THE PALACE di Roman Polanski

05 ottobre 2023 ore 16:09 segnala


Avevo urgenza di vedere il nuovo film di Roman Polanski sia per la stima incondizionata che ho per lui da una vita, e del quale potrei citare tanti films capolavoro, ma anche per la strana coincidenza delle numerose recensioni negative che mi era capitato di leggere sul web prima ancora che il film uscisse. Gente che si reputa in grado di commentare un film soltanto basandosi sui “si dice”!

Scritto personalmente da Polanski all’età di 90 anni, il film è ambientato durante un cenone di fine millennio. Graffiante, sarcastico e impietoso. Uno sberleffo amaro e dissacrante, una satira feroce nei confronti di una società sbagliata che ormai mostra tutti i suoi limiti. Questa “vecchia scassata borghesia” che non ha neppure bisogno di un film come questo perché è ormai soltanto la parodia di se stessa! Vecchi con i capelli biondo platino, vecchie tutte rifatte e rugose, cafoni arroganti e spocchiosi, puttanoni da combattimento memorabili, fra le quali manca soltanto la Santanchè, uno scenario davvero imbarazzante, pieno di troie che battono il tamburo. Questa gente, le sigarette, le spegne nel caviale.

E ancora, novantenni completamente rincoglioniti con “fidanzate” ventenni giunoniche dalle quali si aspettano solo un pompino. (e qui non ho potuto non pensare a Berlusconi)
Abbronzature ridicole, labbra gonfiate, tentativi disperati e patetici di nascondere l’avanzata inesorabile della vecchiaia, ovviamente senza riuscirci. E per contro, si assiste ai salti mortali che fanno i dirigenti dell’hotel per soddisfare le richieste più bizzarre di questa clientela d’elite sempre pronta a escogitare qualsiasi scorciatoia pur di fare valanghe di soldi in modo illegale, mentre un pinguino scorrazza per i corridoi dell’hotel per la gioia degli ospiti che ostentano una finta tenerezza nei suoi confronti. Il tutto sottolineato da musichette sarcastiche e ironiche scelte in modo geniale.

La satira di Polanski non risparmia nessuno, neppure Vladimir Putin. Si assiste tristemente a scene di una ignoranza cosmica mischiata a ottusa superstizione per il millennium bag, Nostradamus e la fine del mondo che, ovviamente, si rivelarono solo una bufala fra le tante.

Vorrei davvero che quegli esimi recensori e stroncatori del film (prima di averlo visto) mi spiegassero dove vedono l’accostamento fra il film di Polanski con i cinepanettoni. Si intuisce facilmente che si tratta di un tentativo di denigrare un film che si intuiva volesse scagliarsi contro un certo ceto. Ma saranno in grado di capire le allusioni, i riferimenti, i piani di lettura che si sovrappongono? No, sicuramente no. Questi restano solo in superficie!

Si tratta di un film necessario per evidenziare dove sta dirigendosi questa società capitalista che identifica il denaro col proprio unico scopo di vita. Gente avida e sovrappeso proprio come la società abnorme che li ha generati.

A mio avviso potrebbe essere anche un omaggio al cinema grottesco del grande Marco Ferreri. In alcune scene ci avrei visto bene perfino le sorelle bandiera di Renzo Arbore.

La panoramica finale sui resti infiniti di quel cenone osceno, sembra paragonabile a un campo di battaglia senza vincitori, ma soltanto vinti. Vinti da una vita sbagliata che non ritornerà mai.
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05/10/2023 16:09:32
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UN ABBRACCIO INFINITO

28 settembre 2023 ore 16:16 segnala


Non ti chiedo una storia d’amore,
sarebbe troppo bello, io lo so bene.
Vorrei soltanto perdermi nel tuo sguardo.
Seguire il profilo del tuo viso in controluce.
Associare finalmente la tua voce a un volto.
Tuffarmi, avido, nei tuoi capelli spettinati.
Fermare il tempo, raccontarci fino al midollo.
Poi confidarci i sogni, le paure ed i segreti.
Abbandonarci ad un abbraccio infinito.
Bisticciare per stabilire qual è la nostra canzone.
E di colpo ridere e giocare, come due bambini.
Rincorrerci sulla spiaggia, all’ora del tramonto.
Inciampare in un bacio, coperto dalla sabbia.
Poi sfiorarci piano, desiderarci, prenderci.
Mischiare i nostri odori, coi respiri affannati.
Passare a un dialogo più intimo e sussurrato.
Stordirci e ubriacarci di coccole e carezze.
Immaginarci vecchi, ma ancora insieme.
Per un attimo scordarci perfino i nostri nomi.
Inventarne di nuovi, parlandoci in spagnolo.
E poi vederti ridere, lo spettacolo più bello!
Chiudere tutto il mondo fuori. Soli tu ed io.
Io non ti chiedo una storia d’amore.
Alla mia età, lo so, sembra impossibile!
Forse dovremmo solo lasciar fare alla vita.
Magari la nostra storia inizia proprio così!


(liberamente ispirata a un breve post in bacheca,
di un utente del quale non ricordo più il nick.)
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« immagine » Non ti chiedo una storia d’amore, sarebbe troppo bello, io lo so. Vorrei soltanto perdermi nel tuo sguardo. Seguire il profilo del tuo viso in controluce. Tuffarmi, avido, nei tuoi capelli spettinati. Poi raccontarci i sogni, le paure ed i segreti. E di colpo ridere e giocare, come ...
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28/09/2023 16:16:55
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APPARIRE

30 agosto 2023 ore 20:34 segnala


La brutale uccisione a calci di una capretta, ad Anagni, ad opera di un feroce gruppo di giovani deve far riflettere, e molto.
E’ troppo facile liquidare l’inumano accaduto dicendo che si trattava di ragazzacci, forse ubriachi.
Io credo invece che questi giovani 18enni (come troppi altri, purtroppo) sono il prodotto dell’attuale società.
Non sono loro da mettere sul banco degli imputati !
Il loro comportamento si spiega con un’educazione sbagliata impartita loro dai genitori, dalla scuola, dalla televisione, dalla società.
Proviamo a domandarci perché hanno agito così? - e non parliamo di ragazzini, ma di maggiorenni ! - Hanno filmato l'insensato gesto e poi postato sul web.
A mio avviso hanno semplicemente risposto all’omologante imperativo della società dell’immagine: volevano “apparire” sui social.
Si arriva al paradosso che non ha neppure importanza per quale prodezza si finisca sulla rete.
L’importante è esserci, quasi fosse il passaporto per sentirsi in vita.

Benvenuti nel terzo millennio!
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« immagine » La brutale uccisione a calci di una capretta, ad Anagni, ad opera di un feroce gruppo di giovani deve far riflettere, e molto. E’ troppo facile liquidare l’inumano accaduto dicendo che si trattava di ragazzacci, forse ubriachi. Io credo invece che questi giovani 18enni (come troppi a...
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30/08/2023 20:34:46
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LE DOMANDE DI ERIKA

27 giugno 2023 ore 18:39 segnala
Io già da bambina mi domandavo spesso
perché la gente fingesse. Come fa anche adesso.
“Mamma, perché quello ha fiamma sul cappello e baffi neri?”
“Perché è un tutore dell’ordine, Erika, te l’ho detto ieri!”
“Perché papà veste in giacca e cravatta di colori opposti?”
“Sottolinea il suo ceto e non si confonde coi sottoposti.”
“Ma è così che si confonde, portando una divisa.
Più li guardo e più sembrano statue di ghisa!”

Col tempo, purtroppo, anch’io feci l’abitudine.
Ma prima mi sentivo fra martello e incudine.
Non riuscivo davvero a distinguere il vero
dal falso e non mi aiutava certamente il clero:
“Mamma, perché quell’uomo ha gonna e abiti neri?”
“Perché è il nostro parroco, Erika, te l’ho detto ieri!”
“E perché anche un giudice si cammuffa a quel modo?”
“Per ricordare agli altri che è una persona ammodo.”

“E perché si atteggiano sempre tutti, estate e inverno?”
“Per uniformarsi al prossimo ed evitar lo scherno.”
“Allora son schiavi del giudizio altrui, son conformisti.
Non voglio essere come loro, son troppo tristi!
“Perché le donne si truccano e camminano su un piedistallo?”
“Per abbagliare meglio, e potersi aggiudicare un gallo.”
“Perché tutti hanno la pelle coperta da tatuaggi di ordinanza?”
“Perché hanno capito che la vita è solo una grande danza
di maschere obbligate a recitare e condannate a fingere.
E’ questo il solo modo per poter, il successo, stringere.”

“Ma non sono spontanei neanche nudi davanti al mare!”
“Ricorda Erika: l’importante è solo ciò che appare.”
“Perciò indossano maschere e non sono mai se stessi?”
“Si, bisogna assumere un ruolo e non sembrare perplessi.”
Ora dormo sulla collina. Qui son tutti in nero.
Ma ora almeno è logico, siamo in un cimitero!
Ora che ci penso gli uomini si abituano a tutto
ma non capiscon che fingendo, vestono la vita a lutto.
È proprio vero, che viviamo in un eterno carnevale
pieno di maschere. Per distinguerle non c’è un occhiale.


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Io già da bambina mi domandavo spesso perché la gente fingesse. Come fa anche adesso. “Mamma, perché quello ha fiamma sul cappello e baffi neri?” “Perché è un tutore dell’ordine, Erika, te l’ho detto ieri!” “Perché papà veste in giacca e cravatta di colori opposti?” “Sottolinea il suo ceto e non si...
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L'IMPRONTA

17 giugno 2023 ore 12:38 segnala


Ricordo di aver visto la prima una sera, forse era già notte, ed è per questo che non le diedi importanza. In quel momento Murder Radio, la mia radio preferita, trasmetteva “Henry Lee” di Nick Cave e PJ Harvey, e questo sottolineò la suspence. Ma, nella penombra, pensai fosse soltanto un’illusione ottica. Inoltre il mattino seguente dovevo alzarmi molto presto. Quindi non indagai oltre. Ma è innegabile che la situazione era già in grado di impressionarmi. Era piccola, rossiccia ma ben delineata. Una piccola impronta. Singola. Sembrava lasciata da un piede nudo, probabilmente femminile. Si trovava su un gradino delle scale che congiungono i due piani del mio appartamento. E proprio per questo l’impronta era inspiegabile. Mi chiamo Caderna, ho trentadue anni, vivo da solo e nessuno era venuto a trovarmi negli ultimi giorni. Neppure la donna delle pulizie, che era ammalata. E allora, chi aveva lasciato quell’impronta? E perché era soltanto una? E, soprattutto, era davvero insanguinata? Inoltre, da qualche giorno, in casa mia si verificava uno strano fenomeno: le lampadine si fulminavano a ripetizione, senza un motivo apparente.

Nei giorni che seguirono, la storia si ripetè in modo preoccupante. Quasi ogni giorno trovavo una lampadina fulminata ed un’impronta. Sempre del piede sinistro. E sempre sulle scale, che peraltro sono di marmo di Carrara - quasi bianco con venature chiare - per cui il colore rossiccio risaltava e mi faceva venire i brividi, perché sembrava sempre più evidente che si trattasse proprio di sangue.
Mentre facevo queste riflessioni, mi accorsi che avevo finito il fumo. Mi fiondai in strada sotto una pioggia battente in cerca di Willy, il mio pusher di riferimento. Era un ragazzo, che la vita aveva condannato sulla carrozzella, che rimediava con questa attività illecita, alla latitanza da parte dello Stato in fatto di assistenza sociale. Ed io cercavo di aiutarlo un po’. Ora non vorrei che fraintendeste! No, no, le impronte non erano sicuramente frutto di allucinazioni da fumo. Diciamo che ogni tanto mi faccio una canna, ma come tanti, del resto!

Nel giro di due settimane le impronte si moltiplicarono. Ormai erano tantissime, su ogni scalino, e questo mi spingeva a scartare decisamente l’ipotesi di una svista, una coincidenza o una suggestione. O perfino di manie di persecuzione, come aveva detto inizialmente Paola, la mia ragazza, deridendomi. Lo stesso trattamento mi riservarono amici e conoscenti, accusandomi di vedere troppi films horror. Eppure le impronte erano lì, le potevano vedere tutti. E aumentavano ogni giorno in modo, starei per dire, minaccioso! Fu allora che mi sembrò di poter risolvere l’enigma: si trattava di uno scherzo. Ma si! Era solo uno scherzo, non c’era da preoccuparsi! Non poteva essere altrimenti. Qualcuno si divertiva a mettere quelle strane impronte in mia assenza, per poi vedere le mie reazioni. Forse era proprio Paola, che infatti aveva anche un doppione delle chiavi di casa. Ma presto dovetti escludere anche quell’ipotesi. Conosco bene Paola. Di piede calza 41, mentre le impronte erano molto minute, direi inferiori a 35. Che fossero le impronte di un bambino? La cosa cominciava ad assumere una piega raccapricciante. Ricordo che quella notte Murder Radio trasmise “Emmilou” di Massimo Bubola e questo mi provocò un brivido lungo la schiena. E nello stesso istante un’altra lampadina si fulminò. Allora decisi di lavare via tutto. Come se avessi visto quelle impronte in un incubo. Basta! Pensai, da domani saranno soltanto un brutto ricordo! Non fu facilissimo cancellarle. Non bastava il mocio, infatti dovetti cancellarle una per una, con la spugnetta abrasiva. Le macchie avevano una consistenza molliccia e quasi viscida. Appiccicosa. Ed avevano anche un loro minimo spessore. Alcune non si erano ancora essiccate del tutto, ma riuscii a venirne a capo. Finalmente le scale tornarono pulite.

Ma niente! Dal giorno successivo le impronte ricominciarono ad apparire sempre più numerose. Ero ormai esasperato e decisamente intrattabile. Per un paio di notti evitai di rincasare. Mi ospitò Paola. Grazie a lei riuscivo ad andare in paradiso senza bisogno di morire eppure neanche questo mi permetteva di dimenticare il mio enigma. Infatti quando rientravo a casa trovavo sempre le scale piene di impronte. Feci caso solo allora che andavano tutte in una direzione, come se salissero verso l’alto. Allora pensai che ci dovesse essere una specie di spiegazione metafisica. Non ne potevo più, avevo perso anche il sonno, ero terrorizzato. Ma mi rifiutavo di accettare nuovi inviti di Paola per convincermi a dormire ancora da lei. Mi sembrava un segnale di resa. Io arrendermi a un’impronta? Mai e poi mai! Anzi, visto che non riuscivo a dormire, mi alzavo improvvisamente e mi affacciavo di colpo sulle scale, come a voler sorprendere il proprietario delle impronte. E…. zac! Non c’era mai nessuno. Ma in compenso c’erano ancora nuove impronte. Finchè mi capitò di riascoltare un vocale da me registrato sullo smartphone, tempo addietro. Lo facevo spesso, per fissare idee, considerazioni, appunti, da quando mi ero messo in testa di scrivere un libro. Non inviavo quelle registrazioni a nessuno. Mi servivano soltanto per non perdere degli spunti, strada facendo, visto che ho una pessima memoria. Con voce turbata, quasi sussurrando, dicevo di vedere delle ombre, con la coda dell’occhio, alternate a dei fasci di luce che tagliavano improvvisi il buio attorno a me. Come una porta che si socchiude e lascia filtrare un fascio di luce accompagnato da un cigolio sinistro. Sembrava parlassi di qualcosa che stavo vivendo davvero! Quando l’avevo registrato? E a cosa cazzo mi riferivo?

Intanto, nel quartiere, ormai le voci giravano incontrollate. C’era chi giurava che quelle impronte le mettessi io stesso per uscire dalla mia emarginazione e destare interesse presso qualcuno più solo e disperato di me. Ma erano soltanto delle malelingue! Mi tornò in mente un vecchio film di Polanski “L’inquilino del terzo piano” in cui, con una escalation agghiacciante, il protagonista viene travolto da una serie di situazioni ambigue, al limite dell’irreale, fino ad arrivare a suicidarsi per sfuggire alla carogneria del vicinato. Non sarebbe stato lo stesso per me, mi rassicurai! La sera successiva Murder radio trasmise “Sere feriali” delle Luci della centrale elettrica, uno strano pezzo che parla di “gatti con l’aids”. Fu come avere un flash improvviso: soltanto allora mi ricordai di Gildo. Ma certo, poteva essere stato lui! È capace di tutto, mi dissi. Devo provare ad osservarlo a distanza. Senza che se ne accorga. Ma lui, proprio come Gatto Sivestro, salendo svelto le scale in punta di piedi, si limitò ad annusare qualche impronta, come fanno tutti i felini. Poi si voltò verso di me e disse: Miao! Sei sulla strada sbagliata, amico, non è di me che devi sospettare! Quindi continuò a salire le scale zompettando tranquillo e mormorando che gli parevo un tipo davvero molto strano. Così mi sembrò di capire che Gildo conoscesse la verità su quelle maledette impronte! Chi poteva avergliela detta? Il rebus diventava sempre più complesso ed inestricabile.

Allora corsi di sopra per chiedergli come potevo rimediare e soprattutto se quello che sembrava sangue lo fosse realmente. Lo trovai disteso sul divano, che fumava un sigaro cubano. Mi disse, fratello tu hai una mente troppo contorta, spesso le cose sono molto più semplici di come sembrano. Ma ero ancora al punto di partenza, cioè a zero. Che voleva dire? Come per aumentare la tensione, in quell’istante si fulminò un’altra lampadina e la radio trasmise “Murder in the red barn” di Tom Waits. Sembrava lo facessero apposta! Fu allora che Gildo mi prese sottobraccio e mi spiegò che le impronte erano di tutte quelle persone che erano passate nella mia vita senza neppure riuscire a fermarsi il tempo necessario ad appoggiare entrambi i piedi. Un po’ perché io le avevo in qualche modo rifiutate, un po’ perché non avevano ritenuto utile o interessante o opportuno restarci. Mi tornarono in mente ragazze, amici, conoscenti, colleghi di università che non ero riuscito a conoscere per davvero, a trattenere nella mia vita. Con i quali non si era andati oltre un rapporto formale e superficiale. Si trattava anche di persone che mi erano sembrate interessanti, colte, controcorrente e quindi compatibili col mio modo di essere, ma che la fretta e la superficialità a cui siamo abituati oggi, mi avevano fatto perdere per strada.

Rividi nella mia mente un vortice di volti: Ornella, Tina, Teresa, Donato, Tiziana, Alfredo, Michela. Chissà in quale angolo di mondo si trovavano in quel momento e se ancora si ricordassero vagamente della mia esistenza! Mi sembrò di barcollare. Ero come ubriaco. Intanto la programmazione di Murder Radio era passata a trasmettere “Canzone dell’assenza” di Massimo Bubola. Decisi di telefonare a Ornella, era la sola della quale conservavo, ancora dopo tanti anni, il numero sulla mia rubrica, forse nella speranza inconscia di riuscire, prima o poi, a ristabilire i contatti.
311 355 2384
“Informazione gratuita. Attenzione, il numero composto è inesistente. Si prega di verificare prima di tornare a chiamare.”
Fu allora che l’ennesima lampadina si fulminò e restai a brancolare disperato, cercando di scendere quelle maledette scale nel buio gelido della mia solitudine.
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« immagine » Ricordo di aver visto la prima una sera, forse era già notte, ed è per questo che non le diedi importanza. In quel momento Murder Radio, la mia radio preferita, trasmetteva “Henry Lee” di Nick Cave e PJ Harvey, e questo sottolineò la suspence. Ma, nella penombra, pensai fosse soltant...
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17/06/2023 12:38:34
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UNA METEORINA

14 giugno 2023 ore 16:40 segnala
Ricordo di Arcore la mia prima cena
mi presentai elegante. Nuda era la schiena.
Sognavo mi trattassero da donna
ma presto le mani scesero sotto la gonna.
Io non sarò istruita, ma ho una qualità
oggi davvero molto rara: la dignità.

Ero stata selezionata da quei procacciatori
di puttane, detti manager. Se avevi bollenti ardori
e disponibilità durante queste famose cene,
e non ti rifiutavi di toccare al boss il pene,
potevi diventare “meteorina”! Mostrare il gluteo
in televisione durante le previsioni meteo.

Un traguardo! Tante restavano ai dopocena,
pure minorenni, e accettavano di aver la fica piena.
Alcune, lo ammetto, forse pure per necessità,
ma principalmente per il miraggio della celebrità
che tanto condiziona la nostra epoca.
L’intera generazione di quest’era babelica.

Così si spiega l’audience dei cosiddetti “talent”
dove si usa la musica come un prodotto, uno yogurt.
Promettono: raggiungi il successo in una sola notte!
E trattano le cantanti come fossero mignotte.
Credi che in quelle arene ci va chi ha talento?
La risposta, amico mio, sta soffiando nel vento.

Ma non avevan previsto, questi fini strateghi,
nessuno, né il capo né tutti gli altri colleghi,
che ci fosse qualcuna non disposta a tutto, per soldi.
Proprio non rientra nella mente di questi manigoldi.
Io inquadrai il contesto squallido dove mi ero trovata,
anche se non voglio dire che fossi proprio una fata.

Rifiutai chi strumentalizza il corpo delle donne.
Presi le distanze, procurando loro un periodo insonne
per tutto quello che lì dentro, avevo visto e sentito
e non mi hanno dato il tempo di rendere noto.
Dopo otto anni di cavilli legali e rinvii del processo,
mi hanno spedita quaggiù, sotto ‘sto cipresso.

Ora dormo sulla collina. Mi imbottirono di veleno.
Mi ridussero una salma, sembravo un alieno.
In puro stile mafia russa, cari amici del vecchio nano.
Son certa che tutto questo non vi sembrerà strano.
Conoscete meglio di me il soggetto in questione.
È colui che ha spinto l’Italia giù, in fondo al burrone.


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Ricordo di Arcore la mia prima cena mi presentai elegante. Nuda era la schiena. Sognavo mi trattassero da donna ma presto le mani scesero sotto la gonna. Io non sarò istruita, ma ho una qualità oggi davvero molto rara: la dignità. Ero stata selezionata da quei procacciatori di puttane, detti...
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IL FREDDO

15 maggio 2023 ore 17:07 segnala
Ricorda che siamo di passaggio, dunque cogli l’attimo.
Ama la natura in tutte le sue forme.
Rispetta i più deboli e impara ad ascoltare.
Non lasciarti abbagliare dalle apparenze.
Sii vera sempre.
Evita chirurgia plastica e altre forme di mascheramento.
Nutri la mente, non soltanto il corpo.
Coltiva le tue passioni, qualunque esse siano.
Non permettere che il conformismo condizioni la tua vita.
Scegli tu il tuo sentiero, non lasciare che lo facciano gli altri.
È differenziandosi che si costruisce la propria identità.
Non affidarti mai a stereotipi e pregiudizi.
La vera gara è solo con noi stessi.
Se riusciamo ad essere un gradino più su di ieri, abbiamo già vinto.
Lasciati guidare dai tuoi sensi e non dare mai nulla per scontato.
Non accontentarti di sopravvivere, vai a fondo alle cose.
Ricorda che l’autenticità vale più di mille maschere.
Fidati solo della pelle d’oca, quella non mente mai.
Affronta serenamente i cambiamenti che la vita ti proporrà.
Non credere alle calunnie.
Lotta sempre, finchè ce la fai.

.…e non avrai mai più freddo, al riparo del mio abbraccio !

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Ricorda che siamo di passaggio, dunque cogli l’attimo. Ama la natura in tutte le sue forme. Rispetta i più deboli e impara ad ascoltare. Non lasciarti abbagliare dalle apparenze. Sii vera sempre. Evita chirurgia plastica e altre forme di mascheramento. Nutri la mente, non soltanto il corpo....
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LA PANCHINA RACCONTA

08 maggio 2023 ore 00:01 segnala


È un pomeriggio incantevole di maggio. Uno di quelli che ti fanno fare pace con te stesso e con l’universo creato. Da un bel pò, all’ombra di un vecchio pino, su una panchina che non ricorda più quante persone si siano sedute lì ad ammirare il panorama, ci sono due vecchi che parlano ad alta voce e inveiscono contro il governo, il maltempo e l’arbitro che avantieri ha negato un calcio di rigore assolutamente evidente. Entrambi hanno cappello e sigaretta accesa fra le dita. Il tono è concitato, ma a tratti anche ironico e canzonatorio nei confronti del rispettivo interlocutore. Evidentemente sono di fede calcistica opposta. Altri pensionati, poco distanti, li zittiscono invitandoli a unirsi a loro per una partita a scopone scientifico. I due sembrano accettare ma, raggiungendoli, continuano a discutere ad alta voce all’infinito dell’opportunità di dotare tutti i campi di calcio di apposite moviole consultabili istantaneamente come se questa fosse la panacea a tutti i problemi dell’umanità.

Il sole è già sul viale del tramonto; caldo ma gradevole. Fra non molto si tufferà in mare, come fa ogni sera dall’origine dell’universo. Sulla stessa panchina, che si affaccia su un lungomare del basso Salento, dal lato jonico, ora si sono rifugiati due ragazzi. Lui e Lei. Le loro rispettive posizioni, sulla panchina, rivelano inequivocabilmente un crescente interesse reciproco. Lui ha il braccio appoggiato allo schienale della panchina. Sembra protendersi a volerla abbracciare, quasi a volerla toccare. Ma non lo fa, temporeggia. È vestito sportivo, ha jeans, maglietta e scarpe rigorosamente sportive, bianche, della marca più costosa. Parla piano, racconta chissà cosa, ma di sicuro lo fa con molta partecipazione. È quasi possibile percepirne le parole, anche a distanza. Dev’essere qualcosa che lo coinvolge emotivamente. Qualcosa di intimo, molto personale. Sembra quasi una confessione che la ragazza raccoglie con totale empatia. Lei ha una felpa arancione con una vistosa scritta sul petto. I suoi capelli sono spettinati, raccolti distrattamente da una molletta in plastica color lavanda. È seduta sulla punta della panchina, lo ascolta piano, completamente rivolta verso di lui, non si perde una sola parola del suo racconto, concentrata e discreta al tempo stesso, quasi a volerlo accogliere dentro sé, proteggere, coccolare. Lui alterna rapidi sguardi bassi, come fermandosi a riflettere, ad occhiate frequenti verso di lei che cercano approvazione e partecipazione a ciò che sta dicendo. Dovrebbe aver capito da un pezzo che ha già ottenuto tutto questo ed anche qualcosa in più. Infatti, a un tratto, lei ride di gusto ed ha uno slancio fantastico verso il ragazzo che lo autorizza a baciarla. O forse è lei a baciarlo? Fa poca differenza. Adesso la comunicazione si è fatta più sussurrata e intima. A distanza ravvicinata. Poco dopo i due si alzano e si avviano abbracciati sul lungomare e presto si confonderanno nel passeggio serale.

Lo spettacolo del tramonto si è quasi concluso. Ora sulla stessa panchina ci sono altri due. Un’altra coppia. Giovani, ma non più ragazzi, in questo caso. Hanno un cane di media taglia, al guinzaglio che annusa tutto ciò che trova e viene regolarmente rimproverato. Le posizioni dei due rivelano un minore coinvolgimento reciproco rispetto alla coppia precedente. Lei sembra seduta su quella panchina più per ammirare il mare che per prestare attenzione all’uomo alla sua sinistra. Fotografa il mare col suo smartphone senza il minimo entusiasmo. È vestita elegante, ha tacchi altissimi, capelli certamente freschi di parrucchiere. Anche lui sembra distratto e poco interessato alla presenza di lei. Ha un look alla moda che sembra – soltanto quello - in perfetta sintonia con l’outfit della compagna, in modo quasi studiato. Sul collo, dalla sua camicia spunta fuori un vistoso tatuaggio colorato. Adesso guarda il cellulare, quasi per darsi un tono, e proprio in quel momento questo squilla. L’uomo risponde rapido e sembra subito avere una maggiore familiarità con la persona al telefono piuttosto che non con quella che ha al suo fianco. Ride, scherza, gesticola tenendo un tono di voce alto che si percepisce in tutta la piazzetta. Lei appare decisamente imbarazzata, accarezza nervosa il cane, finchè decide di essere di troppo. Si alza e si allontana senza che lui la rincorra in alcun modo. Prontamente, la segue anche il cane che sembra altrettanto contrariato. Infatti, dopo pochi passi, torna indietro verso la panchina, alza la zampa posteriore destra e marca il territorio colpendo, col suo schizzo, anche il pantalone dell’uomo, che bestemmia lanciandogli dietro un giornale.
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« immagine » È un pomeriggio incantevole di maggio. Uno di quelli che ti fanno fare pace con te stesso e con l’universo creato. Da un bel pò, all’ombra di un vecchio pino, su una panchina che non ricorda più quante persone si siano sedute lì ad ammirare il panorama, ci sono due vecchi che parlano...
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08/05/2023 00:01:54
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PRESENTATI DA UN BRIVIDO

16 aprile 2023 ore 23:01 segnala


Noi due, presentati da un brivido
a quella festa di amici. Che fisico
avevi mentre ballavi soltanto per me!
Ti abbracciai e ci avviammo al buffet.

Quello fu l’inizio di un rapporto mitico.
Peccato che alla fine mi rimase un livido
per quella borsettata atroce sullo zigomo
che m’arrivò quando capisti ch’ero bigamo.

Cercai di dirti: i ricordi non si cancellano.
Certe emozioni vere, sempre ci tormentano
se solo le abbiam vissute davvero, col cuore
e non soltanto per l’assurdo, vecchio timore

d’esser soli. Per noi non fu così, son certo.
Ci amammo davvero. Eri acqua nel deserto.
Oasi vitale in un mondo falso e omologato.
Con te ogni giorno mi sembrava un prato

dove correre insieme, felici, sempre in due.
Ricordo che era fine primavera del 2002.
Vent’anni meno me, eppure insegnavi tanto!
Poterti esibire era il mio più grande vanto.

Pensavo davvero fossi fatta per me.
Più impressionante d’un quadro di Monet.
E anche molto più inattesa d’un regalo.
Con un sol sguardo mi rendevi schiavo.

Ricordi che mi abbracciavi all’improvviso?
E io, come un regista, ti incorniciavo il viso.
Oppure lo stesso auricolare dividevamo
o sul treno dallo stesso libro leggevamo?

Son certo, il nostro era un rapporto mitico
Peccato che alla fine mi rimase un livido
per quella borsettata atroce sullo zigomo
che m’arrivò quando sapesti ch’ero bigamo.

Tu sapevi render tutto entusiasmante.
Col tuo gusto infantile. Eri il mio movente.
Per te avrei ucciso. Torna, stringimi ancora.
Non fu un inganno. Se lo farai come allora!
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16/04/2023 23:01:24
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VITA VERA

05 aprile 2023 ore 03:53 segnala


Che libidine! Ritrovarsi completamente solo in un cinema, di giovedì pomeriggio, per assistere al nuovo film di Gabriele Salvatores. Mi torna in mente quando acquistavo un nuovo disco dei Pink Floyd, di Lucio Dalla o di tanti altri, e mi chiedevo cosa volesse raccontarmi di nuovo, questo vecchio amico. Perché per me Gabriele è un caro amico col quale sono cresciuto e dal quale mi sono fatto influenzare nelle letture e perfino nelle scelte di viaggio, da Marrakech a Puerto Escondido!

Alla biglietteria sorprendersi, tristemente, che alla cassiera il nome di Salvatores è completamente sconosciuto. Risposta: Forse intende il film con Tony Servillo? Cominciamo bene….

Il film si apre con un robot-aspirapolvere che scorrazza in un appartamento tappezzato di ritratti, fotografie e trofei di un regista che si avvia al termine della sua carriera con un riferimento neanche troppo velato allo stesso Gabriele. In quella casa tutto è automatizzato, con sensori che percepiscono perfino l’umore del proprietario. “La casa si ribella alla malinconia, l’ha detto anche il tecnico!”

Ricco cast di attori che affianca a compagni di avventure di sempre come Fabrizio Bentivoglio e Antonio Catania, altri più recenti, rivelati già dal film precedente, tipo l’ottimo Natalino Balasso o Marco Bonadei sosia perfetto di Nick Cave.

È un film sul tempo che passa, come dice lo stesso Servillo in apertura, e sulla necessità di confrontarsi con le generazioni emergenti e i loro “vagiti di talento” “Sto male perché lo invidio o lo invidio perché sto male?” si chiede ancora Servillo. Si avverte l’imbarazzo del nostro regista, al bivio con la sua vecchiaia, che non riesce neppure a spiegare di cosa parla il suo ultimo film.

Affascinante il bianconero e i tempi lenti che ci proiettano lontano dalla nevrosi collettiva odierna con la contrapposizione fra l’epoca di Casanova con le sue serate trascorse vicino al camino alla luce di candele a giocare a carte, o gli squarci sulla natura e l’agricoltura con la scena della nascita di un vitello ( e qui si segnala l’espressività sconvolgente di Sara Serraiocco) ed i personaggi odierni schiavi della moderna tecnologia che ha ormai preso il sopravvento come la porta automatica di un bancomat che tiene prigioniero Servillo oppure il copriwater elettrico che non si vuole più chiudere.

Piccola annotazione personale: la soddisfazione autentica nel vedere ripristinato l’antico intervallo fra primo e secondo tempo che consentiva di confrontarsi e discutere sul significato di una pellicola, cercando anche di anticiparne gli sviluppi. Ma perché è ormai così difficile trovare una donna che abbia davvero il gusto e la competenza di andare a cinema per analizzare un film nei particolari e nei dettagli, invece di sfoggiare il nuovo abito firmato?

A chi si scandalizza delle coppie scambiste di oggi, consiglio di ascoltare la proposta indecente di Casanova/Bentivoglio per godere per un’intera notte della bella Marcolina! Queste cose sono sempre esistite, solo che prima non c’era il web! “Non lesse negli occhi di lei né la parola bastardo, né ladro, né vile, ma la più terribile di tutte: vecchio!”

Geniale la scena del duello completamente nudi.

Questa è vita vera, più che un film.
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05/04/2023 03:53:47
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