Il nudo maschile nacque e si affermò nella tradizione occidentale, proprio in quanto raffigurazione legata alla divinità. Fin dall’VIII secolo avanti Cristo, quando la Grecia conobbe il suo primo sviluppo urbano e consolidò un pantheon dominato da figure maschili al posto delle divinità femminili incarnazione della natura che caratterizza la preistoria, si affermò la convenzione rappresentativa che prevede la divinità maschile completamente nuda e quella femminile abbigliata.
I primi bronzetti votivi raffigurano figure virili dalle muscolature enfatizzate, spesso con attributi sessuali ipertrofici, nella resa ancora schematica e convenzionale del corpo: la tradizione delle statue itifalliche evolve dalla preistoria di pari passo con quelle delle figure femminili dai grandi seni e grandi glutei alla Grande Madre e perdura in esseri mitologici come il dio Priapo e i satiri. Quando nel VI secolo avanti Cristo si diffonde la tradizione dei Kouroi, figure maschili dalla visione frontale caratterizzate dalle gambe tese nel passo e dalle braccia parallele al torso, l’evoluzione della tecnica scultorea consente di concepirli in dimensioni monumentali: a Samo ne è stato rinvenuto uno di oltre cinque metri di altezza.
Non identificabili né con la divinità né con la persona dell’offerente o del defunto nel caso di collocazioni funerarie, i Kouroi riflettono sulla forma corporea prescindendo da questioni di rappresentazione o di somiglianza. Non raffigurano esseri umani viventi e neppure un dio in particolare, ma simbolizzano astrattamente la forma visibile del divino nella perfezione del corpo umano, considerato da questo momento l’ambito per eccellenza in cui si può esprimere la bellezza assoluta che trascende la bellezza terrena fino a farsene un modello senza tempo.
Da qui alla personalizzazione del nudo divino ed eroico il passo è breve. Nudo è l’Apollo del frontone occidentale del tempio di Zeus a Olimpia, nudo è l’Eracle sulle metope dello stesso tempio, nudo è lo Zeus bronzo di Capo Artemision, nudi i Bronzi di Riace, raffiguranti molto probabilmente due eroi dei Sette contro Tebe eternati da Eschilo.
Nude sono le statue monumentali che celebrano i Tirannicidi Armodio e Aristogitone i quali, uccidendo il tiranno Ipparco, hanno restituito la libertà ad Atene.
La memoria artistica dell’opera di Kritios e Nesiotes, è eternata nella copia marmorea di età adrianea del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, provenienti da Villa Adriana presso Tivoli. Il gruppo marmoreo – prima statua del mondo greco che raffigura personaggi e fatti storici – è tra i meglio conservati e tra i migliori per resa anatomica: il gruppo si profila, tramite uno schema binario, nell’atto di attaccare con l’arco il nemico Ipparco e sulla maggiore concentrazione di muscoli e di gestualità. Aristogitone, il barbuto, tende il passo verso l’attacco con eleganza e possente vitalità, sfoderando un pesante mantello, mentre il giovane Armodio - nella sua acconciatura arcaica - innalza un braccio nell’aria pronto per colpire. Rielaborata quindi in bronzo nel 477-6 a.C., la composizione equilibrata (sui suoi 203 cm di altezza) dai forti elementi realistici e dall’eleganza delle anatomie, rimane sul gruppo come viva memoria dei due eroi e del loro gesto politico verso la libertà democratica attica.
Non è ovviamente questione di usanze. Il Rinascimento e l’età moderna hanno spesso favoleggiato di una predilezione storica dei Greci per la nudità dovuta alla dolcezza del clima, al culto della bellezza fisica e a una libertà di costumi che appartenevano solo al mito. Secondo il nordico Winckelmann le condizioni climatiche favorevoli rendevano possibile in Grecia una vita comunitaria all’aria aperta in cui l’abbigliamento era superfluo, nel 1860 Edgar Degas raffigura i suoi Giovani spartani della National Gallery di Londra come un gruppo di adolescenti maschi e femmine nudi o seminudi: il dipinto pur evocando l'Antichità offre soprattutto a Degas il piacere di esporre le ricerche da lui condotte sul corpo. Sebbene l'austerità del suo disegno è di certo fedele all'insegnamento impartito all'artista, tuttavia, l'attenzione ai gesti appare del tutto originale. Del resto il nudo è al centro dell'opera di Edgar Degas, dai suoi esordi, nella prima metà degli anni cinquanta del XIX secolo, fino all'ultimo periodo della sua attività artistica alla vigilia della Prima guerra mondiale. Ancor più delle ballerine, dei cavalli da corsa, delle scene urbane o dei ritratti che decretarono il suo successo, il nudo fu il genere in cui Degas innovò e fece evolvere il suo stile nell'arco di una cinquantina di anni.
E ancora nel Novecento lo scrittore D. H. Lawrence giustifica l’iconografia delle tombe etrusche col fatto che “gli Etruschi stavano spesso nudi”.
I primi bronzetti votivi raffigurano figure virili dalle muscolature enfatizzate, spesso con attributi sessuali ipertrofici, nella resa ancora schematica e convenzionale del corpo: la tradizione delle statue itifalliche evolve dalla preistoria di pari passo con quelle delle figure femminili dai grandi seni e grandi glutei alla Grande Madre e perdura in esseri mitologici come il dio Priapo e i satiri. Quando nel VI secolo avanti Cristo si diffonde la tradizione dei Kouroi, figure maschili dalla visione frontale caratterizzate dalle gambe tese nel passo e dalle braccia parallele al torso, l’evoluzione della tecnica scultorea consente di concepirli in dimensioni monumentali: a Samo ne è stato rinvenuto uno di oltre cinque metri di altezza.
Non identificabili né con la divinità né con la persona dell’offerente o del defunto nel caso di collocazioni funerarie, i Kouroi riflettono sulla forma corporea prescindendo da questioni di rappresentazione o di somiglianza. Non raffigurano esseri umani viventi e neppure un dio in particolare, ma simbolizzano astrattamente la forma visibile del divino nella perfezione del corpo umano, considerato da questo momento l’ambito per eccellenza in cui si può esprimere la bellezza assoluta che trascende la bellezza terrena fino a farsene un modello senza tempo.
Da qui alla personalizzazione del nudo divino ed eroico il passo è breve. Nudo è l’Apollo del frontone occidentale del tempio di Zeus a Olimpia, nudo è l’Eracle sulle metope dello stesso tempio, nudo è lo Zeus bronzo di Capo Artemision, nudi i Bronzi di Riace, raffiguranti molto probabilmente due eroi dei Sette contro Tebe eternati da Eschilo.
Nude sono le statue monumentali che celebrano i Tirannicidi Armodio e Aristogitone i quali, uccidendo il tiranno Ipparco, hanno restituito la libertà ad Atene.
La memoria artistica dell’opera di Kritios e Nesiotes, è eternata nella copia marmorea di età adrianea del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, provenienti da Villa Adriana presso Tivoli. Il gruppo marmoreo – prima statua del mondo greco che raffigura personaggi e fatti storici – è tra i meglio conservati e tra i migliori per resa anatomica: il gruppo si profila, tramite uno schema binario, nell’atto di attaccare con l’arco il nemico Ipparco e sulla maggiore concentrazione di muscoli e di gestualità. Aristogitone, il barbuto, tende il passo verso l’attacco con eleganza e possente vitalità, sfoderando un pesante mantello, mentre il giovane Armodio - nella sua acconciatura arcaica - innalza un braccio nell’aria pronto per colpire. Rielaborata quindi in bronzo nel 477-6 a.C., la composizione equilibrata (sui suoi 203 cm di altezza) dai forti elementi realistici e dall’eleganza delle anatomie, rimane sul gruppo come viva memoria dei due eroi e del loro gesto politico verso la libertà democratica attica.
Non è ovviamente questione di usanze. Il Rinascimento e l’età moderna hanno spesso favoleggiato di una predilezione storica dei Greci per la nudità dovuta alla dolcezza del clima, al culto della bellezza fisica e a una libertà di costumi che appartenevano solo al mito. Secondo il nordico Winckelmann le condizioni climatiche favorevoli rendevano possibile in Grecia una vita comunitaria all’aria aperta in cui l’abbigliamento era superfluo, nel 1860 Edgar Degas raffigura i suoi Giovani spartani della National Gallery di Londra come un gruppo di adolescenti maschi e femmine nudi o seminudi: il dipinto pur evocando l'Antichità offre soprattutto a Degas il piacere di esporre le ricerche da lui condotte sul corpo. Sebbene l'austerità del suo disegno è di certo fedele all'insegnamento impartito all'artista, tuttavia, l'attenzione ai gesti appare del tutto originale. Del resto il nudo è al centro dell'opera di Edgar Degas, dai suoi esordi, nella prima metà degli anni cinquanta del XIX secolo, fino all'ultimo periodo della sua attività artistica alla vigilia della Prima guerra mondiale. Ancor più delle ballerine, dei cavalli da corsa, delle scene urbane o dei ritratti che decretarono il suo successo, il nudo fu il genere in cui Degas innovò e fece evolvere il suo stile nell'arco di una cinquantina di anni.
E ancora nel Novecento lo scrittore D. H. Lawrence giustifica l’iconografia delle tombe etrusche col fatto che “gli Etruschi stavano spesso nudi”.