Il Sogno

03 luglio 2008 ore 11:59 segnala
Premessa

Questo scritto non è un libro.

Non è un romanzo.

Non è un racconto.

Non è un diario.

Non è un trattato.

Non è una pubblicazione scientifica.

Non è un esercizio di stile.

Non è niente!

Ma non è un insieme di frasi slegate, anche se può apparire un guazzabuglio di malesseri, ansie, sentimenti, gioie, scherzi  e notti insonni.

E’ un lavoro che non avrebbe dovuto essere scritto e, forse,  non varrebbe la pena d’esser letto.

Proprio come la vita di chi l’ha scritto.

O forse no!

Forse è un inno alla libertà di desiderare, vivere e morire, soffrire e gioire… comunque essere.

Chi lo leggerà se ne farà un’idea.                                           

Io non ci sono ancora riuscito.      

Io

 

Sono le 2,30!

 

Sono le 2,30. Non c’è bisogno di guardare l’orologio.

   Come tutte le notti, con un forte fragore, il sonno s’infrange contro l’orologio che segna il ritmo della sua vita: gli occhi si aprono, il sogno si disperde, la Bestia si sveglia; l’odore del mare, lontano ed inavvertibile a chiunque altro, a Lui arriva chiaro, fresco e pungente.

   Spera che domi la Bestia, ricordandole l’odore del sacco amniotico, il calore del ventre materno. Ma la Bestia, nera, felina, con denti bianchi e forti, artigli potenti e taglienti, zampe vigorose e scattanti, schiena inarcata e pronta a scattare, è un essere indomabile; si dibatte, gira sempre in tondo, osserva la stanza buia,  Lui e Lei che dormono, il loro bambino che, nella stanza accanto, sogna beato, ed infine, con un balzo, come ogni notte, entra nel corpo di Lui e con quel corpo saluta i fantasmi della notte.

   La Bestia, senza nome ne specie, è più forte di tutto, dei farmaci, della stanchezza, della lucida determinazione di Lui a dormire e guarire.

   Al buio lo spinge in cucina, lo guida all’interruttore della luce, all’acqua fresca nel frigo, alle sigarette posate sul tavolo.  

Lo costringe a sedere, gli  fa accendere una sigaretta.

Gli fa aspirare boccate piene, saporite, calde.

Lui si sente sveglio.

   Crede che dormire sia un errore, un colposo spreco di tempo, una  brutta abitudine; forse è un messaggio della Bestia: gli dice che è brutto dormire con sua moglie. La sua dolce, bella, paziente, innamorata moglie, che profuma di fiori e di fresco e che mentre dorme, incosciente, sorride. Lei non ha paura della Bestia; non la conosce; conosce il coraggio e la forza di Lui, si lascia trasportare dagli eventi della vita e  sottovaluta il pericolo incombente della trama che la Bestia sta ordendo.

   Lui, dal canto suo,  la Bestia la combatte con tutte le sue energie, in ogni  momento, giungendo alla sera ormai spossato, privo di ogni volontà di sorridere, di gioire dell’amore della moglie, dell’affetto del figlio.

   E dopo cena va a letto e, nel sogno, cerca ristoro, riposo e gratificazione; sogna ciò che vorrebbe e non è.                

   Nel sogno che spera lo aiuti a ritessere la tela della sua vita.

   Ed anche in quel momento la Bestia si dibatte, gira in tondo, tesse ed ordisce.

   Se Lui fa un bel sogno, costruito come una bella tela tessuta con l’infinita pazienza del ragno, la Bestia, novella Penelope che non attende Ulisse e ne anela il non ritorno, subito stesse la tela ed il sogno..

 

Sono le 2,45!

 

   La nuova medicina sembra perfetta! Non gli concede alcuna possibilità di lucida autonomia, e gli chiude gli occhi ripetutamente, lo fa barcollare, gli provoca capogiri. Deve tornare a dormire. La temperatura è fredda ed il caldo letto dove giace la moglie lo invita; Lei no; Lei dorme, sorride e non invita; lo ritiene non necesario. Lui può prenderla quando vuole; può sussurrarle parole dolci, toccarla, baciarla, certo che Lei risponderà immediatamente ai suoi inviti. Anche se è più esatto dire che “non opporrà resistenza”; Lui si ribella; vorrebbe che Lei gli dicesse “sei il mio eroe” oppure “il tuo corpo sodo e forte mi fa vibrare” o ancora “ti voglio, prendimi”; ed invece tutto si riduce ad amplessi che nulla hanno di forte, vibrante, appagante, di passionale, animalesco, vivo,  diverso ogni volta. Sono tanti anni che parlandone con Lei si lagna di questo lasciarsi vivere; Lei gli sorride quasi maternamente come se Lui fosse un bambino pazzerello che desidera troppe caramelle. Invece è uomo adulto, vivo e forte; forte perché non ha mai ceduto alle cose che vorrebbe gli dicesse Lei, e che qualcun altro gli ha già dette; e spesso; ragazze e donne mature, attratte dal suo essere vivo, allegro, propositivo, sboccato; e Lui come Don Qjiote, dalla groppa di Ronzinante incomincia a sproloquiare con le attonite “Dulcinee” di turno, sulla sacra inviolabilità dell’amore coniugale, e sull’impossibilità, imposta da Dio e dal giuramento, di cedere alla passione con altri se non con Lei. E Loro, quelle che chi più o chi meno possiedono la passione, l’esperienza, gli stimoli per farlo vivere e vibrare nel corpo e nella mente, immediatamente lasciano cadere la cosa rassegnandosi ad aver davanti un “seminatore esperto” che non sa fare il “contadino” e lascia marcire il frutto che è ancor legato alle radici che l’hanno fatto nascere, nutrito e crescere.

   Perso in questi pensieri comincia a sognare.

   E’ un bel sogno, nel quale è l’uomo che vorrebbe essere; sogna di essere Simbad il marinaio, giocoso e spavaldo, esperto d’ogni porto, amato da tutti e legato a nessuno, felice ogni volta che pone il piede sulla terraferma, sempre entusiasta di riprendere il viaggio.

   La Bestia, attenta e ferina si accorge di quel sogno e decidendo d’interromperlo, si mette in caccia; con piccoli potenti movimenti delle zampe posteriori inarca la schiena, rizza la coda, apre le fauci, prima emette un sommesso mormorio, e con un balzo ruggente ghermisce la barra di governo della barca del suo sogno, traghettandolo soddisfatta e scodinzolante, verso un’altra visione; la barra gronda copioso caldo e rosso sangue; anche Lui è sanguinante; ha un profondo squarcio alla spalla destra; non è più l’uomo forte, coraggioso, felice, appagato: è un uomo oppresso da se stesso, piangente di dolore, incapace di alzarsi in piedi, di gioire di ciò che è e di ciò che ha; di tutto quello che ha costruito.

   La Bestia sà uccidere Simbad.

   Lui non perde la speranza: continuando a sognare potrebbe diventare Achille, Paride, il Conte di Montecristo,  Alessandro Magno, Napoleone, Buffalo Bill.

   Guarda se stesso, come se fosse sospeso in aria, fuori dal suo corpo e vede un omone enorme, oltre il metro ed ottanta, 100 chili di peso ed un abito nero e lungo. È un prete! E’ Lui!? No! È Don Abbondio.

   No! È Lui che è Don Abbondio!

   Sì, proprio Lui: quell’esemplare d’uomo scelto dal Manzoni per rappresentare le più abbiette inclinazioni umane alla menzogna, alla vigliaccheria, al pressappochismo, e per essere additato quale esempio di turpitudine ai milioni di giovani che studiano, senza alcun entusiasmo e spirito critico, il più bello dei romanzi, che nelle mani di insegnanti insipienti diventa l’antesignana delle peggiori “soap opera”: i Promessi Sposi.  

   Il panico incomincia ad “entrare in circolo” come un lento veleno che gli attacca il sangue, gli toglie l’ossigeno, gli stringe la gola, gli fa mancare l’aria.

   Si consola. Almeno nel sogno può fare ciò che vuole (Bestia permettendo); decide, allora di trasformare il comasco Don Abbondio nel più casereccio Patri ‘BBondiu. Decide anche di farlo parlare siciliano: sissignuri, pinsari e parrari sicilianu; accussì u sognu, addiventa chiù “facili”, s’addipana ‘non a Como ma a Pergusa. E di ddocu[1], è facili fallu caminari trazzeri trazzeri[2], e purtari Patri ‘BBondiu dunni voli Lui ( pi strati interpoderali, comunali, provinciali, regionali, statali, autostrade - e si c’acchiappa la fantasia - puri pi la vecchia “militari” )  

   Dunni lu voli purtari? U parrinu havi assai ca si catamia a tratti leggiu leggiu, a tratti faticannu, sbuffannnu, mpricannu, pi tutti sti strati e stratuna; nun si vidinu cchiù né acqua, né varchi, né piscatori.

Certu, si nun c’è acqua, allura nunc’è cchiù é lagu (e nun si vidi mancu u mari). Si vidi ca Patri ‘BBondiu avi assai ca si catamia pi stratuni internati (a diri u veru su strati di campagna, sfaltati mali, tutti pruvulazzu); moddu moddu[3], si strinci u pastranu[4], cu li pedi cavucija li pitruzzi, fischittunia, sputazzia a destra e a mancina e teni l’indici d’intra un breviariu, ca nun ha liggiutu mai: mancu du righi filati! Ma c’è costrittu: u teni pi fari tiatru; si quarcunu, passannu, u talia, iddu, isannu l’occhi, a testa e u vucchiularu[5] (si pirchì è grossu comu un porcu di scannu) ricangia a taliata; si duna u tonu c’apparteni a l’omini ‘umpurtanti comi a iddu; pifforza! Allura fa finta di leggiri u breviariu; o comunque fa finta di sapiri leggiri; nuddu lu sapi, ne mai s’addunatu ca jddu è nalfabeta; nalfabeta comu un sceccu carzaratu; comu na crapa di muntagna; comu un mulu di stagnaru! Però, di la parti sò havi na memoria d’elifanti; tu ci dici na cosa oggi, e tra cent’anni iddu ta ripiti intifica, tali e quali. Puri cu la stessa parrata di cu ci l’ha dittu – comi si fussi un imitaturi da tilivisioni; è accussi, a picca a picca, havia jutu avanti; havia statu noviziu e pò diacunu; pò havia pigghiatu i voti ( s’arricurdava: puvirtà, ‘bbidienza, castità…e l’avutri boni boni no!) havia addivintatu assistenti di un parrinu vecchiu, poi vice parroco di una parrocchia nanticchia[6] spirdutedda, e ora parroco della bella parrocchia di Roccaspinata, anime tremila, sinnacu ‘mbriacuni e latru, marisciallu seriu, baffutu e sufficientimenti carrabineri,  e territori parrocchiali squasi pari a setti feudi baronali; ‘nsomma era, comi si dici..: assistimatu. Certu doppu la riforma agraria, lu Statu curnutu, s’havia futtutu na caterva di tirrenu, e l’INPS cu li contributi pi li mezzadri c’avia misu u carricu di unnici; ma iddu – ca, ‘nfini ‘nfini[7] nalfabeta era – nun si putiva lamintari; fino a ddocu[8] c’avia arrivatu! Anzi a sò strata è tutta “spianata”. Cu la talari[9], nivura, longa, pisanti, di stoffa bona, cu tutti ddi buttuna nivuri  e lucenti, china di sacchetti di tutti li misuri – c’è picca di studiari – pari ed è un parrinazzu fattu e finutu: di chiddu bonu! Certi bbotti[10] arriva a pinsari d’essiri distinatu a divintari piscupu[11], cardinali, papa, e possibilmente, cu li giusti trasuti[12] puri Diu. Diu ‘BBondiu. Ma, cu lu sapi…cu tempu…!

Mentri è spersu nni[13] li pinseri sò (ma n’havi pinseri?) s’adduna ca  la talari, cu u passari du tempu c’addivintau pisanti pisanti, cchiossà[14] du pastranu.

Eppuri na vota ci pariva leggia leggia; forsi pirchì na vota nun era grossu comi un porcu, ed essennu chiù siccu, e cchiù giovani e chiù forti, era puri cchiù agili ci puteva fari miraculi: chi sacciu…c’avissi pututu…c’avissi pututu…pisciari contruventu, curnutu di l’infernu!

Prima si muveva comi si avissi statu un ballarinu; certu ora porta st’abitu da troppu tempu: tridici anni; e triddici anni parino[15] nenti a cu la talari nun la porta tutti i jorna, estati e mmernu[16]; ma a jddu ora, la talari ci pisa; di ‘mmernu l’impaccia senza addifennulu du friddu, ca trasi di tutti di buttuna, e d’estati ci cuva li pidocchi. E quanti ci nni cuva! A caccialli ci voli na mazza pi spallari[17].

Havi li vrazza accussì pisanti ca quannu o bar qualcunu, pi carità cristiana o pi sfuttimentu, ci voli offriri un cafè, iddu c’havi a fari negativa; ma no pirchì ci pari mali o u cafè un ci piaci… U cafè ci piaci e ci piaci duci assai; ma pi quantu é grassu nun arrinnisci cchiù a isari lu vrazzu supra lu vanconi, a pigghiari lu cucchiarinu di lu zuccheru e arriminarisillu stu stramallittu cafè! E allora, comi la vurpi di Esopo, dici all’omu “ginirusu” ca ci voli offriri stu binidittu cafè: “u dutturi dici ca sugnu perteso e quindi u café nun mu pozzu pigghiari; però un Averna…” Si pirchì l’Averna – a sbafu quantu lu cafè -  è facili a vivirisi; un corpu di gumitu assistato bonu, nno stessu momentu ca rapi la sò vucca, e cu nu pocu di mira bona ( ca chista nun c’ha fagliatu mai)  u liquori ci trasi drittu drittu dintra l’enormi cannarozza[18]; po’ basta giuttirisillu. La cosa chiù facili du munnu; e l’Averna (macari allungatu cu ‘nanticchia[19] d’acqua di rubinettu  o di minerali – a coscienza du barista quannu arrinnisci ‘ntempu a scacciaricci l’occhi un’menzu a tuttu stu travagghiu ca pari facili ma facili non è) scinni sulu sulu, purtannu caluri, sapuri di cacocciuli arrustuti, e ‘lloru[20]

 

Drrinn…Drinn…

 

Lu vecchiu Motorola, ca s’haviva regalatu tridici anni primu, cu lu restu di la riffa du bammineddu du natali – prima valintizza parrinali -  (viramenti cu ddu “restu” si c’haviva pagatu puri na vecchia vespa px rossa, e un misi di manciati al “Vecchio Tulipano” - famusa trattoria pi camionisti ca vannu a carricari a la salina). Stu telefunu, tridici anni primu, c’avia[21] custatu n’occhiu da testa: era u primu a putiri mannari e riciviri S.M.S.; però siccomi l’haviva sulu iddu, nuddu ci nni havia mannatu ma! E accussì s’haviva scurdatu puri comi si mannavanu e s’arricivivanu sti strafuttuti SMS. Sapiva e sapi sulu arrispunniri e telefonati nurmali. Ma nun havia arrispunnutu mai; pirchì ci tilifonava sulu unu – ca sicuru era o un grannissimu curnutu o unu  cchiù lagnusu d’iddu: tri secunni duravanu li squilli; e jddu, u tempu ca circava ne tutti li stramallitti sacchetti di la talari, arrinnisceva a truvari lu telefunu sulu quannu havia finutu di sunari. Nun c’eranu dubbi: chiddu ca telefonava era un curnutu; pirchì scialava di sicuru; si nni stava – sicuru comi a morti -  ‘mmucciatu, darè un pitruni, n’arvilu, un muru a siccu, oppuri darrè la so facci di culu, e ci faciva squillari u telefunu; e iddu s’addannava l’arma a nun putiri rispunniri in tempu. Havia fattu tanti provi. Appena c’avissi arinnisciutu a arrispunniri ‘ntempu c’avissi dittu: ”Grannissimu Curnutu tu e tutta la tò fetentissima razza, masculi e fimmini, a scinniri e macari acchianari, , vivi e morti…”

 

A stu giru però nto disply c’era scrittu: “nuovo SMS. Leggere?

 

E chi veni a diri? “Leggere?” penso! “No! Mancu ‘mmazzatu! Cu sapi chi gran scassamentu di cabbasisi! Tridici anni mutu e stamattina o postu di sunari si metti a scriviri? Ma sinni po jri affanculu jddu e tutta la so fetentissima razza, masculi e fimmini, a scinniri e macari acchianari, vivi e morti

 

 

Drrinn…Drinn…

nuovo SMS. Leggere?

 

Talia u cielu, si isa la talari, s’ingunocchia supra un pocu di brecciolinu – giustu pi fari capiri ca è preghiera seria, aggiungi i manu, junci i gumiti[22], tira un profunnissimu rispiru,  e concentrato e contrito accumenzia a prigari “Signuruzzu Binidittu, Tu ca tutti sai e Tuttu Poi, E che ne lo tò ‘nfinita bontà mi vulisti fari ministru Tò, fai cadiri i ponti tilifonici, oppuri ricogliti ‘menzzu all’angili To sta “duci creatura” ca mi scasa i cabbasisi; cu jè jè[23]

 

Drrinn…Drinn…

nuovo SMS. Leggere?

 

“Ancora? Arria? Di novu?” Patri ‘BBondiu è sconcertato, disorientato,  frastornato….

“Ma u Signuruzzu, ne la so nfintita bontà,  mi voli vidiri mortu du dispiaciri?  Ma comi, ju c’addumannu na cosa di nenti, di fari moriri a stu curnutu, e Jddu ci lassa u tempu di fari n’autru S.M.S. scassacazzi. E nò Signuruzzu…ju sugnu ministru tò e Tu m’accuntitari pifforza!! Mannò tridici anni di terribili sacrifici a diri missa, cunfissari e siggiri, dari estremi unzioni,  acumpagnari morti e  siggiri, vattiari, maritari, e siggiri, diri missi tutti i jorna (a Pasqua e Natali puri du’ voti o jornu) a chi valì? Nun pozzu mancu addimannari – ju ca essennu parrino e servu du Signuri, ca sugnu certu dell’immortalità dell’anima, della caducità del corpo e dell’effimero stato dell’esistenza che chiamiamo Vita – d’asciucarisi  un curnutu! Putissi capiri si avissi dittu “mortu sparatu”; ma ju m’accuntentu puri d’unincidenti stratali, di na  malattia ‘nfettiva e ‘ncurabii; talè, m’accuntentu  puri di fallu  moriri ‘nto sonnu…”

 

Drrinn…Drinn…

nuovo SMS. Leggere?

Patri ‘BBondiu s’arrissorvi e cu tutta la malavaria[24] della quale un ministru di Diu come a jddu è capaci, ammacca OK

 

…musichetta…

 Sono le 3,00.

 

Lui sorride; il sogno gli piace, è quasi comico. Lei continua a dormire. Con loro sta dormendo il figlio;  unico ed irripetibile, bello, sano, dolce, intelligente, opportunista bambino. Si sarà svegliato e muto muto sarà entrato nel loro letto; piace a tutti e trè.

Lui guarda moglie e figlio e si accorge d’essere sereno, quasi felice.

La Bestia, in agguato, inarca la schiena  e ruggisce. Non vuole che Lui sorrida e non soffra! Si lancia su di Lui tentando di morderlo alla  gola; Lui balza giù dal letto e si ritrova in piedi, sveglio ed attento come un antico guerriero acheo, pronto ad affrontare un nemico che non c’é.

Capisce di aver sognato; va in cucina; si siede; accende una marlboro e la sente calda, avvolgente, familiare, amica.

Non c’è niente da dire: le nuove pillole sono portentose!!! Ha di nuovo sonno; gli occhi si richiudono nuovamente; spegne la sigaretta, si alza barcollando e con grande pesantezza si ributta sul letto, riaddormentandosi istantaneamente.

 

…musichetta…

 

 Patri ‘BBondiu, Ju sugnu. Stu matrimoniu nun s’havi a fare!!”

 

“Stamunni carmi” pensa: “Allura ripighiai u sognu unni l’aveva lassatu? Ma chi bellezza di pinnuli!!

 

 Patri ‘BBondiu… Ju sugnu…”

 

“Ma ju, cu sì Tu nun lu sacciu!!! E po’ di quali matrimoniu stamu parranno?” sta pinsannu u parrinazzu

 

nuovo SMS. Legere? Rispondere?

 

“Sissignuri Si!!” dissi ‘ncazatu: “c’arrispunnu a stu curnutu!” E accumenza a digitare supra la tastiera du Motorola cu li so jta grossi comi sasizzuna:

 

“Preg.mo scusandomi - e scusandoLa - di non conoscerci, se fossi Carabiniere La invierei a farsi riconoscere. Non essendolo, La invito quantomeno a fornire gli estremi del richiesto matrimonio – a suo dire - non officiabile. La invito altresì ad esporre motivi seri e canonici a supporto di tale richiesta. Attendo Sue.”

 

Patri ‘BBondiu è soddisfattu: pari un SMS scrittu d’un piscupu, d’un cardinali, d’un Papa, du Signuruzzu in persona di supra la Santissima Cruci.

 

Pezzu di sciccazzu sardignolu! E tu ch’hai fattu giuramentu d’essiri comi a Melckitsedek, sacerdoti in eternu, mi domanni a Mia cu sugnu Ju? Ma comi nun t’affrunti? Nun liggisti li scritturi? Nun sai ca si chiamu a unu ca nun l’haiu chiamatu mai, si iddi nun m’arrispunni, nun ci fazzu nenti ma  si – ‘nveci,  chiamu a qualcunu c’haiu già chiamatu, e m’ha arrispunnutu, si appena appena lu richiamu – qualsiasi mezzu – nun m’arrispunnni, l’incinirisciu?!

Quantu è veru Diu, ca sugnu Ju, - p’inciniririti nun t’incinirisciu, pirchì sugnu misericordioso: però un pocu di vastunati… a tinchitè…”

“Bruttu armàlu, ca o postù di fari chiddu ca fai, tinni putevi jri chiazzi chazzi a vinniri calia e simenza” ripigghia l’Altissimo “havi tridici anni ca ti mannu SMS, nun m’arrispunni mai e quannu t’addegni d’arrispunniri pigghi puri di susu!! U matrimonio can un s’havi a fari è chiddu tra Lui e Lei, pezzu di sciccazzu! E’ cosa troppu m’pegntiva pi Lui; nun è prontu. Manchu S. Giovanni Crisostomu ci po’ fari di maistro, e no pirchì è un carusu tintu, ma pirchì ancora nun l’ha caputu ca u giuramentu di matrimonio è pi sempri; in eterno; comu u giuramentu di Melckitsedek. Certu parrari cu tia di sta cosa fa ridiri i jaddini, però è cosa seria assai..!”

Patri ‘BBondiu ntenni, nturduna e aggiarnia! [25]

“Matri Santissima ajutami tu!! U Signuruzzu parrava du matrimoniu di lu patroni di lu sognu sò!! E comi ciù puteva diri ca u matrimoniu c’haviva statu, e pi junta,  tridici anni primu; e ca l’aveva cilibratu, n’avutru parrinu, vinutu apposta di luntanu, grossu, avutu, cu la vuci tonanti e ca haviva ditti cosi bellissimi! E havia parratu puri di stu Crisostomo, (c’avia a essere un parenti dello sposo) Menu mali ca nun havi statu  jddu, cu li sò mani e li sò paramenti; certu jddu  a Lui,  c’aveva manciatu li sordi primu e lu manciari a lu trattamentu doppu (ma chistu nun è piccatu mortali); Comi ciù puteva diri o Signuruzzu ca di stu matrimoniu haviva nasciutu puri n’addrevu ca si chiamava puri comi a Jddu? Pi furtuna ca st’addrevu nun l’havia vattjatu jddu! Ca, n’zomma, nun c’era cchiù nennti di fari! Ca l’irreparabile havia arrinisciutu”

“A stu giru m’incinirisci!! O sicuru sa mutriò! Nun ci su Santi! Pi la me lagnusia a nun rispunniri o telefono – nun  l’avissi avutu avissi statu giustificati – però l’avia” .

U parrinazzu è tirrurizzatu!!

“E po’, quasi quasi m’aju a giustificari ju, quannu Jddu, l’Altissimu, tutti vidi e tutti sapi? Jddu u sapi sicuru ca u matrimonio s’accilibrò e mi voli pighiari in castagna. O peju… si voli stujarii u cuteddu supra a mia!!”             

”Ma Ju, e u dicunu tutti, ca sugnu scartru comu na vurpi e chiù fetenti di lu diavulazzu, na scusa bona c’arrinesciu a mpiattari sicuru”; p’intantu pensa  e trema, cerca scusi e suda, ci manca picca ca si caca di supra; e comi dici sempri uno ca è di panza e di presenza “minnulicchi supra a pasta!!!”  

“Ci pozzu diri ca u telefonu era difittusu” continua architettannu scusi; “oppuri ca  i messaggi,  mannannumilli in talianu,  ju nun li puteva capiri, stanti ca u talianu nun lu sacciu leggiri” ci penza ancora chiù forti, sforzannusi: “Certu po’ comi la mettemu cu lu brevijariu, lu missali e tutti l’avutri cosi ca non su cchiù scriti in latinu, ma ora, per ecclesiale bontà liberal comunista sunnu scrivuti nella lingua di stu Statu Latru e Curnutu!!”

U parinazzu è n’un mari di confusioni!! Nun sapi si chiangiri o  sbattirisi la testa a lu muru, ‘mbriacarisi o manciari, curriri o gridari, prijari o santiari!!

Cà ci voli n’avvocatu, ma unu bonu, cu li pampini!” pensa! Chi bella pinsata; è propriu degna di jddu: nigari sempri e fari causa a tutti (puri a lu Signori, all’Arcangeli, ai Santi  si fussi  necessariu).

Circannu l’avvocatu pensa a chiddu c’avia fattu assolviri ad Andreot.. chiddu era megghiu mancu nominallu: no l’avvocato…l’avutru!!

Sono le 3,15

 

La Bestia gli da una zampata alla spalla. I suoi artigli lo feriscono profondamente; il dolore è lancinante; lei lo sorveglia da vicino, pronta a tenerlo vigile; non deve dormire, e soprattutto non deve ridere; neanche del suo sogno.

La Bestia è buona.

I suoi metodi un po’ meno;

ma il suo fine è nobile.

Entrambi hanno corso il rischio che Lui capisca; e lunghi anni di attenta veglia sarebbero valsi a nulla.

Per esser certa di sviarlo da quella strada che, seguita, lo  condurrà inesorabilmente alla verità, la consapevolezza di quel matrimonio sbagliato, gli sferra un’altra zampata: questa volta all’addome. E’ come se gli si aprono quattro lunghi squarci sul ventre dai quali sgorga sangue ed escono viscere.

Con un balzo Lui è di nuovo sveglio, vigile, in piedi!

Non c’è bisogno di guardare l’orologio: sono le 3,15.

Va in cucina; beve dell’acqua; chiude le porte, perché luci, rumori ed odori non disturbino ne Lei né il bambino; accende una marlboro; la aspira avidamente; un colpo di tosse, potente, inaspettato lo scuote; da quando ha ripreso a fumare è il primo colpo di tosse; sa che ne seguiranno altri ancora più potenti, difficili da sedare; ma deve fumare. Il dolore è profondo, prende il corpo e l’anima; prega Dio perché finisca, in qualsiasi modo.

Apre la porta finestra ed esce in balcone. La notte è fredda, limpida, silenziosa; guarda giù. È sufficientemente alto. Se salta “di testa” l’impatto romperà la calotta cranica, frantumerà la colonna vertebrale, farà uscire gli occhi dalle orbite, le viscere dalla bocca e dall’ano. Tutto sarà finito. Con una gamba scavalca la ringhiera; sta per alzare l’altra…suo figlio tossisce; è da qualche giorno che da segni d’influenza. Già, suo figlio… se salta farà un gran tonfo, i vicini guarderanno giù, le donne urleranno, il bambino si sveglierà, andrà al balcone e guarderà giù, e vedrà suo padre ridotto in poltiglia, in una posizione innaturale, con le gambe ripiegate sulle braccia insanguinate, il busto quasi eretto su una grossa melanzana scura. Non può farlo; non adesso; non in un luogo dove suo figlio possa vederlo; deve cercare un altro posto, deve aspettare!

Decide di rientrare e coricarsi, sperando che nessuno l’abbia visto.

Si riaddormenta.

 

Sono le 3,20

 

Patri ‘BBondiu fa capolinu, leggiu leggiu, quasi scantatu, dintra u sognu. Lui dormi profunnu; taci maci  arripighia u travagghiu sò di lu puntu ntificu dunni l’havija lassatu.

“Chi  ruschiu curriju” penza. “Appena Lui muriva, ittannussi, appinnennusi, sparannusi, mpinnuliannusi, dannusi na cutiddata nà panza, o comi je je, puri jddu spirissi pi sempri. Autru ca Don Abbondio, chiddu scrivutu ne li Promessi Sposi da unu che di nomi fa Manzoni. Jddu cu è? Unu scrivutu supra un libru mai pubblicatu, mai liggiutu a scola, mai liggiutu di nuddu. Si Lui mori Jddu spirisci senza lassari traccia; nuddu saprà mà ca esistitu puri Jddu.

S’avi a sbrigari, e avi a fari – di prescia - tri cosi:

-         la prima, jri nell’avvocato, truvari na scusa pi nun aviri arrispunnutu a la chiamata  e sconjurari l’ira di Diu;

-         la secunna, aiutari a Lui, che po’, era Jddu pirchì - si Lui mori - Jddu spirisci; e fallu cchiù di prescia ancora;

-         la terza… nun c’è bisognu nè di falla, ne di pinsalla si fa li primi du! (Certu ca la lagnusia…)

Pigghia un vecchiu elencu tilifonicu; è vecchiu assai ma nun cunta: “Fussi ca  l’avvocato è bravu pì com’è bravu, e c’è nell’elencu, lu nummeru non l’ha cangiatu sicuru!” penza “Unni avissiru a chiamari masinnò li sò clienti (novizi o recidivi) abbisognevoli di giusta e necessaria adenzia? Andreott… chiddu…o sicuru havi puri u nummeru du cellulari, stu curnu.. stu cosa tint..  chiddu da!”

Nell’elencu tilifonicu c’è cugnomi e nomi, professioni, indirizzu e nummeru di porta; e puri i numeri telefoni (tri – di l’ufficiu, di lu fax di l’ufficiu, di la casa;) “U cellulari nun c’è…” penza “e chiddu ciù desi sulu a Andreott…a chiddu dda!”

Andreotti ci sta ‘ntipaticu, forsi pirchì tutti ni dicinu di cotti e di crudi; ma nun dicinu puri di iddu cosi iripitibili e cajorde?

Pigghia u telefonu e telefona: “Questo è lo studio dell’Avvocato; stante che sono le tre di notte passate ed io non sono insonne, sono a casa mia a dormire il sonno del giusto. Se il Vostro sogno dovesse continuare, e il mio aiuto dovesse risultare impellentemente necessario, lasciate un messaggio dopo il segnale acustico e vi risponderò immediatamente (trattandosi di sogno, difatti, la norma non prevede alcuna concatenazione logica circa orari, sonni, risvegli e quant’altro di ragionevole attanagli la vita ordinaria, e di irragionevole muova le nostre azioni). Ad ogni buon conto, chiunque voi siate, preparate tremila euro quale pagamento per il consulto o acconto per la prima causa, o per lo scassamento di cabbasisi che - comunque - m’arrecate.”

“C'inzertai!” penza Patri ‘BBondiu “Chistu è propriu bravu: cchiù cajordu di mia; chistu a causa la vinci; chistu passassi supra la cascia di so patri e di so matri comi si stassi facennu na passiata chiazza chiazza!”

Bisogna lassari missaggio chiaro, inequivocabili, indifferibili e cumenza:”Gentilissimo Avvocato, chi le parla è Padre ‘Bbondio, Parroco di Roccaspinata, agiato ed in grado di affrontare immediatamente sia l’onere dell’acconto che Lei richiede che l’eventuale necessario aggravio. Mi riceva immediatamente, datosi che sono stato raggiunto da diffida di Dio in persona, ad attendere ad un mio compito specifico e non delegabile, e che – sventuratamente – ho omesso di compiere per tredici anni. Per onere di precisione voglia prendere atto che tale omissione non è suscettibile di riparazione.

Patri ‘BBondiu s’arritrova o scuru, sutta na putenti acqua di cielu ca lu sta assammarannu tuttu; la talari è assuppata, u pastranu nun ni parramu! Attraversu li vitra di l’occhiali vagnati vidi na luci leggia leggia; s’avvicina e vidi ca è la luci d’un granni purtuni barunali. A latu c’è na insigna di brunzu, o di rami scurutu, (ma forsi è brunzu) unni c’è scrittu “AVVOCATU”. Sutta c’è un capanello rotunnu a forma di bignè cu a cirasa. Scaccia la cirasa.

 

DRIIINNN!

 

U suonu è accussì acutu, squasi fischiu di trenu a vapuri,  ca c’arrizzanu tutti li pila; (ci pari, ma nun è sicuru, ca c’arrizzanu puri chiddi ca na testa nun ci sunnu cchiù).

“Trasissi e chiudissi la porta, ca la cammarer..la segretaria nun c’è; sta ‘nsunnannu autri cosi…cosi ca stava ‘nzunnannu puri ju…s’annacassi!!”. U Cristianu arraggiatu ca u parrinu s’attruva davanti, chiddu ca rapiu la porta è peju d’jddu: avutu, sopraccigghia bianchi e arruffati, nasu grossu e chinu di crusti, occhiali nichi nichi e tunni tunni, vuci potenti e rascusa, sciatu pisanti, denti gialli, toga lorda di zuccharu di cornettu, di crema gialla, di sucu d’arancini; nun c’abbuttuna; e feti! No la toga: l’Avvocatu.

Lu fa accommodari, facennuci strata “Mi sta purtannu versu lo  so studiu” penza u parrinu; pi arrivarici c’è un corridoiu longo longo, e Patri ‘BBondiu, muvennusi rantu rantu ci duna na taliata: a sinistra tanti finistreddi, e tra una e l’avutra vecchi quatri di Garibaldi (c’era scrittu sutta Il Dittatore, perciò havi a esseri Jddu), Costantino Nigra (c’è scrittu sutta Garante d’Amicizia, perciò havi ad esseri chiddu di moschetti francisi ca Cavour non vuleva arrivassiru a Garibaldi) Camillo Benso (c’era scrittu…) e tanti avutri; a destra tanti porti, tutti cu la scritta uttunata supra: la prima Biblioteca, la secunna Archivio Storico, la terza Archivio Corrente, la quarta Retrè[26]. ‘Nta penurtima porta c’è scrittu Ricevimento e nell’urtima Officina.  

L’Avvocatu lu fa accommadari ne la stanza dunni c’è scrittu Ricevimento. “Chi veni a dìri” pinsò Patri ‘BBondiu “Chistu havi na casa ca è quantu na timpa, ca unu ci po jiri a tinnirumi, tanti di ddi quatri ca ci po arredari un tiatru – e forsi servinu pi fari tiatru - e nun havi un catojo unni c’è scrittu Ufficio?” “Certu”, si correggi doppu “staiu ‘nzunnannu!!”

 

Sono le 4,00

 

Urla per la strada. Un ubriaco inveisce contro qualcuno. Lui si alza di botto, stordito. Si affaccia alla finestra. L’ubriaco c’è l’ha con un cane. È il randagio del quartiere. Lo chiamano lupetto. Sono tutti gentili con lui; c’è persino chi gli compra le brioscine al bar.

Una volta Lui gli ha pure dato un calcio. Lupetto l’ha guardato, senza guaire, senza ringhiare, senza dargli alcuna importanza, abituato comè ad incontrare persone d’ogni tipo, buoni e cattivi, intelligenti e stupidi. E Lui era stato stupido e cattivo; senza alcun motivo; forse per dimostrare a se stesso di valere qualcosa; di essere, almeno, meglio di quel cane, che invece aveva dimostrato di essere meglio di Lui. Ricordò l’insegnamento di Gesù “non fate agli altri ciò che non vorreste fosse fatto a voi!” e capì che gli altri erano il suo prossimo, chiunque, umano o animale, gli fosse “vicino”. Da quel giorno Lupetto è uno di quelli per i quali ha più rispetto. E Lupetto ricambia e spesso vedendolo scodinzola.

Lupetto e l’ubriaco sono ancora li: il primo abbaia; il secondo urla, bestemmia, lo riempie di calci. Lui Pensa di scendere e picchiare l’ubriaco. Poi ci ripensa: anche l’ubriaco è il suo prossimo. E poi Lupetto, come al solito non ci fa neanche caso, e se gli riesce gli appiopperà un morso al polpaccio, tanto per fargli passare “il vizio”.

Esce sul balcone ed accende una marlboro; la Bestia lo ritenta: “Salta, sei allenato, agile e veloce…vedrai non te ne accorgi neanche!!” Se salta rischia di precipitare sull’ubriaco; o che qualche pezzo del suo corpo si stacchi e colpisca il cane e quell’uomo; o che entrambi si sporchino del suo sangue, delle sue interiora; sia Lupetto che l’ubriaco sono il suo prossimo; non è cosa. Rientra e si rimette a letto. Riflette: conosce mille modi di usare le armi, da fuoco, da taglio, da impatto, esplosive;

potrebbe uscire, andare in un luogo appartato, magari un viale sperduto del parco della favorita, o della conca d’oro, e lì conficcarsi uno stiletto nella succlavia[27]. Non è doloroso: in dieci secondi perdi conoscenza ed in trenta sei morto dissanguato; impossibile, anche soccorso in tempo, arrestare quel tipo di emorragia.

Lei si gira e gli sorride ignara. È profumata, calda, morbida.

Prima di farlo deve prepararsi: deve “mettere a posto le carte”; Lei ed il Bambino non dovranno avere preoccupazioni; deve mettersi a posto con i contributi, e scegliere se far ritrovare il proprio corpo, oppure no; nel primo caso dovrà stipulare con un’agenzia di servizi funebri un contratto blindato; Lei non dovrà vedere ciò che rimane di Lui; né dovrà occuparsi delle tristi pratiche che impone lo “jus sepolcri”; nel secondo caso, se deciderà di non far ritrovare il proprio corpo, basterà fare tutto di notte; il sangue rapprendendosi attirerà gli animali selvatici (cani randagi, cinghiali maiali selvatici) che si ciberanno del suo corpo. Di Lui non rimarrà niente: ne ossa ne abiti. L’importante è non avere addosso documenti od oggetti che possano, in qualche modo identificarlo. Nessuno saprà che fine ha fatto. Guarda la fede che porta al dito. C’è scritto il nome di Lei e la data del matrimonio. Dovrà essere la prima cosa che deve lasciare a casa. Se deciderà di affidare il suo corpo agli animali,  per Lei sarà un problema riscuotere la pensione di reversibilità: dovrà attendere una “dichiarazione di assenza” (dopo due anni dalla scomparsa di Lui) e dopo la “dichiarazione di morte presunta dell’assente” (a dieci anni dalla scomparsa) .

Si riaddormena.

Nel frattempo

Patri ‘BBondiu è sempri cchiù sturdutu, ma sempri cchìù cummintu d’avirici ‘nsertatu; forsi è u sciavuru di muffa e carta vecchia ca ‘mpesta lo studio d’Avvocatu. Chistu è assittatu ne na poltrona a spalliera auta, antica, cu lu tilaru culuratu nivuru e la ‘mbottitura di cuoiu russo (forsi è peddi di clienti insolventi ca accussì potti ripagari l’Avvocatu). Puri Jddu putissi addivintari “complemento d’arredo”? No! Nun c’è stu scantu. E’ lu parrocu di Roccaspinata; i fideli su ginirusi assai; alla peju c’addimannerà di fari na colletta pi costruire un quarchi lebrosario in congo belga, e po’ cu si vitti si vitti.

“Facemu a capirinni” accumenza l’Avvocatu: “Vossia, Patri, mi dici n’to so messaggiù ca è reo di omissione di atti d’ufficio – reato proprio – nei confronti, nenti di menu du Signuri Putintissimu di L’universu Criatu. Pi intantu, Vossia…pintutu è?! Pirchì s’è pintutu, putemu circari di faricci haviri l’attenuanti! E hannu ad essiri attenuati prevalenti e non generiche!! Anchi si l’attenuanti, generichi o prevalenti ca sunnu, l’avemu a putiri addimostrari! Vossia, ha statu malatu nne sti tricidi anni? Chi sacciu un tumuri, un enfisema, un ictus,… na cosa qualsiasi, ma gravi però! Nun ha avutu nenti?”

U parrinazzu cala l’occhi n’terra; iddu nun ha avutu mai nenti; mancu na frevi leggia, un  duluri di denti, na sciatica…nenti.

“Pacenzia!! Dissi l’Avvocatu; e po’ cuntinuannu: “Ha statu partutu a fari u missionariu presso qualchi popolazione spirduta, abbannuata, lorda, malata di lebbra, aids,… di qualsiasi cosa? No? Nenti ci fa. Nun pirdemuli spiranzi…Ha costituito comunità di recupero di tossicodipendenti? Comunità di alloggio pi buttani stracomunitarii? No? Pi Buttani comunitarii? No? Comunità di recupero pi armali abbannunati? No? Pacienzia…videmu… Ha avutu impegni politici a favuri di li paisani so? No?.... ‘Cca la cosa s’accumenza a fari seria…si l’Altissimu addimanna chiarimenti alla memoria difensiva ca ju aju a priparari pi Vossia, ju chi ci dicu? Ci pozzu diri: Altissimo, stu cudduruni nun ha fattu avutru ca manciari, diri missa e futtiri u prossimu! D’estati s’ha dissetatu cu acqua e zammù, e d’imernu sa quadiatu cu calia e castagni… Nun avemu attenuanti!

U parrinazzu cala l’occhi ancora chiù n’terra; si putissi sprufunnari e scappari pi li fogni chiù funnuti, lu facissi; certu avissi quarchi problema; alle zoccole (surci grossi e famelici ca abitanu li fogni nun avissiru gradutu la so concorrenza, puri si di passaggiu), o sicuru nun ci starà simpaticu.

“Ma mancu n’anticchia di vrigogna havi??” arripigghia  l’Avvocuatu, un pocu ‘ncazzatu “Sapi, pi l’ attenuanti generiche…”

Patri ‘BBondiu, ne un impetu di orgogliu si susi, sta pi diri sopiddu[28] chi cosa…ma sapi diri sulu: “Avvocatu, la prego, sulu Vossia mi pò sarvari dall’ira dell’Altissimu; chiuddu, p’intantu m’incinirisci – sicuru – e po’ mi speddi[29] d’abbrusciari all’infernu…Ju nun aju turciutu un capiddu mai a nuddu; nun hai arrubbatu…cu l’armi ntennu…nun m’haju approfittatu di ma fedeli …di chiddi masculi quantumeno…e di chiddi fimmini ca m’haiu approfittatu, po’, cunfissannuli, c’hai datu sempi pinitenzi leggi leggi… nun m’ammeritu u Castiju Divinu sulu pirchì nun sacciu usari u telefunu!”

A stu giru a n’turduniri è l’Avvocatu. Talia u parrinazzu ‘nte ll’ochi e cerca d’arricurdarisi u messaggiu ca c’avia lassatu na segreteria telefonica. U messaggiu diciva: “Gentilissimo Avvocato, chi le parla è Padre ‘Bbondio, Parroco di Roccaspinata, agiato ed in grado di affrontare immediatamente sia l’onere dell’acconto che lei richiede che l’eventuale necessario aggravio. Mi riceva immediatamente, datosi che ho ricevuto diffida da Dio in persona, ad attendere ad un mio compito specifico e non delegabile, e che – sventuratamente – ho omesso di compiere per tredici anni. Per onere di precisione voglia prendere atto che tale omissione non è suscettibile di riparazione”.

Analizzamu, penza cu attentinzioni preturali!

- Gentilissimo Avvocato…

Armenu stu parrinazzu è educatu…oppuri e ruffianu a cajordu ancora prima di accumenzari a parari cu mija…

-   …chi le parla è Padre ‘BBondio, Parroco di Roccaspinata, agiato ed in grado di affrontare immediatamente sia l’onere dell’acconto che lei richiede che l’eventuale necessario aggravio

È cajordu forti! Tarmenti cajordu ca ci pari ca cu li sordi, (ca nun’havi haviri assai, ma ca sunnu di li so fideli), po’ mettiri riparu ad ogni dannu…

-Mi riceva immediatamente, datosi che ho ricevuto diffida da Dio in persona, ad attendere ad un mio compito specifico e non delegabile, e che – sventuratamente – ho omesso di compiere per tredici anni….

Chistu nun sulu nun capisci nenti…è turduni ntificu…ma pighia puri di susu Mi riceva immediatamente…e po’ mi dici ca l’Altissimu ci domanna u cuntu d’un travaghiu ca havia e putia fari sulu jddu, e jddu nun sulu nun fa nenti ma duna la curpa a lu telefonu; e si cerca puri l’Avvocatu!! Certu comi Diu: chista è omissione continuata senza attenuanti. E si ci pensamu bonu, aggravata da motivi abietti; nun sunnu motivi abbietti la lagnusia, la continuata volonta a scapputtarisilla di responsabilità proprie – s p e c i f i c h e -?

E’ favusu  comi picca omini o munnu!! E dici puri sventuratamente!!! Nun puteva dillu direttamente all’Altissimo ca sta cosa “non delegabile” non era cchiù …susscettibile di riparazione…ca nun c’era cchiù nenti di fari?  Nun lu sapi!! Ma chi razza di parrinu è ca nun sapi ca l’Altisimo è Magnanimo, Ginirusu, Misericordiusu, Bonu cu i boni. E po’ chi avrà omessu di fari rispettu a tuttu chiddu ca fici! A stu puntu megghiu ca nun ha fattu nenti!”

Taliò u Parrinu e ci dimannò: “Patri ‘BBondiu, ma Vossia, chi cosa omisi di fari?” E u Parrinu ribbattennu: “Haviva a ‘mpidiri un matrimoniu…però u matrimoniu ci fu, e ci fu un fighiu…sulu ca Lui, u maritu, a quantu mi parsi di capiri, è scuntentu, è dipressu, infilici, arraggiatu comi n’armalu sarvaggiu …ma chi minchia voli ca ni sacciu ju!!”

“Parrì”  vucia l’Avvocatu, “innanzi tuttu e d u c a z i o n e, pirchì Vossia nun po’ esseri curnutu in quantu è un grannisimu porcu e i porci – comi tutti sannu - nun hannu li corna!!! Però putissi essiri un porcu sarvaggiu…comi si chiama…un cinghiali!! E po’, u sapi cchi ci dicu? N’haju addifinnutu curnuti assassini, svrigunati truffatori, latri di picciriddi,, ma farabbutti comi a Vossia mai!! E sunnu cent’anni ca fazzu lu misteri. U sapi cchi ci dicu: ci issi a scassari i cabbassisi a quarcun avutru, sempri si ne lu sognu Lui ci darà la possibilità di circarisillo n’avutru Avvocatu; io arrimettu u mandatu e pi mija sinni po’ jiri affanculu!! Anzi si nun spirisci di la vista di l’occhi mè, quant’è veru l’Altissimu, mi susu a la stractafuttu di vastunatuni. Ci nn’haju a dari tanti ca l’haju a ridducuru na ficazzana!! C’aiu a scippari la peddi dill’ossa!! Fora! Sinni issi Fora!” e ci tira a stornu tuttu chiddu c’havi a disposizioni, codici civili, penali, fallimentari, di li naviganti, segreti, penne, calmai, calamari (tantu è un sognu): tuttu chiddu ca ci capitò sutta manu…

  

Sono le 5,00

Lui ride a crepapelle; sente ancora le urla dell’Avvocato e i passi – a corsa di bersagliere – con i quali Patri ‘BBondiu scappa dallo studio dell’Avvocato; sente gli oggetti infrangersi contro il muro, il corridoio, il pianerottolo dello studio; sente i calamari fare “sploff” contro la porta e la schiena del prete. Fuggendo lo vede scivolare sul selciato bagnato, cadere, battere la testa,  rialzarsi di scatto e riscivolare ancora ostacolato dalla talare e dal pastrano; l’indegno si tiene il sedere (la prima botta è stata forte ma la seconda – sicuramente – gli ha leso il coccige – o essendo lui un prete, più appropriatamente, gli ha leso l’osso sacro.)

Lei fa dei versetti lamentosi; ogni notte la stessa storia; Lui dorme irrequieto e le impedisce di dormire; impedire è una parola grossa; la ostacola un pochino. Lei lo sa; Lui le dice spesso ( o meglio – le diceva) che nell’arco di una notte era capace di soffrire pene indicibili e ridere sino quasi a soffocare. Potenza del sogno. Ormai Lei è abituata.

E’ ora d’alzarasi! O meglio non è ancora ora; potrebbe rimanere a letto almeno fino alle 6,30; quello sarebbe  l’orario giusto per alzarsi.

E invece eccolo lì;  sveglio e lucido; rimarrà lucido fino alle 11,00; a quell’ora anche la Bestia si sveglierà; e tutto riprenderà, come il giorno prima. E quello prima ancora.

Accende la televisione; c’è il “Consorzio Nettuno” si parla dell’evoluzione dell’uso del corsivo e del maiuscolo nei testi latini pre-cinquecenteschi: interessantissimo!! La cosa lo entusiasma come lo può essere un asino carico di legna su per una salita ripida e sdrucciolevole, o come diceva suo nonno “comi lu sceccu pi lu chiarchiàru”  Prende la caffettiera dal colapiatti, riempie la caldaia d’acqua, il filtro di caffè e chiude il tutto ponendola sul fornello acceso; nel frattempo prende due tazzine ed un piattino; sul piattino mette un cioccolattino; lo fa sempre; a caffè pronto riempie le due tazzine; una la zucchera: due cucchiaini e mezzo (Lei lo gradisce molto dolce…alcune mattine è tentato, per vedere se rimane infissa, di piantare una bandierina su quella montagna di zucchero inutile, che a caffè finito rimane sul fondo della tazzina). Porta tazzina, piattino e cioccolattino in camera da letto; li posa sul comodino, dal lato di Lei. Poi torna in cucina, si siede e lentamente sorbisce il suo, forte ed amaro; si toglie il pigniama; fa freddo; si inumidisce il viso, prima con dell’acqua fredda, poi calda, poi caldissima e in ultimo con la lozione pre barba; ha una barba rada e particolarmente ispida, facile ad incarnirsi; poi si massaggia il viso; prende il sapone da barba e con il pennello, lentamente si trasforma in un giosioso Babbo Natale; prende il rasoio (usa quello a mano libera); apre il binarietto, prende una mezza lametta, la inserisce e richiude il binario; apre l’acqua calda e quando è bollente la fa scorrere sul rasoio; aspetta qualche secondo; accende una marlboro, calda, pastosa; la lascia pendere dalle labbra; comincia a rasarsi, direttamente contropelo; i movimenti sono lenti, attenti, misurati, fermi; Babbo Natale, lentamente scompare dal sottogola, dalla guancia destra, dalla guancia sinistra, dal labbro superiore, dal mento; spegne la sigaretta; risciacqua il viso; Babbo Natale non c’è più! guarda lo specchio ed osserva i suoi occhi: sono lucidi, le palpebre gonfie, con borse evidenti; ogni mattina è così; si risciacqua bene e poi va sotto la doccia, caldissima; l’odore del bagnoschima non gli piace; Lui lo usa senza parsimonia ed ogni due o tre giorni Lei è costretta a metterne  uno nuovo; non è mai della stessa marca, mai dello stesso formato, ma con lo stesso tappo, mai con lo stesso odore: fosse così varia la loro vita sessuale…

Sono passati 5 minuti e decide di chiudere l’acqua. Rabbrividisce. Si asciuga con un grande telo da mare che Lei continua a fargli usare invece di un più comodo accappatoio; veramente l’accappatoio c’è ed è appeso in bella vista; ma a Lui non piace e non può piacere: è atroce nel tessuto (sembra fatto di carta vetrata grossa) nella forma (lungo fino a terra e con le maniche corte fino ai gomiti); sembra concepito per procedimenti di “depilazione a secco”.

È asciutto; si lava i denti; anche il dentifricio segue il via vai del bagno schiuma: oggi è alla malva, domani al bicarbonato, quello appresso alla menta. Non c’è che dire: Lei, in fatto di prodotti detergenti, è fantasiosissima.

Si veste, alla luce debole della lampada da notte; spesso mette le calze di due colori diversi: una nera e l’altra blu; fortunatamente ha i pantaloni sempre troppo lunghi perché si possa vedere. E’ ancora presto ma vuole uscire; deve farlo immediatamente! Va a dare un bacio al figlio, lo fa sempre; sente un fruscio nel corridoio: è Lei che di nascosto riporta il cioccolattino nel contenitore dal quale Lui l’aveva preso; se no finiscono! Si è accorto da un po’ di tempo che Lei non mangia il cioccolattino; ma pazienza: l’affetto, le carezze, le gentilezze, se fatte “gratis”, possono anche non essere ricambiate. C’est la vie!

Lei è ritornata a letto e finge di dormire; Lui finge di non aver capito; la bacia sulla guancia e Lei sorride.

Ormai fingono come due attori navigati.

Prende il casco, le chiavi della moto, la spazzatura, chiude la porta ed esce.

 

Sono le 06,30

 

Butta la spazzatura, mette il casco, inforca la moto, apre lo starter, accende il quadro, avvia il motore, parte.

L’aria è gelida e già morde le sue mani; il rombo del bicilindrico sembra conciliargli l’anima; la strada è bagnata, scorre lenta; è ancora presto per andare in ufficio; si avvia per la strada che costeggia il mare; l’ordore pungente del mare mosso lo raggiunge e lo allieta; le navi che attendono di attraccare gli fanno comprendere che il mondo non è tutto lì, che è grande e per essere navigato bene, tutto e per intero, ha bisogno i grandi navi.

Guarda le macchine che gli vengono incontro; la Bestia si sveglia ferina, senza avvertimento; gli “suggerisce” di aprire il gas e schiantarsi contro qualcuna di loro. Nelle macchine ci sono persone sole, uomini o donne, insonnacchiate, forse anche loro oppresse dalla vita e dai doveri; ma che certamente hanno gioie ed affetti; vorrebbe ferirne o addirittura ucciderne qualcuno; una donna madre di figli e moglie felice; oppure un uomo, buon padre e marito. No! Sa che è’ ingiusto desiderare che il suo dolore coinvolga qualcun’altro!

Siamo al paradosso!! Per non rattristarle non parla del suo dolore con le persone a lui care e poi pensa di far male a qualcuno, di uccidere e uccidersi… stenta a riconoscere in Lui l’uomo che era e che vorrebbe tornare ad essere.. Continua ad andare in giro… è ancora presto!

Pensa al sogno, a Patri ‘BBondiu (forse causa di tutti i suoi mali), all’Avvocatu, a Lei, a Lui, al bambino, ai tredici anni passati, alla possibile remota eventualità che non si fosse sposato, che se avesse continuato a studiare, che se avesse preso una, due, tre lauree… Avrebbe potuto lavorare in altri paesi, con altra gente…Avrebbe potuto non amare Lei…. Avrebbe potuto  amare altre donne…Un’altra donna.

Forse sarebbe stato meglio…

Di chi è la colpa?

La colpa è di Lui, che vive nel sogno, senza piedi  per terra; che non apprezza ciò che ha, perché ciò che ha è tangibile, non soggetto a desiderio.

La colpa è di Patri ‘BBondiu perché non ha atteso ai suoi obblighi verso il Creatore e verso le anime che a lui sono state affidate; perchè non ha rispettato il giuramento sacerdotale, non ha impiegato un minimo di buona volontà e non ha  risposto all’SMS che gli intimava di non celebrare il matrimonio.

La colpa è di Lei che si accontenta di vivere come vive.

Se ricorda, però, gli scritti di San Giovanni Crisostomo non può che dare la colpa solo a se stesso.

E’ Lui a non aver rispettato il proprio giuriamento: il giuramento di essere tutt’uno con Lei ed il loro bambino; il giuramento di essere un buon marito ed un buon padre; il giuramento di guidare la propria famiglia secondo il principio per cui in ognuno c’è Dio, ed in ognuno quel Dio va temuto, amato e rispettato.

 

Lui è come Patri ‘BBondiu.

 

Lui è Padri ‘BBondiu.

  

Sono le 7,30

 

Forse questo sogno, è stato utile. Forse il Buon Dio, attraverso il sogno, gli ha parlato, lo ha scosso, gli ha lasciato  un segno che ricorderà per sempre: tutto ciò che ha può, in un attimo, non esserci più!

 

Quel segno lo lascia di fronte a due possibilità: la possibilità di porre – lucidamente -  termine alle sue sofferenze oppure l’altretanto lucida, concreta, ragionevole possibilità di continuare a vivere, amare ed essere amato, senza desiderare altro.

 

Scegliere la seconda?

 

Parcheggia la moto, scende, toglie il casco, entra in ufficio, timbra il cartellino, saluta i colleghi, prende un caffè alla macchinetta, riflette; vuole perdonare Patri ‘BBondiu, perdonare se stesso, affrontare la giornata ed attendere che finisca. Vuole tornare a casa da Lei e dal loro bambino.

 

 

Fine

[1] da quel posto

[2] strade

[3] comodamente, senza alcuna convinzione

[4] cappotto da uomo, in tessuto pesante, ormai in disuso

[5] doppiomento

[6] un pò

[7] alla fin fine

[8] li, a quel punto

[9] abito sacerdotale quotidiano ormai scarsamente utilizzato

[10] certe volte

[11] vescovo

[12] entrature, agganci

[13] dentro

[14] molto di più

[15] sembrano

[16] inverno

[17] mazza di legno usata nell’aia, nel periodo della trebbiatura del frumento per frantumare le spighe di grano e ricavarne i chicchi

[18] gola

[19]un pò

[20] lauro

[21] gli era

[22] gomiti

[23] Chiunque sia

[24] di malavoglia

[25] Capì, trasalì, impallidì di paura

[26] gabinetto

[27] vaso venoso posto lo sternocleidomastoideo (il muscolo doppio, destro e sinistro, che sorregge il capo) e la clavicola.

[28] chissà

[29] finisce

Loro - Gli Sceriffi

07 maggio 2008 ore 09:11 segnala
Pioveva come il cielo la mandava. Che brutta giornata.  Era  meglio non pensarci. L’ex capo ufficio, assieme al   quale doveva ancora “chiudere le ultime pratiche”,   continuava a dimostrarsi l’incapace senza vergogna che  era, cui disobbedire era un dovere naturale. Il nuovo   capo era  uno di quelli che cui devi obbedire e che i più    chiamano “mosche bianche che sanno leggere e scrivere”.    In mezzo a loro  c’era Lui, con i suoi trentasette anni,    la sua mole da “vitello grasso”, la testa rasata, i denti  storti e gli occhiali stroboscopici. Aveva un lavoro   buono e sicuro, una moglie bella, un figlio sano, forte    ed intelligente. Non avrebbe potuto chiedere altro.    E Lui nient’altro voleva; anche s’era insoddisfatto.   Negli ultimi 8 mesi il bus lo aveva preso sempre più   spesso e gli piaceva. Non era più come,  da studente, quando i  mezzi erano affollatissimi, pieni  di gente, d’odori  e di ritardo. Erano nuovi e puntuali,  belli e colorati, silenziosi e gialli. Bè, non era come andare in moto, sentendo solo il freddo umido della   pioggia, il caldo scoppio del motore, la rombante puzza degli scarichi, il luccichio scivoloso della strada. Andare in  autobus non era male. Adesso che aspettava alla fermata  di Discesa Caracciolo, pensando all’acqua che non   lo avrebbe bagnato, al freddo che non lo avrebbe punto  ed all’unico euro che – forse - avrebbe speso per andare a casa, era contento.  Si, perché prendere l’autobus, oltre che economicamente   era per Lui come fare un giro in giostra.    C’era tanta gente. Ognuno aveva le proprie ansie. Persino   l’imprecante autista, irritato da nervosi guidatori    sgommanti, accaniti vigili trillanti ed atterriti pedoni   fuggenti, aveva una vita sua. Come quella di tutti gli    altri. Il Bus era un giro in giostra.  Un giro – un euro.  Se si fosse abbonato con ventiseieuroecinquanta al  mese       avrebbe preso sempre gli autobus, di tutte linee, a tutte     le ore. Sempre sulla giostra. Non era abbonato; non aveva      risparmiato né euro né coronarie. Si perché lui se ne fregava della salute e faceva cose pericolosamente    sperticate: fumava, mangiava grasso e viaggiava ad ufo. E delle tre, la più sperticata era non pagare il biglietto.   In verità lo pagava. Da vecchia volpe, il biglietto lo comprava; certe volte ne comprava più d’uno, tanto per     fare impressione quando apriva il  portafogli; ma lo bollava solo andando al lavoro;  raramente al ritorno e     solo nei giorni in cui era particolarmente appagato; e   siccome non accadeva mai che, tornando dall’ufficio     fosse appagato, il biglietto del ritorno lo timbrava  solo quando sull’autobus c’erano i controllori, o come li  chiamava lui -  gli Sceriffi. Li avversava per ciò che   rappresentavano: L’Autorità Costituita. Gli  piaceva imbrogliarli; con  la faccia che si ritrovava, nessunoavrebbe pensato che Lui giocasse a fare il furbo. Saliva  con l’aria impettita e lo sguardo più truce di cui era   capace, e solo se c’erano “loro” - gli Sceriffi - ,  timbrava il biglietto; certe volte, in un eccesso di temeraria sfrontatezza, bollava un biglietto già usato; ai suoi sguardi truci, misteriosamente, “loro” - gli Sceriffi – prima si guardavano a vicenda e poi si dedicavano agli altri passeggeri; intanto lui si dirigeva tronfio verso il centro dell’autobus. Nei pochi secondi    compresi tra la fermata in cui era salito e quella successiva, il suo cuore pompava a  mille, come quando da ciclista, scalava impervi tornanti (in verità, per lo più,   erano spianati rettifili), le sue arterie battevano forte     sulle tempie, sul collo e sulle braccia, il suo respiro   si faceva affannato. Gli piaceva giocare col destino a rischio controllato”; da buon ragioniere con aspirazioni    da geometra, calibrava l’incognita a cui si esponeva in maniera da trarre il massimo piacere dal minimo rischio.  Dopo una giornata trascorsa a dire signorsì pure alla   del cesso (occhio alla tavoletta, altrimenti gli   schizzi…) era bello far paura a “loro” - gli Sceriffi.  Una liberazione terapeutica, simile a ciò che fu provato  per i Vespri quando, s’inseguivano i francesi,  “invitandoli” a dire “ciciri ”. E tutto questo ad un costo contenuto: la multa per i portoghesi era, se non ricordava male, di cinquanta euro; beccato al suo    cinquantunesimo viaggio a sbafo, sarebbe comunque andato “a pari”. Un po’ gli dispiaceva di giocare così contro     il destino; sapeva di scherzare ignobilmente solo contro  altri Uomini che come Lui, ogni giorno, con il caldo   e con il freddo, con il sole e con la pioggia, uscivano   per “portare a casa la pagnotta”. Pensandoci gli sembrava d’essere diventato come il Della Mancia. Solo che Lui   anziché i mulini, aveva “loro” - gli Sceriffi. Pioveva  come il cielo la mandava. Che brutta giornata. Ringraziò Dio per quello che aveva, salutò don Quijote ed       i suoi mulini. Salì sull’autobus,  bollò il biglietto e   fece pace col mondo.