COMFORT ZONE

22 dicembre 2023 ore 03:45 segnala


“Nauseata da richieste squallide e ripetitive? Annoiata da una chat che ha fatto il suo tempo? Con like, emoticon e termini contratti non si riesce a comunicare. Anche la società dell’immagine ha fallito, trasformandoci in automi che rispondono solo a pochi imput, perchè “L’essenziale è invisibile agli occhi”! Inoltre i social sono ormai inquinati da soggetti che ispirano una giustificata diffidenza, e questo impedisce di aprirsi all’altro. Il modo migliore per entrare in contatto con un’altra persona è ascoltare la sua voce. Niente può rivelarci di più: il tono, l’estensione, perfino le pause. Una foto non riuscirà mai ad immortalare l’essenza più autentica di ognuno di noi. La vista può ingannare o darci una visione parziale. A chi non è già accaduto? Preferisci l’udito anche tu!
Così come non ha senso farsi guidare soltanto dall’attrazione fisica (parlo per entrambi i sessi). Si sa che è proprio questo il principale motivo di tanti divorzi. Puntare tutto sul sesso non basta. Riuscire a comunicare profondamente con un altro essere è una delle sensazioni più belle della vita, ma proprio per questo è cosa rara, che bisogna inseguire e affinare lentamente nel tempo.
Se hai voglia di conversare civilmente, per conoscerci un po’ per volta, ti do il mio numero in privato. Potresti chiamarmi col tuo numero occultato in modo che non potrei disturbarti oltre, se non lo vorrai. Saremo amici, amanti o solo conoscenti? Chi può dirlo? Il web ci offre un potenziale illimitato, che senso ha stare lì ad offendersi e litigare?
I miei interessi sono tanti: musica, viaggi, libri, natura, il biliardo e la fotografia. Ma anche e, soprattutto, ampia disponibilità ad accoglierne di nuovi, i tuoi! Ti aspetto.”

Mi capitò di leggere quest’annuncio una sera, era passata mezzanotte, su una chat dove mi affacciavo con crescente diffidenza per la presenza sempre più frequente di fake, troll, gente volgare, sempre pronta ad aggredire e offendere. Fui colpita innanzitutto dalla citazione dal “Piccolo Principe” che adoravo fin da bambina ma, devo ammetterlo, anche dal messaggio stesso che sostanzialmente condividevo e che mi suonava accorato, come di una persona che affidasse a quelle parole la sua ultima opportunità.

Insomma, mi sembrava “autentico”. Volli credere che quell’uomo fosse diverso dagli altri e lo contattai sulla chat. Inizialmente mi mostrai titubante anche se ero già decisa ad accettare la sua proposta e chiamarlo al telefono, perché anch’io mi considero una tipa auditiva.

Mi chiamo Gemma, ho 39 anni e vivo in un piccolo paesello dimenticato nel sud del Salento. A volte mi sembra di immaginarlo completamente immerso in un grande acquario sigillato dal quale è ormai impossibile scappare. Proprio per questo le chat rappresentano per me, da parecchio tempo, una vera via di fuga. Una boccata di ossigeno. Almeno così riesco ad evadere con la fantasia!

La monotona vita del paese mi dà una sensazione di soffocamento crescente in un labirinto fatto di conformismi, perbenismi, ipocrisie, regole non scritte ma rispettate in modo categorico da tutti i miei concittadini di ogni sesso, età e ceto sociale, ed anche da me stessa – lo confesso - tanto da farmi mancare letteralmente l’aria. Davvero non vedevo via di uscita per cui, ultimamente, mi sentivo molto più disponibile alle novità, agli imprevisti e perfino al rischio – chat comprese - pur essendo una ragazza molto responsabile, mio malgrado.

E poi - in effetti - col numero occultato non rischiavo niente e mi sarei tolta il dubbio di capire se la sua tesi fosse giusta: si può, soltanto da una voce al telefono, percepire molto più di com’è fatta un’altra persona? Intendo più che da una foto o uno scambio di battute in chat. “Atipico”, questo era il suo nick, aveva 45 anni e viveva nella vicina Lecce, anche se era originario di Matera. Sulla chat si sbracciò nel tentativo di convincermi a chiamarlo, e in questo non si differenziava affatto da tutti - dico tutti - gli altri uomini. Adulatori, bugiardi e grandi maiali. Tutti uguali, li conoscete meglio di me!

Ma, come ho già detto, io volevo provare. Forse era la Gemma ribelle (quel briciolo di ribellione che ancora era sopravvissuta alla mia rassegnazione cronica) che mi spingeva a farlo. E poi, non so se sia successo anche a voi di incrociare una persona in chat, e di sentire da subito che tutto è diverso dal solito. Percepire nettamente che, con quella persona, è come se vi conosceste da sempre, che avete tanto da raccontarvi, da condividere, insomma sentire che c’è qualcosa di insolito che vi accomuna. Ma non necessariamente qualcosa di positivo. È come un corto circuito che vi attraversa entrambi e che esplode e vi travolge in modo incontrollato. Probabilmente mi avete fraintesa. Non parlo soltanto di attrazione sessuale, ma di una scarica a livello mentale, perfino prima ancora di esservi scambiati le foto. Non so se mi capite…

Un’urgenza di comunicazione tenuta a freno per chissà quanto tempo e che deve essere soddisfatta proprio con quella persona e in quel preciso istante. Una necessità di confronto, ma anche di scontro. Un bisogno perfino di far volare dei ceffoni, se ce ne fosse la possibilità. Ma non vi siete mai visti e forse non vi vedrete mai. Quindi gli schiaffi li mettiamo da parte, almeno per il momento. Parlo di una connessione talmente viscerale, da scatenare, nei giorni a seguire, sempre senza che ci sia mai incontrati, scompensi a livello gastro intestinale! Non sto scherzando. Un bisogno di affermare la propria verità, ma anche il sogno irrealizzabile di riuscire a far ragionare l’altra persona domandandosi, al contempo, perché ci interessi tanto far cambiare opinione a un perfetto sconosciuto. Perché in altri casi, in tanti altri casi, si è lasciato perdere dopo solo due minuti? E invece quel nick, quell’anonimo nick privo perfino di una misera foto, riesce a catturare la nostra attenzione in modo così assoluto, totalizzante? A me è capitato un paio di volte e vi assicuro che si arriva a star male! Quella sera, per me, fu proprio così. Vi racconto come andò…

Indossai gli auricolari e lo chiamai. Questo mi avrebbe permesso di ascoltare ogni minima sfumatura della sua voce. Quando le nostre prime parole si incrociarono avvertii subito che quella sintonia che avevo avvertita già in chat non era sparita ma, anzi, si era amplificata! Ormai era passata l’una di notte, e la sua voce profonda, sussurrata e quasi ironica mi sembrava di averla accanto, di conoscerla da sempre. Ricordo che la prima cosa che mi disse fu: “Noi siamo animali, Gemma! Per questo non mi piacciono le chat, perché impediscono di guardarsi negli occhi, ma anche di accarezzarsi, di annusarsi come fanno gli animali.” Ammetterete che come esordio non fu proprio leggerino, ma non bastò a farmi desistere! Lui disse di chiamarsi Marco. Era privo di accenti dialettali, e questo mi piacque molto. Anch’io mi vanto di non averne. Ma quello che mi colpì maggiormente era la sua spontaneità. A tratti aveva dei modi anche molto diretti che un po’ mi disturbavano, ma d’altra parte proprio questi modi mi convincevano che non fosse l’ennesimo posatore seriale. Il web ne è pieno. E il mondo anche!

Infatti, come mi aveva promesso in chat, Marco iniziò a raccontare aneddoti che lo riguardavano, con una naturalezza sorprendente. Mi arrivò ad elencare conquiste fatte ovunque, perfino su un traghetto che lo portava in Turchia, durante un viaggio, anni addietro, quando era arrivato a dedicare una poesia in inglese ad una giovane turista che aveva vegliato per un’intera notte, sul ponte della nave. Fino a situazioni sempre più strane e romanzesche. Mi disse anche che aveva una web radio e aveva anche pubblicato tre romanzi. Questo mi fece sospettare che si inventasse anche tutte le storie che raccontava a me! Ma non volli interromperlo.

Alcuni aneddoti volevano sembrare divertenti e testimoniavano comunque (se non completamente inventati) una vita davvero interessante e fuori del comune, come peraltro diceva il suo nick. Su altri mi sembrava logico dubitare che fossero reali, ma ce n’erano altri ancora, molto privati e sofferti.

A volte mi sembrava di parlare con quel personaggio di un vecchio film di Carlo Verdone: “mi imbarcai su un cargo battente bandiera liberiana…." Ricordate? Lui era un turbine di ricordi e, soprattutto, un vulcano di emozioni! Quello che mi restava da capire era se fosse un pallonaro professionista, proprio come Manuel Fantoni !

Mi disse di provenire da una famiglia colta e benestante, di origini nobili, ma molto rigida e tradizionalista e questo gli aveva quasi impedito di vivere i suoi primi trenta anni di vita, con una serie di divieti assurdi imposti dalla madre. Col risultato che poi era esploso e nei successivi trenta aveva fatto di tutto, quasi per recuperare il tempo perduto, riuscendoci in pieno, a giudicare dai suoi racconti.

Dunque lui aveva circa sessanta anni! Mi chiederete perché non misi subito giù il telefono, visto che io non ne ho ancora quaranta e oltre tutto lui, nel profilo, ne dichiarava quindici in meno. È difficile rispondere. Innanzitutto perché lo ammise subito, senza difficoltà, giustificandosi col fatto che lui era in chat principalmente per dialogare e, dichiarando l’età reale, si condannava a dialogare con coetanei dai quali si sentiva lontano anni luce, proprio perché “atipico”. E poi perché sentivo, grazie proprio alla sua voce, che ero entrata in contatto con una persona genuina, autentica, che aveva un gran bisogno di parlare e di comunicare senza atteggiarsi. E infine, proprio per la differenza di età, speravo di poter apprendere e lasciarmi guidare da lui. Sentivo il bisogno di una figura maschile, di riferimento.

Al tempo stesso, Marco mi promise di “voler ascoltare anche il mio romanzo” e, chiamatemi scema, questo mi conquistò definitivamente. Confessiamolo! A quale donna non piace parlare di sé, avere qualcuno che ci ascolti pazientemente mentre ci raccontiamo e ci confidiamo? Sognai che con lui avrei potuto avere quello scambio profondo che mi era sempre mancato con mio padre. La sua voce aveva una gamma espressiva molto vasta che andava da un tono ironico, molto coinvolgente, alle affermazioni perentorie in merito a politica e attualità, fino a quando sussurrava sottovoce in modo davvero eccitante. Ma soprattutto il mio sesto senso femminile sentiva che quell’uomo nascondeva qualcosa che lo faceva soffrire e che ancora non mi aveva riferito. Io la chiamavo “la sua luna nera”.

La sera successiva ci risentimmo ancora. Tornai ad indossare gli auricolari per chiamarlo col numero occultato. Tutto questo stava diventando un rito che mi conquistava. O era già una forma di dipendenza? Sicuramente mi regalava una sensazione di libertà perché mi faceva volare con la fantasia e sentivo di essere entrata in un ambito se non vietato, almeno rischioso che era per me una novità assoluta. Ma penso che aiutasse anche Marco a raccontarsi a trecentosessanta gradi, perché era come se parlasse ad uno specchio. Infatti non mi risparmiava dettagli anche molto intimi, con estrema naturalezza. Io mi limitavo ad ascoltare cercando di dissimulare il mio interesse alle sue parole. Non volevo fare la figura di una paesanella. In ogni caso parlava quasi soltanto lui, e questo a me stava più che bene.

Quella sera mi raccontò un episodio che, a suo dire, era stato fondamentale per raggiungere quel riscatto e quello scardinamento delle regole familiari delle quali mi aveva parlato. Era stata una relazione che aveva avuto, da giovane, con una ragazza sposata. Quella violazione delle norme, durata più di due anni, era quello che Marco aspettava da sempre per creare una frattura definitiva con la sua vita precedente, tutta piena di regole e prescrizioni integerrime, e gli aveva regalato una sensazione di libertà e di trasgressione a cui aspirava da sempre.

Tutto questo mi venne istintivamente di riferirlo anche a me stessa e alla vita da emarginata cronica che facevo nel mio paesello. Forse avevo anch’io bisogno di uno scossone!? Di voltare pagina, finalmente. Ma come fare? Lui, quasi leggendomi nella mente, mi disse che dovevo trovare il coraggio di uscire dalla “comfort zone” che, sentiva, mi ero creata e che può finire per rendere schiavi di circoli viziosi. Non mi crederete, ma questo lo disse pur non sapendo praticamente niente di me e della mia lunga emarginazione. Ma come faceva a leggere a distanza?

Mai affermazione fu più vera. Era esattamente quello che volevo sentirmi dire da una vita. Mi spiegò che, per molti di noi, si tratta di un meccanismo inconscio che ci porta a cercare sicurezza in gesti e abitudini ricorrenti che, però, ci impediscono di fatto di vivere pienamente. Affermò che anche la frequentazione delle chat dimostrerebbe questa volontà di nascondermi dalla realtà. Devo riconoscere che riusciva a leggermi dentro! Ma come l’aveva capito, visto che io avevo detto così poco di me stessa? Promise che mi avrebbe aiutata a liberarmi dalle invisibili catene che questo meccanismo inevitabilmente ci impone. Non gli risposi, ma intimamente lo speravo davvero!

Sentivo che Marco aveva ragione ma, ovviamente, non commentavo. In effetti io mi ero progressivamente isolata dal mondo sostanzialmente per la paura di affrontare la vita, il confronto con gli altri e tutti gli imprevisti cui sarei andata incontro. Una paura generalizzata di fallire e soprattutto il timore del giudizio degli altri paesani. Quello che mi colpiva maggiormente, era che lui faceva queste osservazioni o mi raccontava le sue vicende passate non col tono di chi si vanta o di chi sale in cattedra, ma piuttosto con quello di chi vuole condividere la sua esperienza con una persona nuova, senza necessariamente stupirla. Quasi osservando se stesso dall’alto, dal di fuori, dall’esterno. Con nostalgia ma anche col rimpianto che si ha pensando a una vita ormai passata, quasi conclusa. Ma perché lo pensava? Infondo aveva solo sessanta anni. In ogni caso, raramente mi era capitato di interagire con una persona così “vera”, priva di ogni forma di autodifesa. Mi convincevo sempre più che non si trattasse di un posatore. Quello che mi raccontava l’aveva realmente vissuto. Ma allora perché continuava ad avere questa “luna nera”?

Anche la differenza di età non mi spaventava più, in fondo io volevo proprio una persona matura che in qualche modo sostituisse mio padre che avevo perso da ragazzina. Forse fu per questo che cedetti alle sue insistenti richieste di ricambiargli la fiducia dandogli il mio numero di cellulare: me ne sarei pentita? Dunque, ora non ero più protetta dall’anonimato. Lui poteva vedere il mio profilo WhatsApp con la foto del mio viso in primo piano, ma questo non mi spaventava, anzi mi eccitava. Quell’uomo mi stava insegnando un gioco nuovo, ed io volevo continuare a giocare con lui. Dove sarebbe riuscito a condurmi?

Un’altra sera mi raccontò di sue presunte prodezze nel mercato immobiliare che lo avrebbero portato a realizzare grossi guadagni apparentemente molto facili, in più di un’occasione. Acquistava immobili malridotti posizionati in luoghi strategici, li faceva ristrutturare alla buona e, a suo dire, era riuscito in più circostanze a rivenderli arrivando anche a raddoppiare o triplicare il prezzo pagato in fase di acquisto. Sospettai che anche questo potesse essere frutto della sua vulcanica fantasia, ma non ne avevo le prove e, soprattutto, volevo continuare quel gioco scellerato.

Fu a quel punto che diventò quasi prevedibile, perché mi propose di incontrarci come avrebbe fatto un qualsiasi bipede di sesso maschile. Altro che atipico! Mi invitò a vederci per un gelato e, al mio rifiuto, arrivò a dire che, se volevo rimanere in contatto con lui, dovevo fare qualche follia perché mi vedeva troppo quadrata! Ovviamente risposi che non dovevo subire ricatti, né superare prove per rimanere sua amica e lui replicò che quando mi sarei sentita pronta ad incontrarmi sapevo come trovarlo.

I nostri contatti si interruppero per qualche giorno, ma era innegabile che avesse l’abilità di farmi diventare curiosa di tutti i suoi racconti, delle esperienze che aveva vissuto nei suoi viaggi avventurosi. Insomma mi mancava e lo chiamai una sera: mi accolse dicendo che stava preparando dei falafel per cena. Io non sapevo assolutamente cosa fossero, mi informai su internet e scoprii che si tratta di polpette di farina di ceci e altri legumi, molto speziate, che si usano nel nord Africa e nel mondo arabo. Mi invitò anche ad andare a casa sua per assaggiarle, dandomi perfino l’indirizzo di casa! Ovviamente non ci andai, ma sentivo che con lui avrei voluto provare tutte le esperienze che i miei e la realtà provinciale nella quale ero cresciuta mi avevano sempre negato. Forse stavo trovando la voglia di uscire dalla comfort zone, come diceva lui?

Finchè una sera, mentre sembrava che continuasse a scherzare, mi rivelò di aver stabilito quello che lui stesso definiva un record in negativo: era vedovo pur non essendosi mai sposato. Inizialmente ne accennò con apparente distacco, invece poi compresi che era solo una maschera che usava per proteggersi. In realtà era soltanto di quello che desiderava parlarmi, forse fin dalla prima sera. Era quella la luna nera! Voleva liberarsi di questo peso assurdo, ed era talmente disperato che gli bastava farlo anche con una voce anonima, al telefono.

La sua voce subì una metamorfosi completa mentre mi riferiva che la sua compagna di una vita, Liliana, si era spenta due anni prima per un tumore e il suo ricordo continuava a tormentarlo così tanto che scorrendo il mio profilo sulla chat, aveva trovato analogie impressionanti, fisiche e culturali, fra me e lei. E si era addirittura convinto che io potessi essere la sua reincarnazione. Questo mi allarmò terribilmente. Mi spiegò che quando si arriva al bivio con un problema del genere, così reale, drammatico e non immaginario, che riguardi noi stessi o una persona a noi vicina, si arriva a riconsiderare tutto, quello che siamo stati, quello che potevamo essere e non siamo stati in grado di diventare. Insomma, fare un bilancio di come abbiamo speso il nostro tempo, come fosse un tesoro. Perché, in effetti, lo è anche se non ce ne rendiamo conto!

Lo abbiamo sprecato forse proprio perché abbiamo ingigantito problemi che non meritavano la minima attenzione. Eppure hanno occupato i nostri giorni, i nostri mesi, a volte degli anni interi e solo allora ci accorgiamo di aver sciupato la nostra stessa vita. Ma purtroppo questo lo capiamo tardi. Troppo tardi. Ed è a quel punto che veniamo presi da un’insensata ansia di vivere, ormai fuori tempo massimo. Sebbene pensassi che avesse ragione, queste precisazioni mi dettero fastidio perché mi sentii in qualche modo sotto accusa. Anch’io ero solita ingigantire problemi di nessuna importanza. Anch’io sentivo di avere una prospettiva limitata, come diceva lui. Ma ricordo che quella sera ero molto prevenuta. Infatti quando, a un certo punto, arrivò a chiamarmi “dolcezza” stavo per mettere giù. Per fortuna o purtroppo non riuscii a farlo.

Lui proseguì dicendomi che, dalla scomparsa di Liliana, soffriva di insonnia e mi raccontò che con la sua compagna avevano l’abitudine di dormire abbracciati, e che da quando l’aveva persa, divorata dal male, in modo così fulminante, lui si era inventato un sistema per illudersi di continuare a percepire il caldo abbraccio di Liliana. Indossava tutte le notti, perfino in estate, una fascia elastica sul torace, per ingannare se stesso e credere che fosse ancora lei a stringerlo così forte. Soltanto in questo modo riusciva ad addormentarsi. Mi raccontò che ancora poteva sentire la scossa che riuscivano a regalargli gli abbracci di lei che arrivavano improvvisi, alle spalle, anche durante il giorno, con un trasporto e un’autenticità indescrivibili. Mi sembrava quasi di percepirli anch’io! Mi fece una pena infinita, ma non sapevo davvero come aiutarlo!

Tutto questo mi colpì talmente tanto perché mi sembrò insensato tutto quel dolore che si era abbattuto su persone in fondo giovani e in parte capii che inevitabilmente lui cercasse di gestirlo a modo suo, quel dolore. Continuavo, comunque, ad averne profondo rispetto, ma la mia posizione si faceva sempre più delicata e imbarazzante. Sentivo di invadere la sua privacy, anche se era proprio lui a consentirmi di farlo. La presenza di Liliana, ormai, era quasi tangibile, fra noi. Cominciavo quasi ad esserne gelosa. Comunque mi sembrava chiaro che quell’uomo avesse bisogno di un aiuto che non ero in grado di dargli io.

Spesso mi domandavo se qualche altra ragazza avesse accettato il suo invito di mettere da parte la chat e preferire il telefono, e con quali risultati. Ero proprio io ad ispirargli tutte quelle confidenze così private o era lui ad essere completamente libero da filtri e riservatezze? Mi sembrava come prigioniero dei suoi ricordi, era come se avesse rinunciato a qualsiasi forma di difesa preventiva. Insomma mi sembrava che anche lui si fosse rifugiato in una comfort zone, come diceva di me. Nel suo caso la confort zone era il suo passato. Un passato ingombrante e difficile da dimenticare. Marco era prigioniero dei suoi ricordi!

I nostri appuntamenti notturni continuavano e devo confessare che per me erano ancora piacevoli. È difficile dire perché, probabilmente proprio perché lui non era mai prevedibile. Passava da aneddoti divertenti a rivelazioni che io trovavo imbarazzanti sulla sua condizione attuale di vedovo inconsolabile. Devo riconoscere che quasi mai fece delle battute per insidiarmi e, soprattutto, non ricorreva mai a doppi sensi che io odio, sebbene si soffermasse anche a farmi delle confidenze private che avrei preferito evitare. Stava cioè confermando di essere atipico come del resto diceva il suo nick name. Finchè una sera mi salutò dicendo: Non so tu, ma io sento che mi sto affezionando a te! Fui completamente spiazzata, balbettai qualcosa e misi giù allarmata come se mi avesse minacciata a mano armata! Ero sconvolta.

Questo incrinò nuovamente il nostro feeling notturno. Nelle sere successive ci scontrammo diverse volte su qualche sciocchezza che poi entrambi ingigantimmo a dismisura anche perché io ero sempre più imbarazzata a raccogliere le confidenze di uno sconosciuto. Ma d’altra parte era sempre lui a parlare, poteva fermarsi quando voleva! Forse aveva capito che io non l’avrei mai sostituito con la narrazione della mia vita. Finchè una sera si fermò.

In un primo momento pensai che fosse caduta la linea, ma non era così. Lui era in linea ma non parlava più, nonostante le mie ripetute domande. Fino a quando sentii piano, in lontananza, un pianto sommesso. Cercai di consolarlo, ma mi sentii in una situazione veramente imbarazzante dal momento che, di fatto, eravamo soltanto due perfetti sconosciuti.

Da quell’episodio non ci sentimmo più per diverse sere. Lui non si faceva sentire e non vedo perché avrei dovuto chiamarlo io, anche se non ho mai gradito le cose lasciate a metà. Si, lo confesso che un po’ mi mancava. Mi mancava la sua voce calda e anche il suo fiume di racconti a ruota libera. Ma anche la sua teoria della “confort zone”.

Con sorprendente nonchalance, una sera mi richiamò rivelandomi a bruciapelo il proposito di suicidarsi. E sembrava anche determinato a metterlo in pratica subito, forse perfino avendo me in linea! Lo disse con una naturalezza sconvolgente. Come se stesse parlando di mordere una mela. Nessuna incertezza. Nessuna incrinatura nella voce. Ovviamente rimasi spiazzata, non sapevo davvero cosa dire. Mi informò che c’era un’unica circostanza che lo avrebbe potuto far desistere: incontrarmi quella sera stessa di persona! Era l’una e mezza di notte. Mi diede appuntamento presso un noto bar che resta aperto tutta la notte. Cercai di dirgli che non era assolutamente possibile, ma insistè a lungo spiegandomi che, arrivati a quel punto, non aveva senso fermarsi, semplicemente perché non lo volevamo né lui né io. Finchè fui costretta a rivelargli che io sono una suora e mi collegavo dal convento dove ero rinchiusa da ben nove anni.

A quel punto Marco disse che era tutto chiaro: era quella la comfort zone che aveva sempre percepito dalla mia voce, per tutte quelle sere. Mi esortò a scappare quella notte stessa dal convento. Dovevo farlo non per lui, che era solo una voce che dal buio mi aveva fatto vedere la luce, ma per me stessa. Dovevo rimettere in gioco la mia vita, darmi una nuova opportunità, ricominciare, lontana dalle paure che mi paralizzavano da tempo. Non so dire cosa scattò nella mia mente, in quel momento. Solo pochi minuti dopo mi ritrovai a scavalcare, con non poche difficoltà, il muro di quel dannato convento che mi aveva rubato la giovinezza. Infatti mi strappai pure la tonaca che si impigliò a un ramo di un albero. Mi sembrò una metafora del destino che si opponeva alla mia rinascita. Ma ormai ero più che decisa. E fu così che mi ritrovai a correre libera verso di lui, in piena notte, per le strade di una città che neanche conoscevo. A volte ci si trova a fare cose che non avremmo mai neppure immaginato. E sono sicuramente le più belle. Ero come trascinata da una forza invisibile che mi guidava verso quel bar che Marco mi aveva indicato e che, peraltro, non ha affatto una bella fama, soprattutto di notte. L’avrei trovato davvero lì, ad aspettarmi? Ci sarebbe stato quell’abbraccio tanto desiderato e temuto? Si sarebbero finalmente incontrate le nostre solitudini disperate?

Ancora non avevo la risposta a queste domande ma di sicuro, correndo per quelle strade nel cuore della notte, col vento che mi scompigliava i capelli, sentivo che Marco mi aveva aiutata a riprendermi la mia libertà. E non è poco! Il futuro mi aspettava con le braccia spalancate e di questo gliene sarei stata grata per sempre!
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« immagine » “Nauseata da richieste squallide e ripetitive? Annoiata da una chat che ha fatto il suo tempo? Con like, emoticon e termini contratti non si riesce a comunicare. Anche la società dell’immagine ha fallito, trasformandoci in automi che rispondono solo a pochi imput, perchè “L’essenzial...
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22/12/2023 03:45:14
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Commenti

  1. unvecchietto 22 dicembre 2023 ore 15:21
    per come sono fatto difficilmente riesco a leggere un blog molto lungo,
    questo invece mi ha incuriosito e sei riuscita a farmi arrivare alla fine.
    La mia non piu' giovane eta' non mi permette di capire a pieno il suo significato,
    e' un romanzo ? un fatto realmente accaduto ?
    qualunque esso sia lo trovo molto bello,
    anche io sono dell'avviso che sentire una voce sia molto piu' importante che il vedersi,quasi fondamentale tra persone che non si conoscono,
    da una voce puoi capire tutto, anche il suo carattere , da un immagine solo la parte esteriore.
  2. illaka 22 dicembre 2023 ore 15:41
    Io anche se non suora scappavo a gambe levate da uno cosí
  3. twin.soul 22 dicembre 2023 ore 21:44
    @unvecchietto Complimenti per la costanza nel leggere fino alla fine! Ma anche per aver intuito che si tratta di un capitolo di una serie che sto scrivendo, tutti sull'alienazione e l'incomunicabilità. Comunque ti assicuro che, qua e là, si sorride anche!
  4. twin.soul 22 dicembre 2023 ore 21:47
    @illaka Ahahahahahahah Non hai il gusto di sperimentare situazioni nuove?
  5. illaka 23 dicembre 2023 ore 08:55
    Di certo di nuovo qji in questo essere cosí contorto non ci trovo nulla, anzi...
  6. anonim72 23 dicembre 2023 ore 16:27
    Finale inaspettato, storia che si legge tutta d'un fiato. Bello trovare qui bravi scrittori. Una piacevole scoperta per chi, come me, ama scrivere, Complimenti!!!
  7. twin.soul 23 dicembre 2023 ore 16:53
    @anonim72 Grazie! Per me scrivere è una valvola di sfogo, un modo per capire me stesso, una specie di autoanalisi. Mescolo sempre frammenti autobiografici con parti completamente inventate. Anche questa storia è scritta così. Sicuramente farò un giro nel tuo blog, è così raro trovare qualcuno che ami scrivere!
  8. illaka 09 gennaio 2024 ore 14:49
    Magari riuscissi anche io a entrare nel mio blog dal PC.... me lo permette solo dal cellulare e da qui impossibile scrivere se non brevi post o messaggi.
  9. ninfeadelnilo 01 febbraio 2024 ore 02:30
    Innanzitutto grazie della visita, sei sempre benvenuto nel mio blog.
    Bella storia, soprattutto immedesimarsi donna e suora per un uomo non è facile. Complimenti. In quanto al vedersi di persona o sentire la voce non penso sia più facile intuire le sfumature. Forse si, ma dipende da ciò che si cerca. Io per esempio riesco a capire tra le righe le sfumature di una personalità. Certo se si è abili a camuffare per chissà quali scopi alcuni ci riescono ma con personalità fragili che hanno bisogno di contatti umani e carenze affettive. Mi piacerebbe conoscere il finale della storia. Ma la suora cosa ha trovato poi? Un palo... o la gioia di vivere entrambi.
    Volevo andare a dormire dopo aver scritto un mio post e solo fare qui un saluto ma la storia mi ha catturata. Buonanotte :batadorme
    Raffy :fiore
  10. twin.soul 01 febbraio 2024 ore 02:59
    @ninfeadelnilo Grazie a te per la visita e soprattutto del commento che preferisco a un like. Grazie anche per l'apprezzamento, ovviamente. Sulla modalità di conoscenza non siamo d'accordo. Per come sono fatto io, sono convinto di essere in grado di intuire molto più di una persona attraverso una telefonata che da una foto o anche mezz'ora in chat. Ma è un fatto soggettivo.

    Il finale è volutamente aperto ma, come avrai intuito, vuole suggerire alla suora che anche se non incontrerà il misterioso Marco, avrà comunque vinto la sua partita perchè si sarà riappropriata della sua vita.

    In realtà l'intera storia è dedicata a una mia amica che non è una suora ma si comporta come se lo fosse. E' tutta una metafora per incitarla a spiccare il volo e vivere!
  11. ninfeadelnilo 01 febbraio 2024 ore 12:48
    Per fortuna che non la pensiamo uguale, sarebbe monotono. Forse lo scambio di opinioni è più ricco per capire chi la pensa diversamente da noi. Alla base di tutto il rispetto e accettare le diversità. Se la tua amica si comporta da suora perché cambiare il suo modo di essere?
  12. twin.soul 01 febbraio 2024 ore 13:10
    @ninfeadelnilo Semplicemente perchè si nega la vita, non conosce la libertà, rinuncia a tutto, si è segregata in circoli viziosi restrittivi a 360 gradi. Perchè sostanzialmente ha paura di vivere. E questo non è assolutamente naturale, non si tratta di avere opinioni diverse. Infatti ci sta male. Potrei raccontarti degli aneddoti davvero sconcertanti. Anzi, come sto appurando di recente, credo proprio che il suo comportamento sia frutto di imposizioni esterne, da parte dei suoi, che possono essere accettabili a 16 anni, ma non oltre!
  13. ninfeadelnilo 25 febbraio 2024 ore 14:50
    Forse con il tempo maturerà l'idea, ognuno ha i propri tempi e comunque aiutarla forse può servire. :-)
  14. twin.soul 25 febbraio 2024 ore 16:24
    Sicuramente ognuno ha i suoi tempi e non immagini quanto vorrei aiutarla, ma è passato più di un anno e non so davvero più cosa fare perchè rifiuta non soltanto il sesso ma qualsiasi interazione sociale. Lei vive su WhatsApp e sulle chat. Ha letteralmente paura di vivere nella realtà.
  15. twin.soul 25 febbraio 2024 ore 16:34
    E non ho detto che lei ha passato i 40 anni !
    Questo racconto l'ho scritto per provare a dirle con una metafora quello che non riesco a dirle a voce. Lei non sa che l'ho pubblicato e non sa neppure che ho un blog.
  16. ninfeadelnilo 25 febbraio 2024 ore 19:13
    ...insisti chi la dura la vince
  17. LaFormaDell.Acqua 01 aprile 2024 ore 18:39
    saltando qualche passo verso la fine ho letto il post, lunghissimo.
    hai scritto al femminile descrivendo te stesso in terza persona, interessante.


    p.s: letti anche parte dei commenti, quindi so che è "dedicato"
  18. twin.soul 01 aprile 2024 ore 19:45
    @LaFormaDell.Acqua Sì, è un racconto che ho dedicato a una persona che definirei, senza cattiveria, "un caso umano"!
  19. Fiore.diCampo2012 01 dicembre 2024 ore 12:35
    Bello, bello davvero quessto tuo racconto. Anche io amo raccontare momenti di vita ma non sono brava comme te a scrivere.
    Tornerò a leggerti.
  20. twin.soul 01 dicembre 2024 ore 16:37
    @Fiore.diCampo2012 Ti ringrazio ma, come ho già scritto, l’ispirazione mi è venuta da una storia vissuta realmente, poi romanzata con la fantasia. Sono convinto che niente riesca ad essere fecondo e sorprendente quanto la semplice realtà. Un abbraccio.

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