La nascita e l'evoluzione del nudo:il gruppo dei tirannicidi

04 gennaio 2013 ore 16:17 segnala
Il nudo maschile nacque e si affermò nella tradizione occidentale, proprio in quanto raffigurazione legata alla divinità. Fin dall’VIII secolo avanti Cristo, quando la Grecia conobbe il suo primo sviluppo urbano e consolidò un pantheon dominato da figure maschili al posto delle divinità femminili incarnazione della natura che caratterizza la preistoria, si affermò la convenzione rappresentativa che prevede la divinità maschile completamente nuda e quella femminile abbigliata.
I primi bronzetti votivi raffigurano figure virili dalle muscolature enfatizzate, spesso con attributi sessuali ipertrofici, nella resa ancora schematica e convenzionale del corpo: la tradizione delle statue itifalliche evolve dalla preistoria di pari passo con quelle delle figure femminili dai grandi seni e grandi glutei alla Grande Madre e perdura in esseri mitologici come il dio Priapo e i satiri. Quando nel VI secolo avanti Cristo si diffonde la tradizione dei Kouroi, figure maschili dalla visione frontale caratterizzate dalle gambe tese nel passo e dalle braccia parallele al torso, l’evoluzione della tecnica scultorea consente di concepirli in dimensioni monumentali: a Samo ne è stato rinvenuto uno di oltre cinque metri di altezza.
Non identificabili né con la divinità né con la persona dell’offerente o del defunto nel caso di collocazioni funerarie, i Kouroi riflettono sulla forma corporea prescindendo da questioni di rappresentazione o di somiglianza. Non raffigurano esseri umani viventi e neppure un dio in particolare, ma simbolizzano astrattamente la forma visibile del divino nella perfezione del corpo umano, considerato da questo momento l’ambito per eccellenza in cui si può esprimere la bellezza assoluta che trascende la bellezza terrena fino a farsene un modello senza tempo.
Da qui alla personalizzazione del nudo divino ed eroico il passo è breve. Nudo è l’Apollo del frontone occidentale del tempio di Zeus a Olimpia, nudo è l’Eracle sulle metope dello stesso tempio, nudo è lo Zeus bronzo di Capo Artemision, nudi i Bronzi di Riace, raffiguranti molto probabilmente due eroi dei Sette contro Tebe eternati da Eschilo.
Nude sono le statue monumentali che celebrano i Tirannicidi Armodio e Aristogitone i quali, uccidendo il tiranno Ipparco, hanno restituito la libertà ad Atene.
La memoria artistica dell’opera di Kritios e Nesiotes, è eternata nella copia marmorea di età adrianea del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, provenienti da Villa Adriana presso Tivoli. Il gruppo marmoreo – prima statua del mondo greco che raffigura personaggi e fatti storici – è tra i meglio conservati e tra i migliori per resa anatomica: il gruppo si profila, tramite uno schema binario, nell’atto di attaccare con l’arco il nemico Ipparco e sulla maggiore concentrazione di muscoli e di gestualità. Aristogitone, il barbuto, tende il passo verso l’attacco con eleganza e possente vitalità, sfoderando un pesante mantello, mentre il giovane Armodio - nella sua acconciatura arcaica - innalza un braccio nell’aria pronto per colpire. Rielaborata quindi in bronzo nel 477-6 a.C., la composizione equilibrata (sui suoi 203 cm di altezza) dai forti elementi realistici e dall’eleganza delle anatomie, rimane sul gruppo come viva memoria dei due eroi e del loro gesto politico verso la libertà democratica attica.
Non è ovviamente questione di usanze. Il Rinascimento e l’età moderna hanno spesso favoleggiato di una predilezione storica dei Greci per la nudità dovuta alla dolcezza del clima, al culto della bellezza fisica e a una libertà di costumi che appartenevano solo al mito. Secondo il nordico Winckelmann le condizioni climatiche favorevoli rendevano possibile in Grecia una vita comunitaria all’aria aperta in cui l’abbigliamento era superfluo, nel 1860 Edgar Degas raffigura i suoi Giovani spartani della National Gallery di Londra come un gruppo di adolescenti maschi e femmine nudi o seminudi: il dipinto pur evocando l'Antichità offre soprattutto a Degas il piacere di esporre le ricerche da lui condotte sul corpo. Sebbene l'austerità del suo disegno è di certo fedele all'insegnamento impartito all'artista, tuttavia, l'attenzione ai gesti appare del tutto originale. Del resto il nudo è al centro dell'opera di Edgar Degas, dai suoi esordi, nella prima metà degli anni cinquanta del XIX secolo, fino all'ultimo periodo della sua attività artistica alla vigilia della Prima guerra mondiale. Ancor più delle ballerine, dei cavalli da corsa, delle scene urbane o dei ritratti che decretarono il suo successo, il nudo fu il genere in cui Degas innovò e fece evolvere il suo stile nell'arco di una cinquantina di anni.
E ancora nel Novecento lo scrittore D. H. Lawrence giustifica l’iconografia delle tombe etrusche col fatto che “gli Etruschi stavano spesso nudi”.

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Il nudo maschile nacque e si affermò nella tradizione occidentale, proprio in quanto raffigurazione legata alla divinità. Fin dall’VIII secolo avanti Cristo, quando la Grecia conobbe il suo primo sviluppo urbano e consolidò un pantheon dominato da figure maschili al posto delle divinità femminili...
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04/01/2013 16:17:08
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Il Galata Capitolino

27 maggio 2012 ore 19:17 segnala

L’asciutta e composta bellezza virile si può contemplare nel Galata morente una statua in marmo conservata nei Musei capitolini.
Purtroppo è solo una copia romana perché l’originale in bronzo è andato perduto.
L’opera faceva parte del Donario di Attalo, un monumento dell'antica città ellenistica di Pergamo decorato da sculture in bronzo realizzate da Epigono e dalla sua scuola, monumento oggi noto solo in parte grazie a copie marmoree di epoca romana.
Il donario celebrava la vittoria sulla tribù celtica dei Galati che aveva preso parte alle spedizioni celtiche nei Balcani del III secolo a.C. e che si era stanziata dapprima in Tracia ed in seguito vicino al Regno di Pergamo.
I Galati, chiamati anche Galli dai Romani, noti come guerrieri valorosi e molto rispettati sia dai Greci sia dai Romani, minacciavano i vicini e richiedevano tributi: nel 240 a.C., re Attalo I, infine, li attaccò e li sconfisse gravemente e tale vittoria garantì ai pergameni notevoli conquiste territoriali ed una rinnovata potenza nello scacchiere del Mediterraneo orientale.
La statua, pensata essenzialmente per una veduta frontale, nonostante la complessità degli atteggiamenti, raffigura un guerriero galata completamente nudo – eccetto un torchon, il gioiello tipico dei celti, intorno al collo – semisdraiato e con il volto rivolto in basso che attende la morte causatagli da una ferita sul petto.
L’opera, nonostante il patetismo tipico della scuola pergamena, è lontana dalla visione idealizzante dell’arte greca ed è tutta vissuta con grande realismo contraddistinto dalla presenza del torchon, dai baffi, dai capelli ispidi nonché dalla nudità propria del modo di combattere di questo popolo.
Il guerriero, è semisdraiato su una base di forma ovale sulla quale compaiono alcune armi abbandonate sempre di concezione gallica, la gamba sinistra leggermente allungata, mentre quella destra è flessa. Solo il sostegno del braccio destro garantisce l’equilibrio della scultura. Il braccio sinistro è, infatti, piegato e la mano appoggiata e preme sulla coscia destra, il torso è flesso e ruotato verso destra per mettere in rilievo l'incisione della ferita: la schiena è ben rappresentata dal volume arrotondato.
Il volto è scolpito con estrema accuratezza: gli zigomi alti, le labbra ben disegnate e carnose dalle quali si può facilmente intravedere la dentatura superiore, l'acconciatura dei capelli dalle folte e lunghe ciocche, e i baffi folti e scompigliati conferiscono al soggetto i tratti tipici del guerriero celtico.
L'artista ha voluto evidenziare il dolore dello sconfitto, accentuandone il coraggio ed il valore: le rughe sulla fronte ed il leggero rigonfiamento all'altezza delle tempie lasciano intuire la resistenza al dolore del guerriero in punto di morte. Nulla in questo volto sembra voler dimostrare la rassegnazione del gallo al dolore e alla morte, al contrario il suo volto sembra avere una espressione fiera che non accenna minimamente all'abbandono; si potrebbe pensare ad un guerriero non sottomesso, che affronta con coraggio e onore la sconfitta del suo popolo e il proprio destino di morte imminente. Ma è anche riuscito perfettamente a cogliere lo spirito di colui che muore con onore animato da un forte senso di disprezzo verso il carnefice.
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« immagine » L’asciutta e composta bellezza virile si può contemplare nel Galata morente una statua in marmo conservata nei Musei capitolini. Purtroppo è solo una copia romana perché l’originale in bronzo è andato perduto. L’opera faceva parte del Donario di Attalo, un monumento dell'antica città...
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27/05/2012 19:17:44
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Lo Zeus di Capo Artemision

15 maggio 2012 ore 17:48 segnala
Il mio primo viaggio in Grecia ebbe come meta Atene. Ero con lui, il mio bel fauno, e con una coppia di amici. Vi giunsi in aereo, forse il modo peggiore di giungere in Grecia, ma non avevamo molto tempo a disposizione ed io mi ero aggregata a lui che aveva alcuni impegni di lavoro.
Meno di tre giorni e dovevo fare delle scelte, sebbene dolorose: di certo non potevo rinunciare all’Acropoli e tantomeno al Museo Archeologico Nazionale.
Venticinque anni fa il Museo sembrava più che altro un immenso magazzino dove sembravano stipati i reperti di quella che io ritengo la più grande civiltà del mondo. Oggi è diverso: per i giochi olimpici del 2004 il Museo è stato restaurato e riordinato secondo criteri museografici più avanzati.
In quella occasione io potetti ammirare per la prima volta dal vivo il bellissimo Zeus di capo Artemision, uno straordinario esempio dell'alto livello di lavorazione del bronzo nell'antica Grecia e fu per me un’emozione unica.
Questa statua segna il passaggio dal periodo arcaico a quello classico e risale quasi alla metà del V secolo. Il bronzo è comunemente attribuito a Kalamides, ma sono solo ipotesi.
La statua ha ancora caratteristiche arcaiche, ma non è per nulla inferiore a quelle prodotte dopo di lei, basta osservare la cura attenta che l’artista ha dedicato alla ponderatio ed all’equilibrio, all'armonia ed all'eleganza del movimento.
L’opera è prodigiosa rispetto a quelle che la precedono, infatti, il dio è colto nell’attimo di scagliare un fulmine. Lo scultore ha rappresentato quasi come un fermo immagine, il momento in cui il dio sta per compiere il lancio, giocando sull'incrocio delle tensioni delle membra. La statua, equilibratissima, poggia su due zone molto piccole: la punta del piede destro ed il tallone del piede sinistro, che sembra appena appoggiato, mentre la punta è leggermente sollevata: un modo questo per alludere alle tensioni del movimento del lancio del fulmine, con grande precisione.
Nonostante la posizione assunta, né l’atteggiamento né la muscolatura rilevano la tensione dell’azione, anzi il corpo sembra immobile, attento all'equilibrio compositivo, che per i greci simboleggiava qualità interiori: il divino che si cala nell'umano.
La statua è leggibile solo frontalmente o per lo meno il punto visivo privilegiato è quello frontale dove il senso della perfezione è assoluto: molto probabilmente in origine negli occhi c’erano inserti d’avorio, le sopracciglia rivestite di argento, le labbra ed i capezzoli rivestiti di rame. In quell'assoluta superiorità dello sguardo si legge la fede greca nell'uomo che acquista le sembianze di un Dio.
Zeus rappresenta non il momento del lancio, ma l’idea del lancio, perché il corpo sembra immobile, il volto non ha traccia di concentrazione, la muscolatura non rivela tensione: quest’idea si traduce nella potenza ferma e fiera del gesto, nel completo dominio dello spazio.
È qui, in questa statua che l'uomo diventa Dio e che Protagora sintetizzerà nella frase «L'uomo è la misura di tutte le cose».
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« immagine » Il mio primo viaggio in Grecia ebbe come meta Atene. Ero con lui, il mio bel fauno, e con una coppia di amici. Vi giunsi in aereo, forse il modo peggiore di giungere in Grecia, ma non avevamo molto tempo a disposizione ed io mi ero aggregata a lui che aveva alcuni impegni di lavoro. Me...
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l'Antinoo Farnese

07 maggio 2012 ore 20:49 segnala


Continua il mio viaggio nel «fascino della bellezza».
Ancora una volta Eros si connette con Thanatos.
Siamo in Egitto nel
130. Nel Nilo muore annegato un giovane bitinio dalla sublime bellezza, Antinoo, il ragazzo amato da Adriano, durante un viaggio in Egitto al seguito dell'imperatore. Una morte misteriosa: tuttora non si sa se la sua morte sia stata frutto di un incidente, di un suicidio, di un assassinio o di una sorta di sacrificio all'imperatore, secondo quanto racconta Dione Cassio.
Adriano aveva conosciuto Antinoo durante un suo viaggio in Asia minore: durante un incontro letterario, una sera, l’imperatore intravide accanto a una fontana il ragazzo in disparte, dall'aria pensosa e distratta al tempo stesso: ne rimase subito colpito, lo avvicinò...
Da allora Antinoo diventò il prediletto dell'imperatore e lo seguì ovunque. Adriano, che portò via il giovinetto dai suoi luoghi, fu costretto a subire in realtà il rapimento più profondo, quello sentimentale: il dominatore
del mondo fu soggiogato dalla bellezza acerba di Antinoo, dalla sua allegria che si mescolava con l'«indolenza di un cucciolo», dalla sua innocenza, dalla sua «amarezza ardente», nelle splendide parole della Yourcenar che indugia sull’immagine del potere universale che si inchina, fino alla totale prostrazione, di fronte alla bellezza.
Il bellissimo Antinoo farnese del Museo Archeologico Nazionale di Napoli ce lo mostra di una bellezza incomparabile: mento arrotondato, bocca carnosa, naso largo e dritto, sopracciglia inarcate verso l'esterno, chioma folta e ricciuta.
Le numerose testimonianze iconografiche del giovane bitinio sono sostanzialmente raggruppabili intorno a tre modelli fondamentali, ma tutte si individuano per alcune caratteristiche costanti, che ad ogni modo derivano da una concezione formale riferibile al tipo dell’efebo greco, addolcito e reso quasi femmineo da un’aura orientale.
La morbidezza delle forme del corpo, la sobrietà dei lineamenti del viso, la ricca acconciatura riccioluta e la malizia dello sguardo, la cui melanconia pare evidente riferimento alla tragica e prematura scomparsa del giovane, nella migliore tradizione del concetto ellenico per cui “muor giovane colui che al cielo è caro”.
Ed Adriano volle che quella bellezza imperitura fosse fissata in eterno
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« immagine » Continua il mio viaggio nel «fascino della bellezza». Ancora una volta Eros si connette con Thanatos. Siamo in Egitto nel 130. Nel Nilo muore annegato un giovane bitinio dalla sublime bellezza, Antinoo, il ragazzo amato da Adriano, durante un viaggio in Egitto al seguito dell'imperat...
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Il fauno Barberini

30 aprile 2012 ore 16:03 segnala

L’Ellenismo è un’epoca di grande sensualità, come tutte le epoche di decadenza.
A Monaco di Baviera ammirai il Fauno Barberini o Satiro ebbro, un'antica scultura greca di età ellenistica di fattura veramente squisita e di ricercata concezione che raffigura un satiro dormiente, probabilmente degli sgoccioli del III secolo.
La statua, che faceva parte dell’apparato decorativo del Mausoleo di Adriano, raffigura un satiro, ma a prima vista esso sem
brerebbe soltanto un fanciullo: il pene di larghe dimensioni, le orecchie appuntite, la corona di edera e la pelle di pantera riportano tuttavia l’identificazione ad una figura mitica di ambito dionisiaco.
Eseguita da uno scultore esperto probabilmente della scuola di Pergamo, ma rimasto purtroppo sconosciuto, la figura si appoggia su di una roccia, non è seduta e non è neppure completamente distesa, il che farebbe pensare agli effetti del vino e quindi all'ebbrezza del satiro che si addormenta dopo una copiosa libagione. L’origine pergamena dell’opera si evince dall’eccentricità delle forme e dalla gestualità irregolare.
Le gambe divaricate e leggermente piegate che lasciano scoperto il pube, la testa rivolta verso il giaciglio e le braccia diritte per fare da cuscino danno l'impressione di un movimento erotico abituale e complesso. Un erotismo sconvolgente nell’espressione del volto, con la fronte corrugata e la bocca semiaperta, denota un sonno non tranquillo, forse inconsapevolmente memore di un orgasmo da poco vissuto o forse bramato. Fu un attimo e ripensai ai tramonti dell'Attica e dell'Arcadia, quando un pastore o un contadino credevano di veder passare nell'ombra delle foglie, o tra le frasche dei boschi, l’agile fauno, mentre rincorreva la spaurita ninfa e, nel brusio delle frasche o nel gorgogliare di una fonte, udivano la meravigliosa melodia del suo flauto vivace.
La statua fu trovata gravemente mutila nel corso di scavi nel letto del Tevere durante il pontificato di Urbano VIII Barberini che ne affidò a Gian Lorenzo Bernini il restauro. Bernini, affascinato da questa statua, ricreò la posa del satiro nell’Estasi di Santa Teresa, nella chiesa romana di Santa Maria della Vittoria.
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« immagine » L’Ellenismo è un’epoca di grande sensualità, come tutte le epoche di decadenza. A Monaco di Baviera ammirai il Fauno Barberini o Satiro ebbro, un'antica scultura greca di età ellenistica di fattura veramente squisita e di ricercata concezione che raffigura un satiro dormiente, probabi...
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30/04/2012 16:03:30
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