ETERNO VISIONARIO

08 novembre 2024 ore 00:44 segnala


Malgrado la mia adorazione per tutta l’opera di Pirandello, non ho potuto non storcere il naso davanti a un recente film a lui dedicato. Mi sembra infatti che Michele Placido (regista) e gli altri sceneggiatori, confezionando “Eterno visionario” abbiano approfittato nel cavalcare l’onda del revisionismo storico del periodo fascista fino a tentare di dimostrare che anche lo stesso Luigi Pirandello fosse fascista.
Tralasciamo l’uniformarsi del copione ai giornali di gossip o alla tv spazzatura più in voga ai giorni nostri, fino a sguazzare nel torbido delle vicende personali del Premio Nobel.
Nessuno nega che, come gran parte degli italiani in quegli anni bui, anche il grande scrittore ebbe degli atteggiamenti di apertura apparente nei confronti di Mussolini, ma non è assolutamente credibile la tesi che serpeggia nel corso della narrazione che Pirandello fosse fascista.
A chi non è convinto di questo, suggerisco di andarsi a leggere “L’esclusa” uno dei romanzi più illuminati, femministi e di un’apertura mentale che molti non hanno raggiunto neppure oggi, un secolo dopo.
Viene da credere che tutto ciò sia un passaggio obbligato per ottenere finanziamenti dal ministero della cultura (già noto per altre prodezze!) del governo dell’armata BrancaMeloni…

“Legalizzare la mafia
Sarà la regola del 2000
Sarà il carisma di Mastro Lindo
A organizzare la fila
E non dovremo vedere niente
Che non abbiamo veduto già
Qualsiasi tipo di fallimento
Ha bisogno della sua claque”
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« immagine » Malgrado la mia adorazione per tutta l’opera di Pirandello, non ho potuto non storcere il naso davanti a un recente film a lui dedicato. Mi sembra infatti che Michele Placido (regista) e gli altri sceneggiatori, confezionando “Eterno visionario” abbiano approfittato nel cavalcare l’o...
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IL VENTO DEL SALENTO

08 ottobre 2024 ore 11:31 segnala


Bianche lenzuola pazze di vento.
Che aspetti a venire in Salento?
Credono qui si viva solo in estate
con mare limpido e spiagge dorate.
Invece c’è il meglio in ogni stagione,
con clima dolce e i fiori sul balcone.

Questa terra che mi ha adottato
sa come lasciarmi senza fiato
perché ha il sole sempre in tasca,
calette che sembrano una vasca.
Nuvole bianche, in cielo dipinte
che raramente piovono convinte.

Dal barocco ai paesi che parlan grico
è facile conoscere un nuovo amico.
Esplorare insieme i fondali marini
o ammirare le ragazze col bikini.
Oppure perdersi a Porto Selvaggio
e ancora ricominciare il viaggio.

Di sagra in sagra non sei mai digiuno.
Le visiti così, inseguendo nessuno,
accolto sempre da un aperto sorriso
e un’espressione vera sopra il viso.
La gente è semplice e ti dà del tu.
Quanti incredibili ricordi di gioventù!

Angoli di pace che mai scorderò.
È così che la mia primavera volò.
In fondo la vita son pochi decenni.
I primi servono ad affilare i denti.
Gli altri a riflettere sugli errori fatti.
Gli ultimi li passi a coccolare i gatti.

LA MULTA SUI CULI

21 luglio 2024 ore 22:36 segnala


Un tempo la città di Gallipoli era nota per la sua bellezza. Il nome stesso (dal greco) significa “città bella” ed ha mantenuto questa caratteristica nei secoli. Proiettata nel mar Jonio come fosse una grande nave, la bellezza del centro storico è stata mantenuta anche nella città nuova col suo bel lungomare degno di un capoluogo più prestigioso. Eppure, in tempi recenti, Gallipoli sta facendo parlare di sè soprattutto per le bizzarre iniziative della sua amministrazione. Volete sentire la più grottesca? La multa sui culi ! Come in molte località turistiche, anche a Gallipoli ci sono molti che noleggiano biciclette ai tanti turisti giovanissimi, ma questo deve aver turbato le notti del primo cittadino costretto a vedere tante splendide ragazze che pedalavano in bikini ( riportando alla mente la copertina di un vecchio long playing dei Queen: pare che nella lontana Inghilterra fossero dediti a questo tipo di perversioni già negli anni ’70…. ) mettendo in mostra le loro conturbanti curve posteriori.
Non si fa !!!
Qui si impone un provvedimento moralizzatore, hanno pensato i massimi vertici dell’amministrazione comunale, evidentemente ignari dei tanti problemi seri e reali che andrebbero risolti con urgenza. Multiamo tutti (o meglio tutte) coloro che, sotto un sole a 38 gradi si permettono di circolare in abiti succinti. A Gallipoli, al mare si va vestiti con lo scafandro, non lo sapevate? In realtà non è difficile intuire che si tratta soltanto di una iniziativa ipocrita che serve a mascherare l’invenzione dell’ennesimo balzello ai danni dei tanti turisti che stanno già pensando di cambiare spiaggia, il prossimo anno.
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« immagine » Un tempo la città di Gallipoli era nota per la sua bellezza. Il nome stesso (dal greco) significa “città bella” ed ha mantenuto questa caratteristica nei secoli. Proiettata nel mar Jonio come fosse una grande nave, la bellezza del centro storico è stata mantenuta anche nella città nu...
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L'AMORE NON ESISTE

15 aprile 2024 ore 01:15 segnala


Tutti parlano di amore, oggi come ieri. Dichiarano di essere follemente innamorati di qualcuno anche se, troppo spesso, questa condizione idilliaca dura solo un tempo brevissimo.
Perché?
La verità è che, nelle relazioni, la molla che ci scatena tutti è il gusto di piacere. Quello che ci affascina davvero è la sensazione di sentirsi apprezzati, valido per uomini e donne. Quindi è soltanto un fatto egoistico, sostanzialmente. Noi amiamo innanzitutto noi stessi, non amiamo l’altra persona! Amiamo una persona quando e perché ci fa sentire amati, cioè solo all’inizio.
E infatti il tradimento brucia principalmente perché fa vacillare questo sentirsi su un piedistallo, ci fa perdere questa priorità su tutti gli altri. E quindi è anche questo un fatto egoistico.
Chi non comprende questo meccanismo vive ancora nel mondo delle fiabe, con principi azzurri a altre suggestioni adolescenziali.

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« immagine » Tutti parlano di amore, oggi come ieri. Dichiarano di essere follemente innamorati di qualcuno anche se, troppo spesso, questa condizione idilliaca dura solo un tempo brevissimo. Perché? La verità è che, nelle relazioni, la molla che ci scatena tutti è il gusto di piacere. Quello c...
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15/04/2024 01:15:16
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UN ANIMATORE TURISTICO

07 febbraio 2024 ore 17:16 segnala

Questo mestiere l’ho inventato io.
Insieme a Nando, un amico mio.
Con la complicità di gente così triste
che doveva essere animata, sulle piste.
Talmente noiosa ed incapace di autonomia
da aver bisogno di una guida. Una regia.

Qualcuno che gli dicesse cosa fare.
Spaventati, per quanto è grande il mare.
Ed io: Tutti insieme, a ritmo, su le mani !
Li comandavo a bacchetta, come cani.
E dire che da giovane avevo i miei sogni.
Col tempo sostituiti soltanto dai bisogni.

Li ho abbandonati per il vil denaro.
Ho accettato il mio destino amaro.
Se ci pensi, tristezza ed allegria sono parenti.
Facevo l’animatore, pagato dai miei clienti.
Il divertentismo cominciò nei villaggi turistici,
dove io dimenticai i miei maestri mistici.

Gli interessi che da giovane coltivavo.
E intanto anche la dignità perdevo.
Organizzavo agli altri i tempi morti.
Ma mi chiedevo perché anche i più forti
fossero terrorizzati a restare soli con se stessi
per mezz’ora. Davvero, spaventati ! Ambo i sessi.

Poi finalmente riuscii a passare in televisione.
Modestamente, mi ci portarono per acclamazione.
Altri dicono che io avrei trapiantato pure lì
quei metodi di intrattenimento demenziali.
Ecchissene ? E giù risate finte e applausi a comando.
Le prime erano registrate, agli altri ci pensava Nando.

Io continuo ad avere il mio sorriso idiota.
L’importante è che mi diano la banconota.
Idiota son felice di esserlo, lo ostento sempre,
tutto il santo anno, da gennaio a dicembre.
Qualunque cosa vedo o mi accada attorno:
guerre, sciagure, stragi. Dicevo: indietro non ritorno !

Ora dormo sulla collina, perché tutta 'sta manfrina
mi fece perdere per sempre quel poco di autostima.
Quel che facevo offendeva l’intelligenza umana.
Sentivo che era più decoroso fare la puttana.
Non ce la feci più. Urlai: venitemi a pigliare !
E con una pietra al collo, mi affogai nel mare.


Dalla raccolta SPOON RIVER RELOADED

COMFORT ZONE

22 dicembre 2023 ore 03:45 segnala


“Nauseata da richieste squallide e ripetitive? Annoiata da una chat che ha fatto il suo tempo? Con like, emoticon e termini contratti non si riesce a comunicare. Anche la società dell’immagine ha fallito, trasformandoci in automi che rispondono solo a pochi imput, perchè “L’essenziale è invisibile agli occhi”! Inoltre i social sono ormai inquinati da soggetti che ispirano una giustificata diffidenza, e questo impedisce di aprirsi all’altro. Il modo migliore per entrare in contatto con un’altra persona è ascoltare la sua voce. Niente può rivelarci di più: il tono, l’estensione, perfino le pause. Una foto non riuscirà mai ad immortalare l’essenza più autentica di ognuno di noi. La vista può ingannare o darci una visione parziale. A chi non è già accaduto? Preferisci l’udito anche tu!
Così come non ha senso farsi guidare soltanto dall’attrazione fisica (parlo per entrambi i sessi). Si sa che è proprio questo il principale motivo di tanti divorzi. Puntare tutto sul sesso non basta. Riuscire a comunicare profondamente con un altro essere è una delle sensazioni più belle della vita, ma proprio per questo è cosa rara, che bisogna inseguire e affinare lentamente nel tempo.
Se hai voglia di conversare civilmente, per conoscerci un po’ per volta, ti do il mio numero in privato. Potresti chiamarmi col tuo numero occultato in modo che non potrei disturbarti oltre, se non lo vorrai. Saremo amici, amanti o solo conoscenti? Chi può dirlo? Il web ci offre un potenziale illimitato, che senso ha stare lì ad offendersi e litigare?
I miei interessi sono tanti: musica, viaggi, libri, natura, il biliardo e la fotografia. Ma anche e, soprattutto, ampia disponibilità ad accoglierne di nuovi, i tuoi! Ti aspetto.”

Mi capitò di leggere quest’annuncio una sera, era passata mezzanotte, su una chat dove mi affacciavo con crescente diffidenza per la presenza sempre più frequente di fake, troll, gente volgare, sempre pronta ad aggredire e offendere. Fui colpita innanzitutto dalla citazione dal “Piccolo Principe” che adoravo fin da bambina ma, devo ammetterlo, anche dal messaggio stesso che sostanzialmente condividevo e che mi suonava accorato, come di una persona che affidasse a quelle parole la sua ultima opportunità.

Insomma, mi sembrava “autentico”. Volli credere che quell’uomo fosse diverso dagli altri e lo contattai sulla chat. Inizialmente mi mostrai titubante anche se ero già decisa ad accettare la sua proposta e chiamarlo al telefono, perché anch’io mi considero una tipa auditiva.

Mi chiamo Gemma, ho 39 anni e vivo in un piccolo paesello dimenticato nel sud del Salento. A volte mi sembra di immaginarlo completamente immerso in un grande acquario sigillato dal quale è ormai impossibile scappare. Proprio per questo le chat rappresentano per me, da parecchio tempo, una vera via di fuga. Una boccata di ossigeno. Almeno così riesco ad evadere con la fantasia!

La monotona vita del paese mi dà una sensazione di soffocamento crescente in un labirinto fatto di conformismi, perbenismi, ipocrisie, regole non scritte ma rispettate in modo categorico da tutti i miei concittadini di ogni sesso, età e ceto sociale, ed anche da me stessa – lo confesso - tanto da farmi mancare letteralmente l’aria. Davvero non vedevo via di uscita per cui, ultimamente, mi sentivo molto più disponibile alle novità, agli imprevisti e perfino al rischio – chat comprese - pur essendo una ragazza molto responsabile, mio malgrado.

E poi - in effetti - col numero occultato non rischiavo niente e mi sarei tolta il dubbio di capire se la sua tesi fosse giusta: si può, soltanto da una voce al telefono, percepire molto più di com’è fatta un’altra persona? Intendo più che da una foto o uno scambio di battute in chat. “Atipico”, questo era il suo nick, aveva 45 anni e viveva nella vicina Lecce, anche se era originario di Matera. Sulla chat si sbracciò nel tentativo di convincermi a chiamarlo, e in questo non si differenziava affatto da tutti - dico tutti - gli altri uomini. Adulatori, bugiardi e grandi maiali. Tutti uguali, li conoscete meglio di me!

Ma, come ho già detto, io volevo provare. Forse era la Gemma ribelle (quel briciolo di ribellione che ancora era sopravvissuta alla mia rassegnazione cronica) che mi spingeva a farlo. E poi, non so se sia successo anche a voi di incrociare una persona in chat, e di sentire da subito che tutto è diverso dal solito. Percepire nettamente che, con quella persona, è come se vi conosceste da sempre, che avete tanto da raccontarvi, da condividere, insomma sentire che c’è qualcosa di insolito che vi accomuna. Ma non necessariamente qualcosa di positivo. È come un corto circuito che vi attraversa entrambi e che esplode e vi travolge in modo incontrollato. Probabilmente mi avete fraintesa. Non parlo soltanto di attrazione sessuale, ma di una scarica a livello mentale, perfino prima ancora di esservi scambiati le foto. Non so se mi capite…

Un’urgenza di comunicazione tenuta a freno per chissà quanto tempo e che deve essere soddisfatta proprio con quella persona e in quel preciso istante. Una necessità di confronto, ma anche di scontro. Un bisogno perfino di far volare dei ceffoni, se ce ne fosse la possibilità. Ma non vi siete mai visti e forse non vi vedrete mai. Quindi gli schiaffi li mettiamo da parte, almeno per il momento. Parlo di una connessione talmente viscerale, da scatenare, nei giorni a seguire, sempre senza che ci sia mai incontrati, scompensi a livello gastro intestinale! Non sto scherzando. Un bisogno di affermare la propria verità, ma anche il sogno irrealizzabile di riuscire a far ragionare l’altra persona domandandosi, al contempo, perché ci interessi tanto far cambiare opinione a un perfetto sconosciuto. Perché in altri casi, in tanti altri casi, si è lasciato perdere dopo solo due minuti? E invece quel nick, quell’anonimo nick privo perfino di una misera foto, riesce a catturare la nostra attenzione in modo così assoluto, totalizzante? A me è capitato un paio di volte e vi assicuro che si arriva a star male! Quella sera, per me, fu proprio così. Vi racconto come andò…

Indossai gli auricolari e lo chiamai. Questo mi avrebbe permesso di ascoltare ogni minima sfumatura della sua voce. Quando le nostre prime parole si incrociarono avvertii subito che quella sintonia che avevo avvertita già in chat non era sparita ma, anzi, si era amplificata! Ormai era passata l’una di notte, e la sua voce profonda, sussurrata e quasi ironica mi sembrava di averla accanto, di conoscerla da sempre. Ricordo che la prima cosa che mi disse fu: “Noi siamo animali, Gemma! Per questo non mi piacciono le chat, perché impediscono di guardarsi negli occhi, ma anche di accarezzarsi, di annusarsi come fanno gli animali.” Ammetterete che come esordio non fu proprio leggerino, ma non bastò a farmi desistere! Lui disse di chiamarsi Marco. Era privo di accenti dialettali, e questo mi piacque molto. Anch’io mi vanto di non averne. Ma quello che mi colpì maggiormente era la sua spontaneità. A tratti aveva dei modi anche molto diretti che un po’ mi disturbavano, ma d’altra parte proprio questi modi mi convincevano che non fosse l’ennesimo posatore seriale. Il web ne è pieno. E il mondo anche!

Infatti, come mi aveva promesso in chat, Marco iniziò a raccontare aneddoti che lo riguardavano, con una naturalezza sorprendente. Mi arrivò ad elencare conquiste fatte ovunque, perfino su un traghetto che lo portava in Turchia, durante un viaggio, anni addietro, quando era arrivato a dedicare una poesia in inglese ad una giovane turista che aveva vegliato per un’intera notte, sul ponte della nave. Fino a situazioni sempre più strane e romanzesche. Mi disse anche che aveva una web radio e aveva anche pubblicato tre romanzi. Questo mi fece sospettare che si inventasse anche tutte le storie che raccontava a me! Ma non volli interromperlo.

Alcuni aneddoti volevano sembrare divertenti e testimoniavano comunque (se non completamente inventati) una vita davvero interessante e fuori del comune, come peraltro diceva il suo nick. Su altri mi sembrava logico dubitare che fossero reali, ma ce n’erano altri ancora, molto privati e sofferti.

A volte mi sembrava di parlare con quel personaggio di un vecchio film di Carlo Verdone: “mi imbarcai su un cargo battente bandiera liberiana…." Ricordate? Lui era un turbine di ricordi e, soprattutto, un vulcano di emozioni! Quello che mi restava da capire era se fosse un pallonaro professionista, proprio come Manuel Fantoni !

Mi disse di provenire da una famiglia colta e benestante, di origini nobili, ma molto rigida e tradizionalista e questo gli aveva quasi impedito di vivere i suoi primi trenta anni di vita, con una serie di divieti assurdi imposti dalla madre. Col risultato che poi era esploso e nei successivi trenta aveva fatto di tutto, quasi per recuperare il tempo perduto, riuscendoci in pieno, a giudicare dai suoi racconti.

Dunque lui aveva circa sessanta anni! Mi chiederete perché non misi subito giù il telefono, visto che io non ne ho ancora quaranta e oltre tutto lui, nel profilo, ne dichiarava quindici in meno. È difficile rispondere. Innanzitutto perché lo ammise subito, senza difficoltà, giustificandosi col fatto che lui era in chat principalmente per dialogare e, dichiarando l’età reale, si condannava a dialogare con coetanei dai quali si sentiva lontano anni luce, proprio perché “atipico”. E poi perché sentivo, grazie proprio alla sua voce, che ero entrata in contatto con una persona genuina, autentica, che aveva un gran bisogno di parlare e di comunicare senza atteggiarsi. E infine, proprio per la differenza di età, speravo di poter apprendere e lasciarmi guidare da lui. Sentivo il bisogno di una figura maschile, di riferimento.

Al tempo stesso, Marco mi promise di “voler ascoltare anche il mio romanzo” e, chiamatemi scema, questo mi conquistò definitivamente. Confessiamolo! A quale donna non piace parlare di sé, avere qualcuno che ci ascolti pazientemente mentre ci raccontiamo e ci confidiamo? Sognai che con lui avrei potuto avere quello scambio profondo che mi era sempre mancato con mio padre. La sua voce aveva una gamma espressiva molto vasta che andava da un tono ironico, molto coinvolgente, alle affermazioni perentorie in merito a politica e attualità, fino a quando sussurrava sottovoce in modo davvero eccitante. Ma soprattutto il mio sesto senso femminile sentiva che quell’uomo nascondeva qualcosa che lo faceva soffrire e che ancora non mi aveva riferito. Io la chiamavo “la sua luna nera”.

La sera successiva ci risentimmo ancora. Tornai ad indossare gli auricolari per chiamarlo col numero occultato. Tutto questo stava diventando un rito che mi conquistava. O era già una forma di dipendenza? Sicuramente mi regalava una sensazione di libertà perché mi faceva volare con la fantasia e sentivo di essere entrata in un ambito se non vietato, almeno rischioso che era per me una novità assoluta. Ma penso che aiutasse anche Marco a raccontarsi a trecentosessanta gradi, perché era come se parlasse ad uno specchio. Infatti non mi risparmiava dettagli anche molto intimi, con estrema naturalezza. Io mi limitavo ad ascoltare cercando di dissimulare il mio interesse alle sue parole. Non volevo fare la figura di una paesanella. In ogni caso parlava quasi soltanto lui, e questo a me stava più che bene.

Quella sera mi raccontò un episodio che, a suo dire, era stato fondamentale per raggiungere quel riscatto e quello scardinamento delle regole familiari delle quali mi aveva parlato. Era stata una relazione che aveva avuto, da giovane, con una ragazza sposata. Quella violazione delle norme, durata più di due anni, era quello che Marco aspettava da sempre per creare una frattura definitiva con la sua vita precedente, tutta piena di regole e prescrizioni integerrime, e gli aveva regalato una sensazione di libertà e di trasgressione a cui aspirava da sempre.

Tutto questo mi venne istintivamente di riferirlo anche a me stessa e alla vita da emarginata cronica che facevo nel mio paesello. Forse avevo anch’io bisogno di uno scossone!? Di voltare pagina, finalmente. Ma come fare? Lui, quasi leggendomi nella mente, mi disse che dovevo trovare il coraggio di uscire dalla “comfort zone” che, sentiva, mi ero creata e che può finire per rendere schiavi di circoli viziosi. Non mi crederete, ma questo lo disse pur non sapendo praticamente niente di me e della mia lunga emarginazione. Ma come faceva a leggere a distanza?

Mai affermazione fu più vera. Era esattamente quello che volevo sentirmi dire da una vita. Mi spiegò che, per molti di noi, si tratta di un meccanismo inconscio che ci porta a cercare sicurezza in gesti e abitudini ricorrenti che, però, ci impediscono di fatto di vivere pienamente. Affermò che anche la frequentazione delle chat dimostrerebbe questa volontà di nascondermi dalla realtà. Devo riconoscere che riusciva a leggermi dentro! Ma come l’aveva capito, visto che io avevo detto così poco di me stessa? Promise che mi avrebbe aiutata a liberarmi dalle invisibili catene che questo meccanismo inevitabilmente ci impone. Non gli risposi, ma intimamente lo speravo davvero!

Sentivo che Marco aveva ragione ma, ovviamente, non commentavo. In effetti io mi ero progressivamente isolata dal mondo sostanzialmente per la paura di affrontare la vita, il confronto con gli altri e tutti gli imprevisti cui sarei andata incontro. Una paura generalizzata di fallire e soprattutto il timore del giudizio degli altri paesani. Quello che mi colpiva maggiormente, era che lui faceva queste osservazioni o mi raccontava le sue vicende passate non col tono di chi si vanta o di chi sale in cattedra, ma piuttosto con quello di chi vuole condividere la sua esperienza con una persona nuova, senza necessariamente stupirla. Quasi osservando se stesso dall’alto, dal di fuori, dall’esterno. Con nostalgia ma anche col rimpianto che si ha pensando a una vita ormai passata, quasi conclusa. Ma perché lo pensava? Infondo aveva solo sessanta anni. In ogni caso, raramente mi era capitato di interagire con una persona così “vera”, priva di ogni forma di autodifesa. Mi convincevo sempre più che non si trattasse di un posatore. Quello che mi raccontava l’aveva realmente vissuto. Ma allora perché continuava ad avere questa “luna nera”?

Anche la differenza di età non mi spaventava più, in fondo io volevo proprio una persona matura che in qualche modo sostituisse mio padre che avevo perso da ragazzina. Forse fu per questo che cedetti alle sue insistenti richieste di ricambiargli la fiducia dandogli il mio numero di cellulare: me ne sarei pentita? Dunque, ora non ero più protetta dall’anonimato. Lui poteva vedere il mio profilo WhatsApp con la foto del mio viso in primo piano, ma questo non mi spaventava, anzi mi eccitava. Quell’uomo mi stava insegnando un gioco nuovo, ed io volevo continuare a giocare con lui. Dove sarebbe riuscito a condurmi?

Un’altra sera mi raccontò di sue presunte prodezze nel mercato immobiliare che lo avrebbero portato a realizzare grossi guadagni apparentemente molto facili, in più di un’occasione. Acquistava immobili malridotti posizionati in luoghi strategici, li faceva ristrutturare alla buona e, a suo dire, era riuscito in più circostanze a rivenderli arrivando anche a raddoppiare o triplicare il prezzo pagato in fase di acquisto. Sospettai che anche questo potesse essere frutto della sua vulcanica fantasia, ma non ne avevo le prove e, soprattutto, volevo continuare quel gioco scellerato.

Fu a quel punto che diventò quasi prevedibile, perché mi propose di incontrarci come avrebbe fatto un qualsiasi bipede di sesso maschile. Altro che atipico! Mi invitò a vederci per un gelato e, al mio rifiuto, arrivò a dire che, se volevo rimanere in contatto con lui, dovevo fare qualche follia perché mi vedeva troppo quadrata! Ovviamente risposi che non dovevo subire ricatti, né superare prove per rimanere sua amica e lui replicò che quando mi sarei sentita pronta ad incontrarmi sapevo come trovarlo.

I nostri contatti si interruppero per qualche giorno, ma era innegabile che avesse l’abilità di farmi diventare curiosa di tutti i suoi racconti, delle esperienze che aveva vissuto nei suoi viaggi avventurosi. Insomma mi mancava e lo chiamai una sera: mi accolse dicendo che stava preparando dei falafel per cena. Io non sapevo assolutamente cosa fossero, mi informai su internet e scoprii che si tratta di polpette di farina di ceci e altri legumi, molto speziate, che si usano nel nord Africa e nel mondo arabo. Mi invitò anche ad andare a casa sua per assaggiarle, dandomi perfino l’indirizzo di casa! Ovviamente non ci andai, ma sentivo che con lui avrei voluto provare tutte le esperienze che i miei e la realtà provinciale nella quale ero cresciuta mi avevano sempre negato. Forse stavo trovando la voglia di uscire dalla comfort zone, come diceva lui?

Finchè una sera, mentre sembrava che continuasse a scherzare, mi rivelò di aver stabilito quello che lui stesso definiva un record in negativo: era vedovo pur non essendosi mai sposato. Inizialmente ne accennò con apparente distacco, invece poi compresi che era solo una maschera che usava per proteggersi. In realtà era soltanto di quello che desiderava parlarmi, forse fin dalla prima sera. Era quella la luna nera! Voleva liberarsi di questo peso assurdo, ed era talmente disperato che gli bastava farlo anche con una voce anonima, al telefono.

La sua voce subì una metamorfosi completa mentre mi riferiva che la sua compagna di una vita, Liliana, si era spenta due anni prima per un tumore e il suo ricordo continuava a tormentarlo così tanto che scorrendo il mio profilo sulla chat, aveva trovato analogie impressionanti, fisiche e culturali, fra me e lei. E si era addirittura convinto che io potessi essere la sua reincarnazione. Questo mi allarmò terribilmente. Mi spiegò che quando si arriva al bivio con un problema del genere, così reale, drammatico e non immaginario, che riguardi noi stessi o una persona a noi vicina, si arriva a riconsiderare tutto, quello che siamo stati, quello che potevamo essere e non siamo stati in grado di diventare. Insomma, fare un bilancio di come abbiamo speso il nostro tempo, come fosse un tesoro. Perché, in effetti, lo è anche se non ce ne rendiamo conto!

Lo abbiamo sprecato forse proprio perché abbiamo ingigantito problemi che non meritavano la minima attenzione. Eppure hanno occupato i nostri giorni, i nostri mesi, a volte degli anni interi e solo allora ci accorgiamo di aver sciupato la nostra stessa vita. Ma purtroppo questo lo capiamo tardi. Troppo tardi. Ed è a quel punto che veniamo presi da un’insensata ansia di vivere, ormai fuori tempo massimo. Sebbene pensassi che avesse ragione, queste precisazioni mi dettero fastidio perché mi sentii in qualche modo sotto accusa. Anch’io ero solita ingigantire problemi di nessuna importanza. Anch’io sentivo di avere una prospettiva limitata, come diceva lui. Ma ricordo che quella sera ero molto prevenuta. Infatti quando, a un certo punto, arrivò a chiamarmi “dolcezza” stavo per mettere giù. Per fortuna o purtroppo non riuscii a farlo.

Lui proseguì dicendomi che, dalla scomparsa di Liliana, soffriva di insonnia e mi raccontò che con la sua compagna avevano l’abitudine di dormire abbracciati, e che da quando l’aveva persa, divorata dal male, in modo così fulminante, lui si era inventato un sistema per illudersi di continuare a percepire il caldo abbraccio di Liliana. Indossava tutte le notti, perfino in estate, una fascia elastica sul torace, per ingannare se stesso e credere che fosse ancora lei a stringerlo così forte. Soltanto in questo modo riusciva ad addormentarsi. Mi raccontò che ancora poteva sentire la scossa che riuscivano a regalargli gli abbracci di lei che arrivavano improvvisi, alle spalle, anche durante il giorno, con un trasporto e un’autenticità indescrivibili. Mi sembrava quasi di percepirli anch’io! Mi fece una pena infinita, ma non sapevo davvero come aiutarlo!

Tutto questo mi colpì talmente tanto perché mi sembrò insensato tutto quel dolore che si era abbattuto su persone in fondo giovani e in parte capii che inevitabilmente lui cercasse di gestirlo a modo suo, quel dolore. Continuavo, comunque, ad averne profondo rispetto, ma la mia posizione si faceva sempre più delicata e imbarazzante. Sentivo di invadere la sua privacy, anche se era proprio lui a consentirmi di farlo. La presenza di Liliana, ormai, era quasi tangibile, fra noi. Cominciavo quasi ad esserne gelosa. Comunque mi sembrava chiaro che quell’uomo avesse bisogno di un aiuto che non ero in grado di dargli io.

Spesso mi domandavo se qualche altra ragazza avesse accettato il suo invito di mettere da parte la chat e preferire il telefono, e con quali risultati. Ero proprio io ad ispirargli tutte quelle confidenze così private o era lui ad essere completamente libero da filtri e riservatezze? Mi sembrava come prigioniero dei suoi ricordi, era come se avesse rinunciato a qualsiasi forma di difesa preventiva. Insomma mi sembrava che anche lui si fosse rifugiato in una comfort zone, come diceva di me. Nel suo caso la confort zone era il suo passato. Un passato ingombrante e difficile da dimenticare. Marco era prigioniero dei suoi ricordi!

I nostri appuntamenti notturni continuavano e devo confessare che per me erano ancora piacevoli. È difficile dire perché, probabilmente proprio perché lui non era mai prevedibile. Passava da aneddoti divertenti a rivelazioni che io trovavo imbarazzanti sulla sua condizione attuale di vedovo inconsolabile. Devo riconoscere che quasi mai fece delle battute per insidiarmi e, soprattutto, non ricorreva mai a doppi sensi che io odio, sebbene si soffermasse anche a farmi delle confidenze private che avrei preferito evitare. Stava cioè confermando di essere atipico come del resto diceva il suo nick name. Finchè una sera mi salutò dicendo: Non so tu, ma io sento che mi sto affezionando a te! Fui completamente spiazzata, balbettai qualcosa e misi giù allarmata come se mi avesse minacciata a mano armata! Ero sconvolta.

Questo incrinò nuovamente il nostro feeling notturno. Nelle sere successive ci scontrammo diverse volte su qualche sciocchezza che poi entrambi ingigantimmo a dismisura anche perché io ero sempre più imbarazzata a raccogliere le confidenze di uno sconosciuto. Ma d’altra parte era sempre lui a parlare, poteva fermarsi quando voleva! Forse aveva capito che io non l’avrei mai sostituito con la narrazione della mia vita. Finchè una sera si fermò.

In un primo momento pensai che fosse caduta la linea, ma non era così. Lui era in linea ma non parlava più, nonostante le mie ripetute domande. Fino a quando sentii piano, in lontananza, un pianto sommesso. Cercai di consolarlo, ma mi sentii in una situazione veramente imbarazzante dal momento che, di fatto, eravamo soltanto due perfetti sconosciuti.

Da quell’episodio non ci sentimmo più per diverse sere. Lui non si faceva sentire e non vedo perché avrei dovuto chiamarlo io, anche se non ho mai gradito le cose lasciate a metà. Si, lo confesso che un po’ mi mancava. Mi mancava la sua voce calda e anche il suo fiume di racconti a ruota libera. Ma anche la sua teoria della “confort zone”.

Con sorprendente nonchalance, una sera mi richiamò rivelandomi a bruciapelo il proposito di suicidarsi. E sembrava anche determinato a metterlo in pratica subito, forse perfino avendo me in linea! Lo disse con una naturalezza sconvolgente. Come se stesse parlando di mordere una mela. Nessuna incertezza. Nessuna incrinatura nella voce. Ovviamente rimasi spiazzata, non sapevo davvero cosa dire. Mi informò che c’era un’unica circostanza che lo avrebbe potuto far desistere: incontrarmi quella sera stessa di persona! Era l’una e mezza di notte. Mi diede appuntamento presso un noto bar che resta aperto tutta la notte. Cercai di dirgli che non era assolutamente possibile, ma insistè a lungo spiegandomi che, arrivati a quel punto, non aveva senso fermarsi, semplicemente perché non lo volevamo né lui né io. Finchè fui costretta a rivelargli che io sono una suora e mi collegavo dal convento dove ero rinchiusa da ben nove anni.

A quel punto Marco disse che era tutto chiaro: era quella la comfort zone che aveva sempre percepito dalla mia voce, per tutte quelle sere. Mi esortò a scappare quella notte stessa dal convento. Dovevo farlo non per lui, che era solo una voce che dal buio mi aveva fatto vedere la luce, ma per me stessa. Dovevo rimettere in gioco la mia vita, darmi una nuova opportunità, ricominciare, lontana dalle paure che mi paralizzavano da tempo. Non so dire cosa scattò nella mia mente, in quel momento. Solo pochi minuti dopo mi ritrovai a scavalcare, con non poche difficoltà, il muro di quel dannato convento che mi aveva rubato la giovinezza. Infatti mi strappai pure la tonaca che si impigliò a un ramo di un albero. Mi sembrò una metafora del destino che si opponeva alla mia rinascita. Ma ormai ero più che decisa. E fu così che mi ritrovai a correre libera verso di lui, in piena notte, per le strade di una città che neanche conoscevo. A volte ci si trova a fare cose che non avremmo mai neppure immaginato. E sono sicuramente le più belle. Ero come trascinata da una forza invisibile che mi guidava verso quel bar che Marco mi aveva indicato e che, peraltro, non ha affatto una bella fama, soprattutto di notte. L’avrei trovato davvero lì, ad aspettarmi? Ci sarebbe stato quell’abbraccio tanto desiderato e temuto? Si sarebbero finalmente incontrate le nostre solitudini disperate?

Ancora non avevo la risposta a queste domande ma di sicuro, correndo per quelle strade nel cuore della notte, col vento che mi scompigliava i capelli, sentivo che Marco mi aveva aiutata a riprendermi la mia libertà. E non è poco! Il futuro mi aspettava con le braccia spalancate e di questo gliene sarei stata grata per sempre!
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« immagine » “Nauseata da richieste squallide e ripetitive? Annoiata da una chat che ha fatto il suo tempo? Con like, emoticon e termini contratti non si riesce a comunicare. Anche la società dell’immagine ha fallito, trasformandoci in automi che rispondono solo a pochi imput, perchè “L’essenzial...
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22/12/2023 03:45:14
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THE PALACE di Roman Polanski

05 ottobre 2023 ore 16:09 segnala


Avevo urgenza di vedere il nuovo film di Roman Polanski sia per la stima incondizionata che ho per lui da una vita, e del quale potrei citare tanti films capolavoro, ma anche per la strana coincidenza delle numerose recensioni negative che mi era capitato di leggere sul web prima ancora che il film uscisse. Gente che si reputa in grado di commentare un film soltanto basandosi sui “si dice”!

Scritto personalmente da Polanski all’età di 90 anni, il film è ambientato durante un cenone di fine millennio. Graffiante, sarcastico e impietoso. Uno sberleffo amaro e dissacrante, una satira feroce nei confronti di una società sbagliata che ormai mostra tutti i suoi limiti. Questa “vecchia scassata borghesia” che non ha neppure bisogno di un film come questo perché è ormai soltanto la parodia di se stessa! Vecchi con i capelli biondo platino, vecchie tutte rifatte e rugose, cafoni arroganti e spocchiosi, puttanoni da combattimento memorabili, fra le quali manca soltanto la Santanchè, uno scenario davvero imbarazzante, pieno di troie che battono il tamburo. Questa gente, le sigarette, le spegne nel caviale.

E ancora, novantenni completamente rincoglioniti con “fidanzate” ventenni giunoniche dalle quali si aspettano solo un pompino. (e qui non ho potuto non pensare a Berlusconi)
Abbronzature ridicole, labbra gonfiate, tentativi disperati e patetici di nascondere l’avanzata inesorabile della vecchiaia, ovviamente senza riuscirci. E per contro, si assiste ai salti mortali che fanno i dirigenti dell’hotel per soddisfare le richieste più bizzarre di questa clientela d’elite sempre pronta a escogitare qualsiasi scorciatoia pur di fare valanghe di soldi in modo illegale, mentre un pinguino scorrazza per i corridoi dell’hotel per la gioia degli ospiti che ostentano una finta tenerezza nei suoi confronti. Il tutto sottolineato da musichette sarcastiche e ironiche scelte in modo geniale.

La satira di Polanski non risparmia nessuno, neppure Vladimir Putin. Si assiste tristemente a scene di una ignoranza cosmica mischiata a ottusa superstizione per il millennium bag, Nostradamus e la fine del mondo che, ovviamente, si rivelarono solo una bufala fra le tante.

Vorrei davvero che quegli esimi recensori e stroncatori del film (prima di averlo visto) mi spiegassero dove vedono l’accostamento fra il film di Polanski con i cinepanettoni. Si intuisce facilmente che si tratta di un tentativo di denigrare un film che si intuiva volesse scagliarsi contro un certo ceto. Ma saranno in grado di capire le allusioni, i riferimenti, i piani di lettura che si sovrappongono? No, sicuramente no. Questi restano solo in superficie!

Si tratta di un film necessario per evidenziare dove sta dirigendosi questa società capitalista che identifica il denaro col proprio unico scopo di vita. Gente avida e sovrappeso proprio come la società abnorme che li ha generati.

A mio avviso potrebbe essere anche un omaggio al cinema grottesco del grande Marco Ferreri. In alcune scene ci avrei visto bene perfino le sorelle bandiera di Renzo Arbore.

La panoramica finale sui resti infiniti di quel cenone osceno, sembra paragonabile a un campo di battaglia senza vincitori, ma soltanto vinti. Vinti da una vita sbagliata che non ritornerà mai.
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« immagine » Avevo urgenza di vedere il nuovo film di Roman Polanski sia per la stima incondizionata che ho per lui da una vita, e del quale potrei citare tanti films capolavoro, ma anche per la strana coincidenza delle numerose recensioni negative che mi era capitato di leggere sul web prima anc...
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05/10/2023 16:09:32
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UN ABBRACCIO INFINITO

28 settembre 2023 ore 16:16 segnala


Non ti chiedo una storia d’amore,
sarebbe troppo bello, io lo so bene.
Vorrei soltanto perdermi nel tuo sguardo.
Seguire il profilo del tuo viso in controluce.
Associare finalmente la tua voce a un volto.
Tuffarmi, avido, nei tuoi capelli spettinati.
Fermare il tempo, raccontarci fino al midollo.
Poi confidarci i sogni, le paure ed i segreti.
Abbandonarci ad un abbraccio infinito.
Bisticciare per stabilire qual è la nostra canzone.
E di colpo ridere e giocare, come due bambini.
Rincorrerci sulla spiaggia, all’ora del tramonto.
Inciampare in un bacio, coperto dalla sabbia.
Poi sfiorarci piano, desiderarci, prenderci.
Mischiare i nostri odori, coi respiri affannati.
Passare a un dialogo più intimo e sussurrato.
Stordirci e ubriacarci di coccole e carezze.
Immaginarci vecchi, ma ancora insieme.
Per un attimo scordarci perfino i nostri nomi.
Inventarne di nuovi, parlandoci in spagnolo.
E poi vederti ridere, lo spettacolo più bello!
Chiudere tutto il mondo fuori. Soli tu ed io.
Io non ti chiedo una storia d’amore.
Alla mia età, lo so, sembra impossibile!
Forse dovremmo solo lasciar fare alla vita.
Magari la nostra storia inizia proprio così!


(liberamente ispirata a un breve post in bacheca,
di un utente del quale non ricordo più il nick.)
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« immagine » Non ti chiedo una storia d’amore, sarebbe troppo bello, io lo so bene. Vorrei soltanto perdermi nel tuo sguardo. Seguire il profilo del tuo viso in controluce. Associare finalmente la tua voce a un volto. Tuffarmi, avido, nei tuoi capelli spettinati. Fermare il tempo, raccontarci fi...
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28/09/2023 16:16:55
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APPARIRE

30 agosto 2023 ore 20:34 segnala


La brutale uccisione a calci di una capretta, ad Anagni, ad opera di un feroce gruppo di giovani deve far riflettere, e molto.
E’ troppo facile liquidare l’inumano accaduto dicendo che si trattava di ragazzacci, forse ubriachi.
Io credo invece che questi giovani 18enni (come troppi altri, purtroppo) sono il prodotto dell’attuale società.
Non sono loro da mettere sul banco degli imputati !
Il loro comportamento si spiega con un’educazione sbagliata impartita loro dai genitori, dalla scuola, dalla televisione, dalla società.
Proviamo a domandarci perché hanno agito così? - e non parliamo di ragazzini, ma di maggiorenni ! - Hanno filmato l'insensato gesto e poi postato sul web.
A mio avviso hanno semplicemente risposto all’omologante imperativo della società dell’immagine: volevano “apparire” sui social.
Si arriva al paradosso che non ha neppure importanza per quale prodezza si finisca sulla rete.
L’importante è esserci, quasi fosse il passaporto per sentirsi in vita.

Benvenuti nel terzo millennio!
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« immagine » La brutale uccisione a calci di una capretta, ad Anagni, ad opera di un feroce gruppo di giovani deve far riflettere, e molto. E’ troppo facile liquidare l’inumano accaduto dicendo che si trattava di ragazzacci, forse ubriachi. Io credo invece che questi giovani 18enni (come troppi a...
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30/08/2023 20:34:46
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LE DOMANDE DI ERIKA

27 giugno 2023 ore 18:39 segnala
Io già da bambina mi domandavo spesso
perché la gente fingesse. Come fa anche adesso.
“Mamma, perché quello ha fiamma sul cappello e baffi neri?”
“Perché è un tutore dell’ordine, Erika, te l’ho detto ieri!”
“Perché papà veste in giacca e cravatta di colori opposti?”
“Sottolinea il suo ceto e non si confonde coi sottoposti.”
“Ma è così che si confonde, portando una divisa.
Più li guardo e più sembrano statue di ghisa!”

Col tempo, purtroppo, anch’io feci l’abitudine.
Ma prima mi sentivo fra martello e incudine.
Non riuscivo davvero a distinguere il vero
dal falso e non mi aiutava certamente il clero:
“Mamma, perché quell’uomo ha gonna e abiti neri?”
“Perché è il nostro parroco, Erika, te l’ho detto ieri!”
“E perché anche un giudice si cammuffa a quel modo?”
“Per ricordare agli altri che è una persona ammodo.”

“E perché si atteggiano sempre tutti, estate e inverno?”
“Per uniformarsi al prossimo ed evitar lo scherno.”
“Allora son schiavi del giudizio altrui, son conformisti.
Non voglio essere come loro, son troppo tristi!
“Perché le donne si truccano e camminano su un piedistallo?”
“Per abbagliare meglio, e potersi aggiudicare un gallo.”
“Perché tutti hanno la pelle coperta da tatuaggi di ordinanza?”
“Perché hanno capito che la vita è solo una grande danza
di maschere obbligate a recitare e condannate a fingere.
E’ questo il solo modo per poter, il successo, stringere.”

“Ma non sono spontanei neanche nudi davanti al mare!”
“Ricorda Erika: l’importante è solo ciò che appare.”
“Perciò indossano maschere e non sono mai se stessi?”
“Si, bisogna assumere un ruolo e non sembrare perplessi.”
Ora dormo sulla collina. Qui son tutti in nero.
Ma ora almeno è logico, siamo in un cimitero!
Ora che ci penso gli uomini si abituano a tutto
ma non capiscon che fingendo, vestono la vita a lutto.
È proprio vero, che viviamo in un eterno carnevale
pieno di maschere. Per distinguerle non c’è un occhiale.


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Io già da bambina mi domandavo spesso perché la gente fingesse. Come fa anche adesso. “Mamma, perché quello ha fiamma sul cappello e baffi neri?” “Perché è un tutore dell’ordine, Erika, te l’ho detto ieri!” “Perché papà veste in giacca e cravatta di colori opposti?” “Sottolinea il suo ceto e non si...
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27/06/2023 18:39:44
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