La prima notte

10 ottobre 2013 ore 00:58 segnala


PRIMA NOTTE.
IL MERCANTE E IL GENIO.

Sire, c'era una volta un mercante che possedeva molti beni, sia in
poderi, sia in mercanzie e denaro contante. Egli aveva molti commessi,
fattori e schiavi; ogni tanto, era costretto a compiere viaggi per
incontrarsi con i suoi corrispondenti. Un giorno che un affare
importante lo chiamava in una località alquanto lontana da quella in
cui abitava, salì a cavallo e partì portando con sé una valigia nella
quale aveva messo una piccola provvista di biscotti e di datteri,
dovendo attraversare un paese deserto, dove non avrebbe trovato di che
vivere. Arrivò senza incidenti dove doveva sbrigare i suoi affari e,
compiuta la cosa che lo aveva richiamato in quel posto, risalì a
cavallo per fare ritorno a casa.
Il quarto giorno di viaggio, si sentì così tanto oppresso dall'ardore
del sole che deviò dalla sua strada per andare a rinfrescarsi sotto
degli alberi che aveva visto nella campagna. Ai piedi di una grande
albero di noce, trovò una fontana dalla quale sgorgava un'acqua
chiarissima e corrente. Scese a terra, legò il cavallo a un ramo
dell'albero e si sedette vicino alla fontana, dopo aver tirato fuori
dalla valigia qualche dattero e qualche biscotto. Mangiando i datteri
ne gettava i noccioli a destra e a sinistra. Finito il frugale pasto,
da buon musulmano quale era, si lavò mani, viso e piedi e recitò la
preghiera.
Non l'aveva ancora terminata ed era ancora in ginocchio, quando vide
apparire un genio tutto canuto per la vecchiaia e di enorme grandezza,
che, avanzando verso di lui con la spada in pugno, gli disse con un
terribile tono di voce:
- Alzati affinché io ti uccida come tu hai ucciso mio figlio.
Accompagnò queste parole con un grido spaventoso. Il mercante,
atterrito dall'orribile aspetto del mostro e dalle parole che gli
aveva rivolte, gli rispose tremando:
- Ahimè! mio buon signore, di quale delitto posso essere colpevole
verso di voi, per meritare che voi mi togliate la vita?
- Io voglio, - riprese il genio, - ucciderti come tu hai ucciso mio
figlio.
- Oh! buon Dio! - replicò il mercante, - come avrei potuto uccidere
vostro figlio? Non lo conosco neppure e non l'ho mai visto.
- Arrivando qui, - replicò il genio, - non ti sei forse seduto? Non
hai tirato dei datteri fuori dalla tua valigia e, mangiandoli non hai
gettato i noccioli a destra e a sinistra?
- Ho fatto quanto voi dite, - rispose il mercante, - non posso
negarlo.
- Stando così le cose, - riprese il genio, - ti dico che hai ucciso
mio figlio, ed ecco in che modo: mentre tu gettavi i noccioli passava
mio figlio, ne ha ricevuto uno nell'occhio ed è morto. Perciò debbo
ucciderti.
- Ah! monsignore, perdono! - esclamò il mercante.
- Nessun perdono, - rispose il genio, - nessuna misericordia. Non è
giusto uccidere colui che ha ucciso?
- Sono d'accordo con voi, - disse il mercante, - ma certamente non ho
ucciso vostro figlio e, anche se così fosse, l'avrei fatto solo molto
innocentemente. Perciò vi supplico di perdonarmi e di risparmiare la
mia vita.
- No, no! - disse il genio insistendo nella sua decisione, devo
ucciderti, poiché tu hai ucciso mio figlio.
A queste parole, afferrò il mercante per il braccio, lo gettò con la
faccia terra e alzò la spada per tagliargli la testa.
Intanto il mercante, tutto in lacrime e protestando la sua innocenza,
rimpiangeva la moglie e i figli, e diceva le cose più commoventi del
mondo. Il genio, sempre con la spada sollevata, ebbe la pazienza di
aspettare che il disgraziato avesse finito di lamentarsi, ma non ne fu
per nulla impietosito.
- Tutti questi rimpianti sono superflui, - esclamò, - Anche se le tue
lacrime fossero di sangue, questo non mi impedirebbe di ucciderti come
tu hai ucciso mio figlio.
- Come! - replicò il mercante, - niente riesce a commuovervi? Volete
assolutamente togliere la vita a un povero innocente?
- Sì, - replicò il genio, - lo voglio.
Così dicendo...
A questo punto, Sherazad, accorgendosi che era giorno e sapendo che il
sultano si alzava di buon mattino per recitare le sue preghiere e
tenere consiglio, smise di parlare.
- Buon Dio! sorella mia, - disse allora Dinarzad, - che racconto
meraviglioso!
- Il seguito è ancora più stupefacente, - rispose Sherazad, - e
sareste d'accordo con me, se il sultano volesse lasciarmi vivere
ancora per oggi e darmi il permesso di raccontarvelo la prossima
notte.
Shahriar, che aveva ascoltato con piacere Sherazad, disse tra sé:
"Aspetterò fino a domani; la farò pur sempre morire, ma dopo aver
ascoltato la fine del suo racconto". Avendo dunque stabilito di non
far morire Sherazad per quel giorno, si alzò per recitare le sue
preghiere e andare al consiglio.
Intanto il gran visir viveva una crudele inquietudine. Invece di
gustare la dolcezza del sonno, aveva passato la notte a sospirare e a
compiangere la sorte della figlia della quale egli doveva essere il
carnefice. Ma se in questa triste attesa temeva la vista del sultano,
fu piacevolmente stupito quando vide il principe entrare in consiglio
senza dargli il funesto ordine che aspettava.
Il sultano, com'era sua abitudine, passò la giornata a regolare gli
affari del suo impero e, quando scese la notte, si coricò di nuovo con
Sherazad. Il giorno dopo, prima del sorgere del sole, Dinarzad non
dimenticò di rivolgersi alla sorella e dirle:
- Cara sorella, se non dormite, vi supplico, mentre aspettiamo l'alba
che spunterà tra poco, di continuare il racconto di ieri.- ll sultano
non aspettò che Sherazad gli chiedesse il permesso.
- Finite il racconto del genio e del mercante, - le disse, sono
curioso di sentirne la fine.
Sherazad prese allora la parola, e continuò il suo racconto così.

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