C'è chi stende e stende...

03 ottobre 2016 ore 14:51 segnala


Stendere i panni è una cosa che facciamo tutti: da quando nostra madre ci scocciava per aiutarla a quando siamo andati a vivere da soli, nella grande città, stendendo nella doccia in bagno o in camera da letto. Ci imbattiamo in panni stesi nei nostri viaggi in giro per il mondo e ne tiriamo fuori belle fotografie da pubblicare su Instagram, con lenzuoli bianchi mossi dal vento nei vicoli delle stradine, nei giardini delle case, sui balconi degli affollati dormitori degli studenti cinesi. Ma si stende anche in prigione o alla bell’e meglio nelle baraccopoli delle grandi città. A volte rimane l’ultimo gesto domestico da fare in posti che non sono casa o lo sono diventati per forza: sul filo spinato di un campo profughi in Grecia o in una casa distrutta nella Striscia di Gaza.

Articolo a parte, oramai le asciugatrici hanno sostituito lo stendino nella maggior parte dei casi, ...credo meritasse la foto :rosa
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« immagine » Stendere i panni è una cosa che facciamo tutti: da quando nostra madre ci scocciava per aiutarla a quando siamo andati a vivere da soli, nella grande città, stendendo nella doccia in bagno o in camera da letto. Ci imbattiamo in panni stesi nei nostri viaggi in giro per il mondo e ne ...
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Emozioni di un Clown...

18 maggio 2016 ore 14:56 segnala


Quanto Amore c'è nell'aria.
Un regalo infinitamente prezioso.

Questa mattina mi sono svegliata con il volto bagnato da un filo di lacrime. L’emozione ha deciso di prendersi tutta me stessa e non abbandonarmi per un po’.
E'stata per me una giornata inaspettatamente, meravigliosamente e candidamente pura.
Ore 14 iniziano i preparativi, una spugnetta e tanto colore, quello che ne viene fuori stavolta è un fiore. Momento panico quando ho pensato di aver perso il camice (sarebbe stato ASSOLUTAMENTE DA ME!), persi 15 anni di vita per cercarlo, trovarlo, infilare IL vestito, le scarpe e volare in ospedale. Soffermiamoci sul vestito: un abito a trapezio bianco con collo alla scolaretta anni ’50, a grossi pois turchesi, maniche a sbuffo e cintura in vita. Sembra fatto apposta per essere la mia divisa da clown, tant’è che una nasina rossa mi chiede se l’ho messo insieme appositamente per l’occasione. E invece no. Trovato tra i vestiti di mia mamma di 30 anni fa. 30 anni fa.. facciamo due conti.. io ho 30 anni, il vestito anche, e infatti scopro che lo comprò poco prima di partorire. Questo sarà il mio VESTITO di battaglia per le domeniche pomeriggio!
Incontri di facce. Incontri di vite. Incontri di nasi rossi. Ogni volta c’è qualche “nuovo” vecchio clown, ed è sempre un piacere conoscere queste persone, che sono passate dove sono passata io ma prima di me, che mi prendono a braccetto e mi accompagnano in quest’avventura, come amiche di sempre, come amici di tempi lontani. E così è anche stavolta. Due nuove amiche da inserire nella lista “happy red-nose family”.
Niente ortopedia, niente chirurgia, spavaldi e forti dietro i nostri nasini alle ore 15 come di consueto ci accingiamo a varcare la soglia di pediatria est. Pediatria Est. Al corso mi hanno detto che reparto è, ho un lapsus. Il corridoio è colorato, ci sono immagini di cartoni sorridenti ovunque. Sosta al bagno, igienizzante e disinfettante, mascherina con naso e bocca felice e via. Ora ricordo. E qui il tempo si ferma, sono quasi certa di essere entrata nel film Patch Adams, in una scena esatta: quella in cui il dottore felice entra in una stanza d’ospedale piena di piccole creature che brillano di luce propria, attaccate a macchinari che diventano cavalli e tori cavalcati dal medico del sorriso. In ogni stanza c’è un solo bimbo, con mamma e/o papà. Siamo in Oncologia, alcuni bambini, tutti sotto i 6 anni, attendono le cure tranquilli in braccio alle mamme che raccontano loro delle storie. Altri piangono e i genitori preferiscono mantenere le distanze, pensando di proteggerli. Per un istante ritorna uno dei miei flash-back, mi vedo in un lettino d’ospedale con le sbarre, di quelli per i bimbi piccoli. E le poche cose che ricordo sono pennarelli, tempere, dei ragazzi che ci raccontano delle storie e la casa delle bambole. Perché la mia mamma pensava che se qualcosa mi avesse distratta, sarebbe stato più facile per i dottori curarmi, e sarei stata meno traumatizzata. E ha funzionato. Tornata alla realtà avrei tanto voluto dire a quel papà che un sorriso può cambiare il ricordo di suo figlio. Ma non è compito mio. Mi rattristo un poco, con educazione salutiamo e ci dirigiamo verso un’altra stanza.
E io credo di non aver mai visto niente di più bello. L’Amore è nell’aria. Il dolore c’è, palpabile e pesante ad ogni battito di ciglia, ma l’Amore di tutte queste persone è qualcosa che va oltre. E mi ritrovo in un limbo senza tempo a fronteggiare questi sorrisi e queste smorfiette, tra un palloncino-cagnolino disinfettato e una parola con la mia Lilo e gli altri amici, fino a quando il mio cuore si ferma. Me l’avevano detto che sarebbe successo. Ci sarebbe stato un bambino che mi avrebbe preso un pezzetto di cuore da tenere con sé. Solo non pensavo sarebbe successo così presto. Mi affaccio al vetro e vedo questa creatura meravigliosa in braccio alla sua mamma, oltre la copertura di isolamento, timidissimo, una testina perfettamente modellata e due occhi espressivi come pochi occhi mi è capitato di incontrare in tutta la vita. E basta un suo sorriso e il mio cuore è in estasi, si frantuma e ha uno shock, e va in fibrillazione e si disintegra, e io non ci capisco più nulla. Sono affascinata da quanta gioia, speranza e amore c’è in questa stanza, guardo la mamma e il papà che ci ringraziano con lo sguardo, in cui si legge quel velo di tristezza dettato da un amore incontrollabile. E lo capisco, la gioia più grande, il regalo più prezioso, una delle emozioni più profonde che abbia mai provato è nata dal sorriso di questo piccolo angelo. Ascolto una canzone dei Lamb, e credo sia stata scritta per lui. Perché merita di vedere cosa c’è oltre quella protezione, di sorridere agli altri bambini e di sorridere alla vita. Perché non c’è vittoria migliore di un bambino che sorride alla vita che gli ha tirato un brutto scherzo come questo.
Il gruppo si riunisce, un altro reparto ci attende. Palloncini, scherzi e battute fanno da padrone in pediatria ovest. Sono tutti bambini piccoli, solo un paio superano i 10 anni di età, per cui via con le bolle di sapone al bambino indiano, il trucco dei fazzoletti con la principessa Bloom e gli scherzi a Fifone per distogliere la sua attenzione da un videogioco. Ma la mia mente è rimasta verso est.
Ancora poco sazi di sorrisi, ci dividiamo, per affrontare gli ultimi due reparti, PS e rianimazione. Il pronto soccorso l’ho già visto, così mi offro per accompagnare la capoturno e l’altra mia compagna in rianimazione. Ed è un altro colpo al cuore. Quattro bambini, di cui due bloccati a letto incastrati come pedine di tetris in tubi, tubicini e aghi attaccati a respiratori e altri macchinari. Guardo la mia compagna d’avventura fare qualche bolla di sapone per una di questi due bimbi, che accenna sorrisi e ride di gusto con gli occhi, che è il massimo che si può permettere, e sento che ci intrappola nella sua culla di gioia. E’ ora di andare, ci allontaniamo e sentiamo che la piccola inizia a piangere e arriva l’infermiera, allunghiamo il passo un poco tristi consapevoli di quanto abbiamo portato in così poco tempo, ma soprattutto di quanto queste piccole creature indifese ci hanno regalato.
Corsa all’ultimo reparto, dall’altra parte dell’ospedale ci aspetta Biancaneve, l’unica ospite del reparto di Maxillo. E qui non è il cuore che perde un colpo, ma la mia vena pagliacciosa che finalmente si sblocca e riesco a fare una magia dall’inizio alla fine Grazie Biancaneve, che in fondo, anche se dicevi di no, un po’ di magia con te ce l’hai e mi hai fatto un incantesimo.
Il tempo ricomincia a scorrere, sono passate 3 ore dalla foto di inizio pomeriggio. Pit-stop al bar, baci e saluti ai miei amici fantasticissimamente comici che hanno condiviso quest’esperienza estasiante con me.
Dopo qualche ora mi ritrovo sul divano di casa, sola, al buio con la tv accesa ma che non guardo, perché tutto torna nella mia mente come passaggi di un libro che poco a poco inizio a sfogliare, e mentre mi avvicino alla fine la commozione prende il sopravvento e le lacrime fluiscono sulle guance per raggiungersi sotto il mento. Sono partita pensando a cosa avrei potuto fare per far felice, per un istante, un bambino. Quello che non sapevo è che da questa giornata sarei tornata con un regalo infinitamente prezioso: l’amore incondizionato verso l’altro.

SOTTO I CAMICI, SIAMO COMICI. E QUALCHE VOLTA CI EMOZIONIAMO.
Grazie ai miei compagni d’avventura, come sempre siete eccezionali e indispensabili!
GaiaRicci





per la me di oggi , è uno dei piu' bei blog mai letti :cuore

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« immagine » Quanto Amore c'è nell'aria. Un regalo infinitamente prezioso. Questa mattina mi sono svegliata con il volto bagnato da un filo di lacrime. L’emozione ha deciso di prendersi tutta me stessa e non abbandonarmi per un po’. E'stata per me una giornata inaspettatamente, meravigliosamente ...
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18/05/2016 14:56:02
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Ciro detto Penniello e Jonathan..

04 maggio 2016 ore 11:55 segnala


Ciro e il gabbiano Jonathan, dodici anni di "appuntamenti" in mare.
Un’amicizia vera, una storia d’altri tempi.



Uno, Ciro Di Scala, per tutti Ciro “Penniello” , è un pescatore dal volto scavato dal sole, già capitano di lungo corso: la sua casa è quella distesa azzurra che circonda Ischia, la sua isola.
L’altro è Jonathan, proprio come il celebre Livingstone, quello del romanzo di Richard Bach. Per i loro appuntamenti non si sono mai dati coordinate precise.
“Perché lui mi ha sempre cercato e trovato - racconta orgoglioso Ciro - riconoscendo me e la mia barca. Se andavo a nord, veniva a nord. Se andavo a levante, eccolo arrivare, puntuale, in cerca di affetto.
E di qualche merluzzetto, naturalmente”.

La favola - che sembra prendere forma dalla penna di Esopo - arriva invece dalla più grande delle isole del Golfo di Napoli, dove la pesca sembra essere sempre meno redditizia, malgrado colori e melodie del mercato del pesce, che anima tutte le mattine il chiassoso pontile di Ischia Ponte, dirimpetto al castello aragonese.

Ciro e Jonathan si sono incontrati per dodici anni consecutivi. “Come faccio a sapere che fosse lui? Semplice: ha un anello identificativo sulla zampa. E poi con il feeling che si è instaurato abbiamo iniziato a riconoscerci anche a distanza.
Qualche volta, che credete, veniva anche con sua moglie (testuale, n.d.r.). Io e lui ci vogliamo bene”. Da circa un anno, il pescatore è però andato in pensione.
“Ho venduto la barca, ma quando capita di uscire in mare, Jonathan mi raggiunge e mi fa la festa, lo stesso. Come se mi aspettasse”.

E quell’anello identificativo posto sulla zampa del gabbiano ha consentito di risalire alla sua storia, tutt’altro che banale: perché Jonathan, come ricostruito dal team di “Lineablu” nella puntata andata in onda lo scorso 30 aprile,
è nato a Zannone, una delle isole pontine, dove è stato inanellato diciassette anni fa, il 28 maggio 1999. Dunque, è un gabbiano di circa diciassette anni: quasi un record di longevità. “Eh, siamo anzianotti tutti e due (Ciro è classe 1948, n.d.r.).
Ci siamo fatti compagnia per molti anni”, sorride il pescatore. Altra curiosità: nel 2014 Jonathan è stato avvistato alla foce del Rodano. In libera uscita, perché - spiega il pescatore - “la sua casa è qui”.

C’è anche chi sorride, della storia ischitana tra Ciro e il gabbiano. “Tutta invidia! - taglia corto lui - Qualcuno ogni tanto mi dice: statte accuorto, che te lo ammazziamo.
Ci devono solo provare, quello per me è come un fratello.
Ma voi lo sapete che mi portava a vedere la sua famiglia, ogni tanto? Mi faceva la festa, poi all’ora del pesce io scherzavo e gli facevo segno come se non ci fosse nulla.
Ma lui non ci cascava. E aspettava svolazzandomi tutt’intorno. Fino a quando il merluzzo non usciva, come per magia”.
E il pescatore dal cuore tenero ha immortalato molti di questi suoi incontri: dedicando un prezioso album fotografico all’amicizia “impossibile” tra uomo e uccello, sullo sfondo del mare azzurro di Ischia.

Web


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« immagine » Ciro e il gabbiano Jonathan, dodici anni di "appuntamenti" in mare. Un’amicizia vera, una storia d’altri tempi. Uno, Ciro Di Scala, per tutti Ciro “Penniello” , è un pescatore dal volto scavato dal sole, già capitano di lungo corso: la sua casa è quella distesa azzurra che circond...
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Un girello..

28 aprile 2016 ore 12:04 segnala


dopo avergli tolto dai piedi il bimbo , tu che faresti?
se sei impressionabile, non guardarlo , sto' male anch'io.

non esiste copia di questo video sul tubo, purtroppo costretta a pubblicare link
https://it-it.facebook.com/toglimiunacuriosita/videos/486289444898356/
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« immagine » dopo avergli tolto dai piedi il bimbo , tu che faresti? se sei impressionabile, non guardarlo , sto' male anch'io. non esiste copia di questo video sul tubo, purtroppo costretta a pubblicare link https://it-it.facebook.com/toglimiunacuriosita/videos/486289444898356/
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Portatore sano di immaginazione...

21 aprile 2016 ore 13:35 segnala


Forse, se togliessimo loro un pochino di televisione, anche i nostri bambini ricomincerebbero a leggere ed immaginare?....cosi' solo un'idea. :shy

Mani di bambini protese ad arraffare libri come se fossero pagnotte. Certe scene possono giusto succedere in qualche borgo desolato dell’Afghanistan. Ma procurano pur sempre una scossa al cuore. Come quell’uomo, che è chiaramente un angelo. Si chiama Saber Hosseini e durante la settimana fa il maestro a Bamiyan, in una scuola di città. Il sabato e la domenica inforca la bici e pedala per le mulattiere di un Paese in guerra fino ai villaggi non lambiti dall’istruzione, per insegnarvi a leggere e scrivere. Nella cesta del suo bolide infila una mestolata di libri: poeti locali, ma anche traduzioni del «Piccolo Principe» e del «Richiamo della foresta». La volta successiva ritira quelli già letti e ne consegna degli altri. Un portatore sano di immaginazione.

Pare che il virus sia contagioso. I bambini divorano le storie e aspettano il ritorno del maestro per raccontargliele e fare il pieno di nuove avventure. Lui non ci guadagna niente. Anzi, utilizza una parte del suo stipendio e di quello di alcuni suoi colleghi per rimpolpare la biblioteca itinerante. In realtà ci guadagna le facce dei piccoli alunni quando lo vedono arrivare. Dice che non hanno prezzo.


Gramellini 21/4/2016
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« immagine » Forse, se togliessimo loro un pochino di televisione, anche i nostri bambini ricomincerebbero a leggere ed immaginare?....cosi' solo un'idea. :shy Mani di bambini protese ad arraffare libri come se fossero pagnotte. Certe scene possono giusto succedere in qualche borgo desolato del...
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Forse...soleggera' ?

08 aprile 2016 ore 14:58 segnala


Forse ho sempre saputo che fosse la piu' bella parola del nostro vocabolario.
Forse ha un'infinita gamma di possibilità in se'.
Forse non determina essere incerti.
Forse non chiude ne' domande ne' riposte.
Forse non ve ne frega un fico...forse..
Forse avevo voglia di scrivere qualcosa..
Forse non sapevo che post mettere..
Forse non dovrei usare questi tanti "non"
Forse dovrei utilizzare la frase capovolta in positivo..
Forse per ognuno di noi esiste la parola piu' bella..
Forse dovrei utilizzarla un po' meno ? :shy

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« immagine » Forse ho sempre saputo che fosse la piu' bella parola del nostro vocabolario. Forse ha un'infinita gamma di possibilità in se'. Forse non determina essere incerti. Forse non chiude ne' domande ne' riposte. Forse non ve ne frega un fico...forse.. Forse avevo voglia di scrivere qualcos...
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E Dio mi fece donna

05 aprile 2016 ore 16:19 segnala

Christoffer Wilhelm Eckersberg (1841)

E Dio mi fece donna,
con capelli lunghi,
occhi, naso e bocca di donna.
Con curve e pieghe e dolci avvallamenti
e mi ha scavato dentro,
mi ha reso fabbrica di esseri umani.
Ha intessuto delicatamente i miei nervi
e bilanciato con cura
il numero dei miei ormoni.
Ha composto il mio sangue
e lo ha iniettato in me
perché irrigasse tutto il mio corpo;
nacquero così le idee,
i sogni, l’istinto
Tutto quel che ha creato soavemente
a colpi di mantice
e di trapano d’amore,
le mille e una cosa che mi fanno donna
ogni giorno per cui mi alzo orgogliosa
tutte le mattine e benedico il mio sesso.

G.Belli


Trovo sia bella e sensuale , colorata a tinte forti, molto forti ,
ed allo stesso tempo delicate come petali dove già appoggiarci un dito sarebbe un sacrilegio, un peccato.
Inoltre l'ho incontrata in un blog dove un'uomo la dedicava alle donne, alle donne sottomesse, violentate.. alle donne frustrate ed infelici.
e questo me la fa' apparire ancora piu' speciale.
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« immagine » Christoffer Wilhelm Eckersberg (1841) E Dio mi fece donna, con capelli lunghi, occhi, naso e bocca di donna. Con curve e pieghe e dolci avvallamenti e mi ha scavato dentro, mi ha reso fabbrica di esseri umani. Ha intessuto delicatamente i miei nervi e bilanciato con cura il numero d...
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Cancellarsi

30 marzo 2016 ore 15:52 segnala




L’altro giorno ero su un treno, su uno di quei treni regionali che a me piacciono più dei treni Eurostar, degli Intercity, dei Freccia Rossa e dei Freccia Argento, non so come mai, mi fanno venire in mente delle espressioni come appena appena, o quasi quasi, o così così, o meno meno (come sei meno meno), che sono espressioni che rimandano a un mondo che non ce la fa quasi più che mi piace moltissimo, una condizione del genere, a me una volta è venuto da pensare che io ormai è una vita, che sono sul punto di rassegnarmi, e forse è per quello, che mi trovo così bene su quei treni, perché sembrano treni che non ce la fan quasi più, che sono sul punto di rassegnarsi e l’altro giorno, tornavo da Cesena, ero stato alla facoltà di architettura a ragionare di case emiliane, esistono le case emiliane?, e quelle romagnole?, c’è un’architettura emiliana?, e un’architettura romagnola?, ero stato due ore nella facoltà di architettura a farmi delle domande del genere e quando ero montato sul treno avevo guardato la posta elettronica, sul mio telefono, avevo visto che avevo ricevuto una mail dal negozio elettronico della Feltrinelli avevo pensato che io non le volevo mica ricevere, delle mail dal negozio elettronico della Feltrinelli, e avevo cercato in fondo alla mail il modo di cancellarmi, avevo trovato una scritta che diceva: se non vuole ricevere più questa newsletter clicchi qui, e ci avevo cliccato.
E mi era comparsa una scritta che diceva: «La tua richiesta di disiscrizione è stata registrata correttamente; da questo momento non riceverai più la nostra newsletter. Nel caso in cui dovessi ricevere ancora mail, è perché sono state pianificate prima della ricezione della tua richiesta di disiscrizione».
Che a me era sembrato un messaggio stranissimo per due motivi: per via del fatto che mi dicevano che non avrei ricevuto più le loro mail e che forse ne avrei ricevute ancora, e per via del fatto che in questo messaggio si usava per due volte una parola che non avevo mai visto e che non conoscevo: disiscrizione.
Che io, se fosse stato qualcun altro a scrivermi, avrei pensato a un errore, ma siccome la mail veniva dalla Feltrinelli, che è una delle più importati case editrici italiane, ho pensato che non erano loro che avevan sbagliato, ero io, che ero rimasto indietro.
La lingua, del resto, lo sappiamo, è fatta così, va verso la semplificazione, uno si iscrive e si disiscrive: iscrizione – disiscrizione. Perché usare cancellazione, che è brutto? Disiscrizione è molto più facile e intuitivo, e il meccanismo si può applicare anche ad altri processi, uno per esempio nasce e poi disnasce.
Pensate a un dialogo del tipo «Come stai?», «Male», «Come mai?», «È disnato mio cugino»; uno viene promosso, o dispromosso, «A me alle superiori mi han dispromosso due volte»; uno al mattino si veste, alla sera si disveste «Vieni a letto!», «Aspetta che mi disvesto», ho pensato l’altro giorno sul treno a disandare a Cesena che ci ero andato a parlar di architettura e stavo disandando a Bologna dove sarei dovuto poi andare in biblioteca a disprendere in prestito un libro, poi a fare la spesa, poi a casa a dispranzare, poi alla sera avrei fatto lezione alla scuola elementare di scrittura emiliana (una discuola di scrittura) e poi, finalmente, verso mezzanotte, avrei potuto dissvegliarmi, che mi ero disaddormentato alle sei mattino, quel giorno lì, una bella disriposata.


articolo di paolo nori , credo sia un giornalista di Libero (se interessa, a me no) , mi è piaciuto l' ho copiato ed incollato..qui' .
Quest' articolo ha raccolto una sacco di dissensi, critiche e pure qualche insulto.
Credo che pochi abbiano accolto/raccolto la sua vena ironica e giocosa ma lanciato un' occhio solo su altro che poco aveva a che fare con il concetto esposto, commenti di facciata , vabbe'..he a me piaciuto punto. :-)
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« immagine » L’altro giorno ero su un treno, su uno di quei treni regionali che a me piacciono più dei treni Eurostar, degli Intercity, dei Freccia Rossa e dei Freccia Argento, non so come mai, mi fanno venire in mente delle espressioni come appena appena, o quasi quasi, o così così, o meno men...
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La paura non dà mai risposte. Fa solo domande.

23 marzo 2016 ore 12:18 segnala


Non facciamoci fermare dal mostro della paura

Se la paura è un mostro che si nutre di buio, la scena del Martedì di Passione che ci resterà impressa nella mente l’ha ripresa un telefonino nelle viscere della metropolitana di Bruxelles. Il treno si è appena fermato in mezzo al tunnel e i passeggeri scendono dai vagoni per incamminarsi lungo le rotaie, verso la stazione più vicina. Nei loro gesti non si respira il panico dell’aeroporto, dove tutti correvano a perdifiato trascinandosi appresso i carrelli. Forse qui sotto non hanno ancora la percezione esatta di cosa è successo. Qui il buio e il silenzio avvolgono ogni azione e ogni emozione. A sporcarli affiorano il bagliore tenue delle luci di emergenza e il pianto isolato di un bambino. Ma gli adulti non piangono e non urlano. Neppure parlano. Si limitano a camminare silenziosi in fila per due, ascoltando il rumore dei propri passi senza rallentare né correre, come durante una processione.

A un certo punto la camera del telefonino inquadra un uomo con un corpetto blu solcato da un’enorme scritta Nike.

Cammina da solo in mezzo alle rotaie e tiene in mano un mazzo di fiori bianchi e rossi. Sembra quasi sollevarli con cura, affinché la polvere che sale dal basso non deturpi troppo la loro innocenza. Chissà a cos’erano destinati: se a battezzare una laurea, il vincitore di una gara sportiva o un appuntamento galante di prima mattina. La scena ha un effetto surreale che trascende nel magico: dopo tanto buio, in fondo al tunnel si comincia a intravedere una luce.

Anche noi vorremmo vedere la luce, sperando non sia quella di un treno in corsa che procede contromano. Dopo la mattanza dei vignettisti di Charlie Hebdo eravamo sconvolti, ma immaginavamo ancora che il terrore colpisse obiettivi mirati. Dopo il Bataclan abbiamo capito che non era così, ma continuavamo a sperare che si trattasse di un attentato sporadico, non di un atto bellico a cui ne sarebbero seguiti molti altri. Finché è arrivata la battaglia di Bruxelles a ricordarci che qualcuno ci ha dichiarato guerra e che qualunque muro eretto tra noi e il nemico è ridicolo perché il nemico è già penetrato nella fortezza Europa. Ci è nato, ha frequentato le sue scuole, usufruito dei suoi servizi, imparato le sue lingue e quanto basta dei suoi costumi per coglierne gli aspetti più vulnerabili. I disperati che scappano dalla guerra e i fanatici che ce la portano in casa sono due problemi enormi, ma molto diversi tra loro, che non verranno mai risolti se affrontati allo stesso modo.

La paura non dà mai risposte. Fa solo domande. La più stringente se la stanno ponendo le persone che avevano prenotato un viaggio all’estero per i giorni di Pasqua. Rinunciare, a costo di rimetterci dei soldi? O sfidare il destino, accettando il rischio di salire su un aereo, ma ormai anche su una metropolitana? E qual è il limite da dare all’espressione «viaggio all’estero», quando il terrore invade la capitale stessa dell’Europa?

L’essere umano opta tendenzialmente per la soluzione che risuona meno pericolosa al suo carattere. Il fatto è che questa soluzione si sta rattrappendo di mese in mese, come il numero di Paesi sulla cartina geografica in cui sia ancora possibile immaginare di trascorrere una vacanza senza infilare troppa angoscia in valigia. E’ il ricatto del terrorismo, lo sappiamo, ma conosce un limite nel nostro desiderio naturale di muoverci, accettando rischi calcolati. I treni e gli aeroporti torneranno a popolarsi, perché nessuno è disposto a rinunciare al piacere di percorrere in libertà almeno la porzione di terra che gli è toccata in sorte. Quell’Europa che, paradossalmente, la tragedia spagnola del pullman dell’Erasmus e gli attentati di Bruxelles ci stanno facendo sentire finalmente nostra.

Restringendo la visuale all’Italia, bisogna riconoscere che la sua prolungata impermeabilità ai sicari del Califfo non è frutto del caso o di un accordo segreto con la mafia, come giurano i dietrologi che tutto sanno, ma dello straordinario lavoro di una tra le Intelligence migliori del mondo. Si dice che l’esercizio sviluppa l’organo e i servizi italiani si sono addestrati attraverso mezzo secolo di lotta al terrorismo politico e alla criminalità organizzata, fino a raggiungere livelli di efficienza e di prestigio che le frange di agenti «deviati» non sono riusciti a macchiare. Forse un giorno verremo a sapere quante Bruxelles sono state risparmiate agli italiani in questi anni, grazie ai controlli e alle intercettazioni che qualche anima candida vorrebbe abolire.

La paura è un sentimento reazionario che spinge verso scelte reazionarie. Storicamente trascina i popoli alla dittatura, nell’illusione che sospendere le garanzie democratiche possa proteggere meglio dal terrore. In realtà il populismo porta all’isolamento e l’isolamento non fa che aumentare il pericolo. Ma se avere paura è un diritto, e in certa misura un dovere, anche non perdere la testa lo è. Si brancola al buio come nel tunnel di Bruxelles, eppure si comincia a intravedere una luce. L’interruttore lo hanno in mano i leader europei. Cercheranno l’applauso facile delle opinioni pubbliche, sollevando ponti levatoi nel cuore dell’Europa, oppure useranno l’emergenza per accelerare il processo di integrazione tra le polizie continentali? Forse il terrorismo, come la paura, non si combatte alzando muri, ma gettando reti.

23/03/2016
Massimo Gramellini

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guarda stupisci.. com'è ridotto questo uomo per te .....

07 marzo 2016 ore 10:52 segnala


Stamattina ...il caso ha voluto che proprio nel giorno del tuo anniversario alla radio dessero "Agata", una di quelle che canticchiavi spesso, quante volte mi son sentita cantar dietro la frase che ho postato nel titolo..
a volte come un rimprovero, a volte come incoraggiamento a volte pure stupore..ma sopratutto Amore..
Oggi te la dedico io , mi manchi fisicamente da 26 anni, ma se ti cerco ti trovo sempre , sempre.
Grazie Papi..qui' non vado oltre, solo il giusto , il resto in pvt tra il mio cuore e le tue magnifiche Ali. :cuore



io mme metto ‘o steccadente in bocca
pe’ nun fuma’
nun ce veco e nun mm’accatto ‘e llente
pe’ sparagna’
vivo solo col mensile
d’impiegato comunale
spacco ‘a lira spacco ‘o soldo
spacco pure ‘o duje cente’
spacco ‘e scarpe e nun mm’accatto
pe’ te fa fa’ lusso a tte
e tu invece te la intendi
col padrone di un caffe’
agata tu mi capisci agata
tu mi tradisci agata
guarda stupisci com’e’ ridotto
quest’uomo per te
mm’accattaje nu cappelluccio tuosto
tre anni fa
e ‘a tre anne ‘o tengo sempe ‘ncapa
nun c’e’ che fa’
stu vestito grigio scuro
s’e’ cambiato di colore
mo s’e’ fatto verde chiaro
era n’abito ‘e papa’
e mm’ha ditto ‘o cusetore
nun ‘o pozzo arrevuta’
ll’aggio troppo arrevutato
ve cunziglio do jetta’
oh, agata tu mi capisci agata
tu mi tradisci agata guarda stupisci
com’e’ ridotto quest’uomo per te
ho ridotto il pasto giornaliero
sempre per te
‘a matina nu bicchiere d’acqua
senza caffe’
vengo a casa e nun te trovo
‘o purtiere tene ‘e chiave
dov’e’ andata, ‘a sala ‘e ballo
mi commuovo e penzo che
te facive ‘a partetella
tutte ssere ‘nziem’a me
mo mme faccio ‘o sulitario
guardo in cielo e penzo a te
agata tu mi capisci agata
tu mi tradisci agata guarda stupisci
ch’e’ ridotto quest’uomo per te
agata guarda stupisci
eh, stupisci!
ch’e’ ridotto quest’uomo per te… :-)
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« immagine » Stamattina ...il caso ha voluto che proprio nel giorno del tuo anniversario alla radio dessero "Agata", una di quelle che canticchiavi spesso, quante volte mi son sentita cantar dietro la frase che ho postato nel titolo.. a volte come un rimprovero, a volte come incoraggiamento a vo...
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07/03/2016 10:52:32
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