Chatta: ovvero il silenzio degli innocenti...

03 giugno 2014 ore 13:46 segnala


Ho scritto allo staff di Chatta lamentandomi dell'improvvisa sparizione dei mie oltre novantamila contatti (riportati a zero) e dopo una risposta del tipo "Ho visto e appena avrò notizie ti tarò sapere" e una mia nuova mail dopo qualche giorno, l'unica cosa che ne ho ricevuto è stata ...il silenzio.
E' il caso di dirlo: il silenzio degli innocenti :-)))


Questa era la situazione visite al 2 maggio 2014:

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Scrive dal: 03/09/2008


Il giorno in cui scrissi il mio ultimo post le visite erano ...98 :-))
In questo momento sono 1324 (in 16 giorni) ;-)
E' evidente che nei 5 anni e mezzo precedenti non potevano certo essere vicine allo zero :-)))

Lo so, non è che sia una gran perdita, ma a me ha dato e dà molto fastidio questa cosa. Come dà fastidio vedere blog non aggiornati da anni con una valutazione eccezionale, mentre il mio, dopo sei anni era, nel momento dell'azzeramento, "da valutare". :-)))
Un saluto a tutti.

Torno al silenzio :-)

Il silenzio del ...colpevole :-x

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« immagine » Ho scritto allo staff di Chatta lamentandomi dell'improvvisa sparizione dei mie oltre novantamila contatti (riportati a zero) e dopo una risposta del tipo "Ho visto e appena avrò notizie ti tarò sapere" e una mia nuova mail dopo qualche giorno, l'unica cosa che ne ho ricevuto è stata...
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98 visite :-))

17 maggio 2014 ore 19:07 segnala


Chatta migliora di giorno in giorno.

Fino a qualche giorno fa avevo oltre novantamila visite (frutto di quasi sei anni di esistenza del blog) e oggi leggo: 98 visite nonostante 328 post scritti.

Una media da ...retrocessione. :-)))

Un blog che per anni fu tra i primi (finché esisterono le classifiche) oggi mestamente sta a 31 di gradimento ed è "da valutare".

Ottimo! :-)))

Probabilmente il numero di visite è solo un bug temporaneo, ma il resto è mestamente vero e duraturo.

Un saluto a coloro che mi apprezzarono: faccio che chiudere :-)



o anche no


PS: Non calcello il blog perché non mi va cha vada perduto tutto ciò che ho scritto negli anni. Chi vorrà potrà sempre leggersi i post arretrati. Qualcosa di buono c'è. ;-)
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« immagine » Chatta migliora di giorno in giorno. Fino a qualche giorno fa avevo oltre novantamila visite (frutto di quasi sei anni di esistenza del blog) e oggi leggo: 98 visite nonostante 328 post scritti. Una media da ...retrocessione. :-))) Un blog che per anni fu tra i primi (finché es...
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- Eskimo -

02 maggio 2014 ore 22:13 segnala


Questa domenica in Settembre non sarebbe pesata così,
l' estate finiva più "nature" vent' anni fa o giù di lì...
Con l' incoscienza dentro al basso ventre e alcuni audaci, in tasca "l'Unità",
la paghi tutta, e a prezzi d' inflazione, quella che chiaman la maturità...

Ma tu non sei cambiata di molto anche se adesso è al vento quello che
io per vederlo ci ho impiegato tanto filosofando pure sui perchè,
ma tu non sei cambiata di tanto e se cos' è un orgasmo ora lo sai
potrai capire i miei vent' anni allora, i quasi cento adesso capirai...




Portavo allora un eskimo innocente dettato solo dalla povertà,
non era la rivolta permanente: diciamo che non c' era e tanto fa.
Portavo una coscienza immacolata che tu tendevi a uccidere, però
inutilmente ti ci sei provata con foto di famiglia o paletò...

E quanto son cambiato da allora e l'eskimo che conoscevi tu
lo porta addosso mio fratello ancora e tu lo porteresti e non puoi più,
bisogna saper scegliere in tempo, non arrivarci per contrarietà:
tu giri adesso con le tette al vento, io ci giravo già vent' anni fa!

Ricordi fui con te a Santa Lucia, al portico dei Servi per Natale,
credevo che Bologna fosse mia: ballammo insieme all' anno o a Carnevale.
Lasciammo allora tutti e due un qualcuno che non ne fece un dramma o non lo so,
ma con i miei maglioni ero a disagio e mi pesava quel tuo paletò...

Ma avevo la rivolta fra le dita, dei soldi in tasca niente e tu lo sai
e mi pagavi il cinema stupita e non ti era toccato farlo mai!
Perchè mi amavi non l' ho mai capito così diverso da quei tuoi cliché,
perchè fra i tanti, bella, che hai colpito ti sei gettata addosso proprio a me...

Infatti i fiori della prima volta non c' erano già più nel sessantotto,
scoppiava finalmente la rivolta oppure in qualche modo mi ero rotto,
tu li aspettavi ancora, ma io già urlavo che Dio era morto, a monte, ma però
contro il sistema anch' io mi ribellavo cioè, sognando Dylan e i provos...

E Gianni, ritornato da Londra, a lungo ci parlò dell' LSD,
tenne una quasi conferenza colta sul suo viaggio di nozze stile freak
e noi non l' avevamo mai fatto e noi che non l' avremmo fatto mai,
quell' erba ci cresceva tutt' attorno, per noi crescevan solo i nostri guai...

Forse ci consolava far l' amore, ma precari in quel senso si era già
un buco da un amico, un letto a ore su cui passava tutta la città.
L'amore fatto alla "boia d' un Giuda" e al freddo in quella stanza di altri e spoglia:
vederti o non vederti tutta nuda era un fatto di clima e non di voglia!

E adesso che potremmo anche farlo e adesso che problemi non ne ho,
che nostalgia per quelli contro un muro o dentro a un cine o là dove si può...
E adesso che sappiam quasi tutto e adesso che problemi non ne hai,
per nostalgia, lo rifaremmo in piedi scordando la moquette stile e l'Hi-Fi...

Diciamolo per dire, ma davvero si ride per non piangere perchè
se penso a quella che eri, a quel che ero, che compassione che ho per me e per te.
Eppure a volte non mi spiacerebbe essere quelli di quei tempi là,
sarà per aver quindici anni in meno o avere tutto per possibilità...

Perchè a vent' anni è tutto ancora intero, perchè a vent' anni è tutto chi lo sa,
a vent'anni si è stupidi davvero, quante balle si ha in testa a quell' età,
oppure allora si era solo noi non c' entra o meno quella gioventù:
di discussioni, caroselli, eroi quel ch'è rimasto dimmelo un po' tu...

E questa domenica in Settembre se ne sta lentamente per finire
come le tante via, distrattamente, a cercare di fare o di capire.
Forse lo stan pensando anche gli amici, gli andati, i rassegnati, i soddisfatti,
giocando a dire che si era più felici, pensando a chi s' è perso o no a quei party...

Ed io che ho sempre un eskimo addosso uguale a quello che ricorderai,
io, come sempre, faccio quel che posso, domani poi ci penserò se mai
ed io ti canterò questa canzone uguale a tante che già ti cantai:
ignorala come hai ignorato le altre e poi saran le ultime oramai..



Francesco Guccini
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« video » Questa domenica in Settembre non sarebbe pesata così, l' estate finiva più "nature" vent' anni fa o giù di lì... Con l' incoscienza dentro al basso ventre e alcuni audaci, in tasca "l'Unità", la paghi tutta, e a prezzi d' inflazione, quella che chiaman la maturità... Ma tu non sei camb...
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si spegnerà di me e della mia nave anche il ricordo

29 marzo 2014 ore 12:38 segnala


Io che ho doppiato tre volte Capo Horn
e ho navigato sette volte i sette mari
e ho visto mostri ed animali rari,
l’anfesibena, le sirene, l’unicorno.
Io che tornavo fiero ad ogni porto
dopo una lotta, dopo un arrembaggio,
non son più quello e non ho più il coraggio
di veleggiare su un vascello morto.

Dov’è la ciurma che mi accompagnava
e assecondava ogni ribalderia?
Dov'è la forza che ci circondava?
Ora si è spenta ormai, sparita via.

Guardo le vele pendere afflosciate
con i cordami a penzolar nel vuoto,
che sbatton lenti contro le murate
con un moto continuo, senza scopo.

E vedo in aria un’insensata danza
di strani uccelli contro il cielo bigio
cantare un canto in questo mondo grigio,
un canto sordo ormai, senza speranza.
E qui da solo penso al mio passato,
vado a ritroso e frugo la mia vita,
una saga smarrita ed infinita
di quel che ho fatto, di quello che è stato.

Le verità non vere in cui credevo
scoppiavano spargendosi d’intorno,
ma altre ne avevo e giorno dopo giorno
se morivo più forte rinascevo.
E ora son solo e non ho più il conforto
di amici andati e sempre più mi assale
la noia a vuotar l’ultimo boccale
come un pensiero che mi si è ritorto.

Ma ancora farò vela e partirò
io da solo, e anche se sfinito,
la prua indirizzo verso l’infinito
che prima o poi, lo so, raggiungerò.

L’Ultima Thule attende al Nord estremo,
regno di ghiaccio eterno, senza vita,
e lassù questa mia sarà finita
nel freddo dove tutti finiremo.

L’Ultima Thule attende e dentro il fiordo
si spegnerà per sempre ogni passione,
si perderà in un’ultima canzone
di me e della mia nave anche il ricordo.

Francesco Guccini
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« immagine » Io che ho doppiato tre volte Capo Horn e ho navigato sette volte i sette mari e ho visto mostri ed animali rari, l’anfesibena, le sirene, l’unicorno. Io che tornavo fiero ad ogni porto dopo una lotta, dopo un arrembaggio, non son più quello e non ho più il coraggio di veleggiare su u...
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Il 24 maggio...

25 marzo 2014 ore 00:21 segnala


Il 24 Maggio 1915 l'Italia dichiarava guerra all'Austria entrando nella prima guerra mondiale che già era iniziata il 28 luglio del 1914 tra l'Impero Austro Ungarico e il Regno di Serbia per poi allargarsi per effetto delle alleanze a molte nazioni europee e addirittura al lontanissimo Giappone. In Italia ci fu un tumultuoso dibattito tra interventisti e neutralisti, ma alla fine prevalsero i primi.



Riporto di seguito uno splendido articolo di Indro Montanelli scritto in forma di diario familiare che racconta di quei giorni e di quelli che seguirono.

Al compleanno del Vecchio c’eravamo tutti e fu stabilito che la conversazione s’incentrasse sull’acquisto di una nuova fornace Anche noi nipotini venimmo indottrinati a evitare che fosse pronunciata la parola «intervento» nemmeno riferita ai mattoni.
Quel 24 maggio del 1915 avrebbe dovuto essere in casa nostra di festa perché segnava il sessantesimo compleanno del Vecchio, come già veniva chiamato mio nonno. E almeno formalmente lo fu. All’adunata generale nel «palazzone» (così chiamato, ma solo per le sue dimensioni) nella parte alta di Fucecchio, e il cui unico lusso era un giardino pensile a tre piani, c’eravamo tutti: i quattro figli, di cui uno laureato, gli altri studenti universitari, e le tre figlie di cui due sposate con relativa prole fra cui io, che avevo fatto da poco sei anni.

Ma sotto sotto covava la discordia per via della guerra. I miei zii erano tutti ardenti interventisti. Uno perché repubblicano ortodosso, e quindi nemico giurato degli Imperi Centrali. Un altro perché socialista alla Bissolati, che nella guerra vedeva la guerra alla guerra. Il terzo perché, ammaliato dal Vate D’Annunzio, ci vedeva la fuga dalla mediocrità e la «bella avventura». L’ultimo, liceale diciassettenne, per amor di baldoria e voglia di menar le mani.

Liberale giolittiano, il Vecchio era invece neutralista irriducibile («L’Italia – diceva – è appiccicata con lo sputo: non ha le ossa per affrontare una simile prova: ci si spappolerà»). Ma trovava appoggio solo in un suo genero, Giulio Nardini, capitano medico che da Tenente si era guadagnata una medaglia d’argento a Adua dove, con una coscia trapassata da una pallottola abissina, era riuscito a sgombrare quasi tutti i feriti del suo ospedaletto da campo; e, caduto prigioniero, era stato condotto a piedi e febbricitante fino a Addis Abeba, dov’era diventato medico di Menelik, il quale gli aveva affidato la cura di un suo nipotino malaticcio, di nome Tafari, il futuro Hailè Selassiè . «Contro i tedeschi? – diceva – Ma siamo matti? Loro, la guerra la sanno fare...».

Per i lunghi mesi della vigilia, discussioni e litigi in casa non ce n’erano stati. Nessuno avrebbe osato dare sulla voce al Vecchio che, da liberale, riconosceva ai giovani il diritto alle «mattane». Solo quando sapeva che uno di loro era stato arrestato per qualcuna di queste mattane che mettevano a soqquadro il paese, andava dal maresciallo dei carabinieri per raccomandargli di tenerlo al fresco piu’a lungo che poteva.
Col pieno consenso di sua moglie, mia nonna. La quale non solo si chiamava Rosmunda, ma lo era, lo rimase fino a novant’anni, e uno dei suoi ultimi gesti fu un solenne ceffone a una sua figlia ultracinquantenne che aveva osato darle sulla voce. In casa quindi l’argomento guerra era considerato off limits. Ma covava in tutti i rapporti e conversari che avevano assunto qualcosa di convenzionale, rendendoli faticosi. E questo si avvertiva soprattutto ai pasti ai quali – a mezzogiorno in punto e alle sette di sera altrettanto in punto – non si poteva mancare che per qualche causa di forza maggiore, e che costituivano i due maggiori riti del culto domestico. Da garruli quali erano sempre stati, e scoppiettanti di reciproci sfottò, da cui solo il Vecchio era immune, senza diritto a fermarli, si erano fatti stentati, evasivi, e carichi di nuvole, anche se non davano acqua. Ma quel 24 maggio era per tutti una dura prova. Non si poteva affrontarlo che come una festa, dato che così lo si era sempre celebrato. Ma stavolta c’era il rischio che la festa venisse interpretata come quella di qualcosa che per il festeggiato rappresentava invece un lutto. Per cui fu stabilito (questo mi fu spiegato, si capisce, parecchio tempo dopo) che la conversazione s’incentrasse sull’acquisto di una nuova fornace di mattoni – la nostra famiglia ne possedeva già due –, e sull’uso che si doveva farne. Ma evitando, anche se riferito ai mattoni, la parola «intervento». E a questo venimmo indottrinati anche noi tre nipotini, che il Vecchio voleva nei giorni canonici alla sua tavola, vasta come una zattera.

Quel pranzo me lo rammento nei minimi dettagli anche perché il suo ricordo fu, nella nostra famiglia, continuamente rinfrescato. Fuori di casa sfilavano, con fanfare e sventolio di bandiere, i «guerrafondai”, come già venivano chiamati dai «panciafichisti». Ma in quella sala da pranzo che dava sul giardino i rumori della strada giungevano così fiochi che si poteva anche ignorarli, o fingere d’ignorarli. Come convenuto, si parlò di mattoni e di fornaci, e delle prospettive di quello che oggi si chiamerebbe «il mercato”, ma allora questo termine non era ancora entrato nel lessico quotidiano, lo si chiamava in un altro modo, non ricordo quale. E qui la discussione corse il rischio di precipitare nell’argomento proibito per lo sconsiderato intervento dello zio diciassettenne (che allo stato civile era iscritto col nome di Curtatone, ma in famiglia era chiamato Bibi), il quale disse che l’acquisto della fornace era certamente un buon affare perché di mattoni, dopo, ci sarebbe stato un gran bisogno. «Dopo cosa?» chiese il Vecchio, e un brivido di sgomento passò nella schiena di tutti, anche di noi ragazzi che non capivamo bene di che si trattasse, ma sentivamo il sottofondo d’imbarazzo che dominava quei conversari. Per fortuna proprio in quel momento la cuoca Filomena entrò, accolta da un grande applauso liberatorio, spingendosi avanti il carrello su cui fumigava la zuppa preferita dal Vecchio: l’acquacotta (la pasta non essendo ancora entrata nel repertorio delle mense toscane). Sicchè, messo da parte quel periglioso dopo, la discussione potè riprendere e procedere senz’altri intoppi fino in fondo, cioè fino al caffè.

Preceduta da quella del Vinsanto coi biscotti di Prato, quella del caffè era una cerimonia a parte, che il Vecchio officiava sempre allo stesso modo, rovesciando un bicchiere vuoto, stendendovi sopra il lungo ed esile sigaro Virginia, sfilandone la pagliuzza che sporgeva fuori da una delle due estremità, usandola a mo’ di miccia, con quella accendendo l’altra estremità del sigaro e lasciandolo per qualche minuto bruciare prima di portarsene alla bocca l’altra estremità . Lo fece anche quel giorno, ma tutti capirono che invece che di un epilogo, qual era sempre stato, stavolta si trattava di un prologo, e di colpo il chiacchiericcio si spense.
Il Vecchio aspettò che quel silenzio si caricasse bene di attesa. Poi, tratta la prima boccata di fumo, e fissando figli e generi negli occhi, disse pacatamente: «L’avete voluta? E ora andate a farla. Da domani, intorno a questa tavola, non voglio vedere piu’nessuno. Tutti in trincea. Anche te – aggiunse rivolgendosi a zio Bibi –, che non hai l’età e quindi hai bisogno del mio permesso. Portami stasera la domanda: te la firmo».
Si alzò . Mi prese per mano (ero il suo preferito), e insieme scendemmo in giardino come lui sempre faceva dopo pranzo. Camminammo un po’ in silenzio. Poi trovai il coraggio di chiedergli: «Nonno, ma la guerra chi la vincerà ?». Mi carezzò la testa, e rispose: «Chi la vincerà, figliolo mio, non lo so. Ma so con sicurezza chi la perderà : l’Italia». E, come mosso a pietà dalla mia aria incomprensiva e smarrita, aggiunse: «Beh, questo ora non puoi capirlo, ma lo capirai da grande”, e riprendemmo a passeggiare. Dopo un po’ mi fermai e gli chiesi: «Ma i tedeschi arriveranno fin qui, come dice zio Giulio?». « È probabile» rispose lui ripigliando a camminare. «E, noi allora che faremo?» incalzai fermandomi a mia volta. «Noi chi? – ribattè lui –. Io e te? Io e te li aspetteremo coi nostri schioppi lì dentro la limonaia, e non smetteremo di sparargli addosso fin quando non ci avranno ammazzato.... Ci stai?».
Ecco come vissi il mio 24 Maggio 1915.

Poscritto.

Partirono tutti, come il Vecchio aveva voluto. Uno non tornò . Di un altro tornò solo un brandello. Il terzo, quello della «bella avventura”, emigrò disgustato in Messico e non si fece piu’ vedere. L’ultimo, accolto dai compaesani a insulti e sputacchi, diventò squadrista, ma dopo l’assassinio di Matteotti uscì clamorosamente dal partito, e ad ogni anniversario del delitto partiva per Roma a portare un mazzo di fiori nel punto del Lungotevere in cui la vittima era stata aggredita e sequestrata. Lì, altrettanto regolarmente, trovava ad aspettarlo un ex camerata fiorentino armato di un bicchiere d’olio di ricino, che mio zio inghiottiva senza protestare. Con gli anni quest’altra cerimonia finì, anzi i due erano ridiventati amici.
E il venticinque luglio si ritrovarono per una bicchierata alla caduta del regime, al termine della quale l’ex ricinista disse: «Ora, grazie a Dio, non c’è piu’nulla a dividerci». «No – disse mio zio –, qualcosina c’è : questa». E tirò fuori, aprendola, una scatolina d’argento piena di qualcosa che somigliava a dei detriti. «È uno scampolino di conseguenze della robina che mi propinavi a Roma, ricordi?» spiegò in risposta allo sguardo interrogativo dell’altro. «Mi contento che tu ne assaggi un cucchiaino. Ma il cucchiaino me lo devi». E non ci fu verso: un cucchiaino, l’altro, dovette trangugiarlo.
Peccato che il Vecchio fosse morto. Avrebbe molto apprezzato quel poscritto. Anzi, vi si sarebbe riconosciuto.

Indro Montanelli
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« immagine » Il 24 Maggio 1915 l'Italia dichiarava guerra all'Austria entrando nella prima guerra mondiale che già era iniziata il 28 luglio del 1914 tra l'Impero Austro Ungarico e il Regno di Serbia per poi allargarsi per effetto delle alleanze a molte nazioni europee e addirittura al lontanissi...
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25/03/2014 00:21:33
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Giornata mondiale della Poesia

21 marzo 2014 ore 23:38 segnala


Forse non molti sanno che nel corso del 1999 l'Unesco decretò che il 21 marzo di ogni anno sarebbe stata la giornata mondiale dedicata alla Poesia. E così dopo la prima del 21 marzo 2000 quella di oggi è stata la quindicesima giornata della Poesia.

Il 21 Marzo essendo il primo giorno di primavera viene a simbolizzare l'importanza della poesia come nascita di ciò che è bello, nuovo, fresco, di ciò che è promozione del dialogo e della comprensione interculturale, della diversità linguistica e culturale, della comunicazione e della pace. (per dirla con l'Unesco)

In questi giorni nei quali spirano dall'est venti che sembrano preludere ad una guerra, fredda al momento, ma che potrebbe incendiarsi in un attimo, mi sembra giusto pubblicare una poesia di Quasimodo e una di Alda Merini per augurarci la pace.



Uomo del mio tempo

Sei ancora quello della pietra e della fionda,
uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,
con le ali maligne, le meridiane di morte,
-t’ho visto- dentro il carro di fuoco, alle forche,
alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu,
con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,
senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,
come sempre, come uccisero i padri, come uccisero,
gli animali che ti videro per la prima volta.
E questo sangue odora come nel giorno
quando il fratello disse all’altro fratello:
“Andiamo ai campi”. E quell’eco fredda, tenace,
è giunta fino a te, dentro la tua giornata.
Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue
salite dalla terra, dimenticate i padri:
le loro tombe affondano nella cenere,
gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.

Salvatore Quasimodo



La pace

La pace che sgorga dal cuore
e a volte diventa sangue,
il tuo amore
che a volte mi tocca
e poi diventa tragedia
la morte qui sulle mie spalle,
come un bambino pieno di fame
che chiede luce e cammina.
Far camminare un bimbo è cosa semplice,
tremendo è portare gli uomini
verso la pace,
essi accontentano la morte
per ogni dove,
come fosse una bocca da sfamare.
Ma tu maestro che ascolti
i palpiti di tanti soldati,
sai che le bocche della morte
sono di cartapesta,
più sinuosi dei dolci
le labbra intoccabili
della donna che t'ama.

Alda Merini
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« immagine » Forse non molti sanno che nel corso del 1999 l'Unesco decretò che il 21 marzo di ogni anno sarebbe stata la giornata mondiale dedicata alla Poesia. E così dopo la prima del 21 marzo 2000 quella di oggi è stata la quindicesima giornata della Poesia. Il 21 Marzo essendo il primo gior...
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Ancora Chinaski

13 marzo 2014 ore 21:44 segnala

Cominciai a star male. Mi ubriacavo, ero sempre pieno come una spugna. Una sera in cucina arrivai perfino a mettermi il coltello della carne alla gola e poi pensai, vacci piano, ragazzo, può darsi che la bambina abbia bisogno di te per andare allo zoo. Gelati, scimpanzé, tigri, uccelli rossi e verdi, e il sole che le tramontava dietro la testa, il sole che tramontava e si insinuava tra i peli delle braccia, vacci piano, ragazzo. Quando tornai in me ero nel soggiorno del mio appartamento, sputavo sul tappeto, mi spegnevo le sigarette sui polsi, ridevo. Pazzo come la Lepre di Marzo. Alzai gli occhi e vidi lo studente di medicina. Tra di noi sul tavolino basso c'era un cuore umano in un bel barattolone di vetro di quelli per la marmellata. Tutt'intorno al cuore umano, che si chiamava come il suo proprietario, Francis, c'erano bottiglie da un quinto di whiskey, vuote, mucchi di bottiglie di birra, portacenere, sporcizia. Presi una bottiglia e inghiottii un infernale miscuglio di birra e cenere. Non mangiavo da 2 settimane. C'era stato un va e vieni continuo di gente.

C'erano stati 7 o 8 festini durante i quali avevo continuato a dire: "Da bere! Da bere! Da bere!" Ero strafatto; loro parlavano... e si toccavano. "Sì," dissi allo studente di medicina, "che cosa vuoi da me?" "Voglio essere il tuo medico personale." "Va bene, dottore, la prima cosa che puoi fare è far sparire quel dannato cuore umano da questa stanza!" "Uh uh." "Che cosa?" "Il cuore resta qui." "Senti, ragazzo, non so come ti chiami..." "Wilbert." "Bene, Wilbert, non so chi sei e come sei arrivato qui ma vattene col tuo Francis!" "No, Francis resta con te." Poi prese la sua borsa e l'apparecchio per misurare la pressione, schiacciò la palla di gomma e il tubo si gonfiò. "Hai la pressione di un diciannovenne," mi disse. "Col cazzo. Senti, non è contro la legge lasciare in giro cuori umani?" Tornerò a prenderlo. Ora, respira forte." "E dire che pensavo di impazzire, alle poste. E adesso arrivi tu." "Zitto! Respira forte." "Quello di cui ho bisogno è un bel pezzo di fica giovane, dottore. Ecco di che cosa ho bisogno." "Hai la spina dorsale fuori posto in 14 punti, Chinaski. Questo aumenta la tensione, l'imbecillità, e spesso porta alla pazzia." "Balle," dissi io... Non ricordo di averlo visto uscire. Mi svegliai sul divano alla 1.10 del pomeriggio, morte nel pomeriggio, e faceva un gran caldo, col sole che filtrava tra le tapparelle rotte e andava a posarsi proprio sul barattolo sul tavolino.


Francis era rimasto tutta la notte con me, a mollo nella formalina, a sguazzare nell'estensione viscosa della diastole morta. Lì, nel barattolo. Sembrava un pezzo di pollo fritto. Voglio dire, da friggere. Identico. Lo presi, lo misi nell'armadio e lo coprii con una camicia stracciata. Poi andai in bagno e vomitai. Finii di vomitare, appoggiai la faccia allo specchio. Avevo tutta la faccia piena di peli neri sporgenti. All'improvviso dovetti sedermi a cacare. Una bella cacata calda. Suonò il campanello. Finii di pulirmi il culo, mi infilai dei vestiti vecchi e andai alla porta. "Salve!" C'era un ragazzo là fuori, coi capelli biondi e lunghi che gli scendevano ai lati del viso e una ragazza nera con un sorriso da pazza dipinto sulla faccia. "Hank?" "Sì. Chi siete voi due?" "Lei è una donna. Non ti ricordi di noi? Alla festa? Abbiamo portato un fiore." "Oh cazzo, venite dentro." Portarono dentro il fiore, un affare rosso-arancio su un gambo verde. Era meglio di tante altre cose, peccato che l'avessero ammazzato. Cercai un vaso, ci misi il fiore, tirai fuori una brocca di vino e la misi sul tavolino. "Non ti ricordi di lei?" chiese il ragazzo. "Hai detto che volevi scoparla." Lei rise. "Bene, ma non adesso." "Chinaski, come credi che tirerai avanti senza le poste?" "Non so. Forse me la scoperò. O mi farò scopare da te. Cazzo, non so." "Puoi dormire sul pavimento di casa nostra quando ti pare."

"Posso guardarvi scopare?" "Certo." Bevemmo. Avevo dimenticato come si chiamavano. Gli feci vedere il cuore. Gli chiesi di portar via quell'orrore. Non avevo il coraggio di buttarlo via perché magari lo studente di medicina ne avrebbe avuto bisogno per un esame o per restituirlo alla biblioteca della facoltà o chissà per che cos'altro. E così andammo fuori a vedere uno spogliarello, a bere e a urlare e a ridere. Non so chi avesse i soldi ma credo che fosse lui il più ricco, il che andava bene tanto per cambiare, e io continuavo a ridere e a dare grandi strizzate di culo e di cosce alla ragazza e a baciarla, ma non gliene fregava niente a nessuno. Duravi finché duravano i soldi. Mi riportarono a casa e lui se ne andò con lei. Io entrai dalla porta, li salutai, accesi la radio, trovai mezza pinta di scotch, la bevvi, ridendo, mi sentivo bene, rilassato, finalmente, libero, mi scottai le dita con un mozzicone di sigaro troppo corto, poi mi trascinai fino al letto, arrivai al bordo, inciampai, caddi lungo disteso sul materasso, dormii, dormii, dormii... La mattina dopo era mattina e io ero ancora vivo. Forse scriverò un romanzo, pensai. E lo scrissi.


Charles Bukowsky - Post Office - Il capitolo finale
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« immagine » Cominciai a star male. Mi ubriacavo, ero sempre pieno come una spugna. Una sera in cucina arrivai perfino a mettermi il coltello della carne alla gola e poi pensai, vacci piano, ragazzo, può darsi che la bambina abbia bisogno di te per andare allo zoo. Gelati, scimpanzé, tigri, uccell...
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13/03/2014 21:44:49
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E un giorno cammini per strada...

27 dicembre 2013 ore 19:01 segnala

E un giorno

Il testo di questa canzone di Guccini fu, qualche anno fa, il regalo natalizio di una delle mie figliole.
Ho riascoltato oggi la canzone e, come allora, ancor'oggi mi commuove.
Sarà che gli anni passano e le figlie crescono e io ... vabbè ;-)

Buone feste a tutti.


Lorenzo





E un giorno ti svegli stupita e di colpo ti accorgi
che non sono più quei fantastici giorni all'asilo
di giochi, di amici e se ti guardi attorno non scorgi
le cose consuete, ma un vago e indistinto profilo...

E un giorno cammini per strada e ad un tratto comprendi
che non sei la stessa che andava al mattino alla scuola,
che il mondo là fuori t'aspetta e tu quasi ti arrendi
capendo che a battito a battito è l'età che s'invola...

E tuo padre ti sembra più vecchio e ogni giorno si fa più lontano,
non racconta più favole e ormai non ti prende per mano,
sembra che non capisca i tuoi sogni sempre tesi fra realtà e sperare
e sospesi fra voglie alternate di andare e restare...
di andare e restare...

E un giorno ripensi alla casa e non è più la stessa
in cui lento il tempo sciupavi quand'eri bambina,
in cui ogni oggetto era un simbolo ed una promessa
di cose incredibili e di caffellatte in cucina...

E la stanza coi poster sul muro ed i dischi graffiati
persi in mezzo ai tuoi libri e regali che neanche ricordi,
sembra quasi il racconto di tanti momenti passati
come il piano studiato e lasciato anni fa su due accordi...

E tuo padre ti sembra annoiato e ogni volta si fa più distratto,
non inventa più giochi e con te sta perdendo il contatto...
E tua madre lontana e presente sui tuoi sogni ha da fare e da dire,
ma può darsi non riesca a sapere che sogni gestire...
che sogni gestire...

Poi un giorno in un libro o in un bar si farà tutto chiaro,
capirai che altra gente si è fatta le stesse domande,
che non c'è solo il dolce ad attenderti, ma molto d'amaro
e non è senza un prezzo salato diventare grande...

I tuoi dischi, i tuoi poster saranno per sempre scordati,
lascerai sorridendo svanire i tuoi miti felici
come oggetti di bimba, lontani ed impolverati,
troverai nuove strade, altri scopi ed avrai nuovi amici...

Sentirai che tuo padre ti è uguale, lo vedrai un po' folle, un po' saggio
nello spendere sempre ugualmente paura e coraggio,
la paura e il coraggio di vivere come un peso che ognuno ha portato,
la paura e il coraggio di dire: " io ho sempre tentato,
io ho sempre tentato... "

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« immagine » E un giorno Il testo di questa canzone di Guccini fu, qualche anno fa, il regalo natalizio di una delle mie figliole. Ho riascoltato oggi la canzone e, come allora, ancor'oggi mi commuove. Sarà che gli anni passano e le figlie crescono e io ... vabbè ;-) Buone feste a tutti. Lore...
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Goce in caduta sulla terra (non è un refuso)

09 novembre 2013 ore 22:13 segnala


Eh sì, non si tratterà di gocce, ma del Goce, il satellite europeo
costruito da diverse industrie europee con la supervisione dell'Alenia di Torino che poi lo ha integrato.
Questa meraviglia della tecnica dopo 4 anni di eccellente lavoro sta per disintegrarsi nell'atmosfera.
Purtroppo non sarà una caduta controllata né una disintegrazione completa, ma si calcola che dai 200 ai 250 chilogrammi di materiale cadranno al suolo divisi in numerosi frammenti.
Lo ha reso noto l'Agenzia Spaziale Europea (ESA) per la quale il satellite operava.
Scive l'ANSA:
"Alla luce di questa situazione, la Protezione Civile ritiene di non poter escludere il rischio che alcuni frammenti possano cadere in Italia e, sulla base delle stime finora disponibili, indica tre possibili finestre di interesse per l'Italia: dalle 8.26 alle 9.06 del 10 novembre per il Centro-Nord, dalla Valle d'Aosta al Trentino; dalle 19.44 alle 20.24 sempre di domenica per Valle d'Aosta, Piemonte, Liguria e Sardegna; dalle 7.48 alle 8.28 di lunedì, ''periodo per il quale non sono ancora disponibili informazioni'"

Attenti al cielo dunque se proprio dovete uscire nelle ore indicate ;-)

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« immagine » Eh sì, non si tratterà di gocce, ma del Goce, il satellite europeo costruito da diverse industrie europee con la supervisione dell'Alenia di Torino che poi lo ha integrato. Questa meraviglia della tecnica dopo 4 anni di eccellente lavoro sta per disintegrarsi nell'atmosfera. Purtro...
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09/11/2013 22:13:19
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e chi vuol capir ...capisca ;-)

16 ottobre 2013 ore 19:58 segnala


La favoletta ha una morale che valeva ai tempi di Trilussa e vale ancora oggi e ...chi vuol capir capisca ;-)

Er compagno scompagno

Un Gatto, che faceva er socialista
solo a lo scopo d'arivà in un posto,
se stava lavoranno un pollo arosto
ne la cucina d'un capitalista.

Quanno da un finestrino su per aria
s'affacciò un antro Gatto: - Amico mio,
pensa - je disse - che ce sò pur'io
ch'appartengo a la classe proletaria!

Io che conosco bene l'idee tue
sò certo che quer pollo che te magni,
se vengo giù, sarà diviso in due:
mezzo a te, mezzo a me... Semo compagni!

- No, no: - rispose er Gatto senza core
io nun divido gnente cò nessuno:
fo er socialista quanno sto a diggiuno,
ma quanno magno sò conservatore!

****
Trilussa

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« immagine » La favoletta ha una morale che valeva ai tempi di Trilussa e vale ancora oggi e ...chi vuol capir capisca ;-) Er compagno scompagno Un Gatto, che faceva er socialista solo a lo scopo d'arivà in un posto, se stava lavoranno un pollo arosto ne la cucina d'un capitalista. Quanno da ...
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