeva.

I custodi all’entrata mostravano sintomi da assideramento, all’interno non sembrava più possibile controllare le folle.

“Buongiorno, può mostrarmi il biglietto, grazie e buona visita” e in tutto quel caos ci mancavano solo i volti sempre nuovi dei praticanti, che gironzolavano da una sala all’altra senza nemmeno presentare il cartellino di riconoscimento.

La caffetteria era stata presa d’assalto, fette di dolce, latte macchiati, “espressi” lunghi come la fame, e i muffin cioccolato e cannella che dovevano assolutamente giungere sulla scrivania del direttore, Herr Doktor E., e della sua segretaria personale.

I conservatori erano in fibrillazione: nuova apertura, nuovo allestimento, nuovo personale e il terrore per le ormai prossime inaugurazioni ufficiali, una delle quali riservata alla KFMV, ossia alle alte sfere di politica e finanza.

Herr Doktor K., occhiali dalla montatura sottile, labbra serrate in un sorriso di convenzione e mani femminili su cui risaltava splendente la fede nuziale, infilò per la centesima volta la scala di servizio e si precipitò nella grande e luminosa sala barocca.  Doveva assolutamente appurare se davvero il satiro del Bernini e la Diana del Cametti fossero nella posizione ottimale. In quel momento desiderò avere accanto la sua bella ed elegantissima moglie, ma meditò sul fatto che, pur considerandoli più una scocciatura diplomatica che un vero aiuto, in questo caso avrebbe fatto meglio a rivolgersi ai praticanti.

Dei suoi colleghi aveva già abusato e non intendeva sentire su di sé nuovamente lo sguardo ironico e compassionevole del capo restauratore, Herr B., il quale lo avrebbe certamente consigliato volentieri, ma avrebbe anche dimostrato che lui, pur conservatore, non aveva la sicurezza di prendere in autonomia alcuna decisione. Ah l’ambizione…

Due ragazze, tra il sorpreso e l’incuriosito, entrarono nella sala su invito dello stesso Herr Doktor K.. Molto diverse tra loro - se non altro perché l’una, piccola e rossa di capelli, mostrava chiari tratti teutonici, l’altra, mora ed alta, era chiaramente straniera - C. ed E. aspettarono che il curatore svelasse loro la ragione di tanta premura.

Qualcosa non funzionava in quella sala – nella concitazione di spiegare tutto l’uomo stava utilizzando uno strano miscuglio di lingue – “per la luce, das Licht… deswegen…”, da un lato la ferrovia della S-Bahn dall’altra il cortile centrale di quella complessa architettura che è l’ex KFM. Il suo vero cruccio era la Tänzerin, che l’italiana fissò con ammirazione ma anche con un po’ di fastidio e - basta con questo Canova per Dio! – pensò, mentre il suo sguardo si rivolgeva finalmente con passione a Puget, francese di nascita ma genovese d’adozione, che ammiccava, in castigo dalla parete di fondo, con i suoi putti dalle carni morbide come il burro.

In realtà tutto si risolse in nulla: Herr Doktor K. si sentì rincuorato dal proprio personale sfogo sulle problematiche dell’illuminazione, decise da solo che era cosa cui non si poteva mettere rimedio, e congedò le due “assistenti” con un “Danke, e naturalmente siete invitate all’inaugurazione”. Ognuna tornò quindi ai propri compiti, che si svolgevano dietro le quinte del museo, tra gli uffici e la biblioteca.

La grande serata - in nome della quale si era deciso di rivestire il pavimento marmoreo della Basilika con un enorme tappeto rosso, da buttare nell’immondizia il giorno seguente – fu esattamente come tutte le grandi prime: una noia mortale. Tavolini rivestiti da tovaglie salmone, salatini e olive, calici colmi di “Secco” e l’orchestra.

E. si guardò allo specchio poco convinta e capì che la camicetta azzurra da scolara e i pantaloni gessati, non le avrebbero permesso di confondersi nella folla degli invitati. Pensò sorridendo che avrebbe potuto aiutare a servire ai tavoli, nulla di nuovo infondo.

Entrò dal retro, anche quella sera, felice di incrociare nuovamente lo sguardo generoso e comprensivo dell’uomo in guardiola: la sua aria familiare, il linguaggio semplice, l’attenzione che metteva come pochi altri nel farsi capire scandendo chiaramente le parole, avevano innescato una spontanea simpatia tra il berlinese e la straniera. La ragazza non avrebbe mai scordato quel volto pulito di padre orgoglioso, che talvolta si attardava a raccontarle della famiglia e dei figli, lamentando con ironia la fatica dei turni di notte.

Spalancata la pesante porta che divideva gli uffici dalle sale, scorse frettolosamente le severe copie da Van Eyck di Coxie, la scala rotonda della piccola cupola guardata a vista da Venere e Mercurio di Pigalle, la lunga navata della Basilika con le trascurate e indigeste robbiane e infine, la grande cupola e la sua gigantesca statua equestre.

Le scale apparivano animate, più e meglio che nel XIX secolo, da sciami di bellissime ed elegantissime signore, avvolte nei loro abiti firmati Valentino e affiancate da vetusti ed illustri signori, pubblicamente celebri per nomi e titoli.

“Che ci faccio qui!” fu un pensiero quasi automatico, la solitudine la prese alla gola, oppressiva, pesante; E. cercò con lo sguardo la testa mascolina dell’altissima archeologa, Frau Doktorin M., e comprese immediatamente che la simpatica e coltissima studiosa non si sarebbe presentata ad una serata che considerava barbosa, quanto e più di lei.

Smarrita si guardò intorno, pur sapendo che era solo all’inizio, e per un attimo desiderò non essere mai partita; incrociò lo sguardo duro e supponente di C., la Volontärin dalle labbra sottili, e prese la sua decisione: risalì le scale, salutato con un sorriso il putto in terracotta invetriata sempre intento a fare la pipì e si immerse con gratitudine nella profonda notte della città.

Hackescher Markt la accolse infine con le sue luci, i locali animati dalla gente comune, gli artisti da strada e i venditori di Bratwurst e tra la folla che applaudiva, una giovane ballerina dai piedi nudi e sporchi, che faceva ruotare le torce infuocate attorno ai fianchi, al ritmo di una musica ingenua quanto atavica. Pensai ad una menade danzante.

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A fine ottobre il vento rombava attorno alla prua dell’isola, facendo tremare le vetrate della grande cupola. La Spree era gonfia e torbida: i battelli non si sarebbero mossi per quel giorno. I visitatori stavano dando l’assalto alle collezioni e c’era da stupirsi che le gradinate del Pergamon non...
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31/08/2007 15:41:59
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Commenti

  1. chiaraoscura 31 agosto 2007 ore 20:07
    ... bello il modo in cui hai trasmesso l' "atmosfera", che è fondamentale per un'opera: dare un'immagine al lettore e avvolgerlo con un' atmosfera (altro termine non mi viene)... Buona serata. E mi auguro di leggerti ancora presto...
  2. Ack13 31 agosto 2007 ore 23:58
    Bello... sembra un quadro... atmosfera che si respira... Io nelle cosine che scrivo ho sempre in mente una storia (quando va bene) o addirittura una qualche morale... mi piace invece leggere degli scorci di racconto senza obiettivo apparente...
  3. luruiz 01 settembre 2007 ore 11:09
    sono qui per augurarti una buona giornata ed un bellissimo week-end, oggi giornata stupenda, un sole bellissimo anche se l'aria un pò frizzantina.. ciao
  4. OdioLeIpocrisie 05 settembre 2007 ore 18:25
    No comment.
  5. Sinda 05 settembre 2007 ore 18:33
    :-)))

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