"Quartetto sovietico (adagio con brio)" - Racconto

06 gennaio 2025 ore 16:02 segnala



Mosca, aprile 1958

Essere disturbato mentre provava lo aveva sempre mandato su tutte le furie, ma quando ti manda a chiamare il segretario del Partito, un uomo per giunta fresco di nomina a Presidente del Consiglio dei Ministri dell’Urss, non ci sono molte storie da fare. Per questo David Oistrakh fendeva le navate dei corridoi del Cremlino con un fondo di soggezione mascherata dalla dignità che ti dà comunque l’essere uno dei violinisti più acclamati al mondo. E dalla serenità di essere un buon amico del potente tizio che ti manda a chiamare con urgenza un’ora prima di cena, il che non guasta.
Il soldato della guardia che lo accompagnava lo lasciò nella grande sala d’attesa che introduceva nell’ufficio del compagno Segretario, la cui porta era chiusa e il passo sbarrato da due guardie in grande uniforme che la piantonavano. Nella sala però stavo seduti sui divanetti, lontani tra di loro, due individui silenziosi. Il primo lo riconobbe subito, perché quella faccia occhialuta da burocrate dimesso apparteneva in realtà a uno dei più grandi geni della musica del suo tempo: Dimitri Shostakovich. Riconosciutolo, gli andò subito incontro a braccia aperte: «Shosty, che gioia rivederti! Ma che ci fai anche tu qui? Forse il segretario sta radunando un’orchestrina per la cena?». «Sempre allegro tu David, amico mio», rispose Shostakovich alzandosi in piedi e ricambiando l’abbraccio, proseguendo poi a voce sussurrata «Guarda lì chi c’è, Mikhailov…». Allora Oistrakh mise a fuoco l’altro personaggio, seduto in un divanetto parecchi metri più in là, e riconobbe il Ministro della Cultura dell’Urss. Sciogliendosi quindi velocemente dall’abbraccio del collega musicista andò incontro all’importante personalità, un ex giornalista prestante e belloccio, che nel frattempo si era già messo in piedi aggiustandosi la giacca, in attesa di ricevere l’omaggio del celebre violinista.
- «Compagno Ministro, perdonami ma non ti avevo riconosciuto subito. È un piacere rivederti, anche se di certo non mi aspettavo di farlo qui stasera. Sei stato convocato anche tu dal Segretario, come me?».
- «Io, assieme al compagno Shostakovich, ho chiesto udienza urgente al Segretario per una questione politica molto seria», risposte il Ministro dandosi un tono di gravità.
- «Allora non dev’essere la stessa cosa che riguarda me, cosa c’entro io con la politica?», rispose Oistrakh.
Il rumore della porta dell’ufficio del Segretario che si apriva interruppe la conversazione. Apparve sulla soglia, in mezzo alle guardie che facevano mezzo passo di lato per lasciare l’accesso, il Segretario del Pcus Nikita Krusciov: «Ah, siete già tutti qui. Entrate tutti e tre, compagni». Mikhailov si voltò verso Oistrakh mormorandogli: «La politica riguarda tutti, compagno».
I tre entrarono con circospezione, uno alla volta nell’ufficio del Segretario, che li accolse con viso serio e chiuse la porta alle spalle urlando di non essere interrotto per nessun motivo alle guardie sulla porta. Quindi con passo lento e scrutando i convenuti, si diresse verso la sua enorme scrivania affollata di pile di documenti, sulla cui più alta campeggiava un pregevole busto di bronzo di Lenin. «Vi prego compagni, prendevi liberamente qualcosa da bere dal mobile bar laggiù e poi accomodatevi pure dove più vi aggrada, voglio sia una conversazione tra amici». I tre ospiti andarono silenziosamente al carrello degli alcolici guardandosi negli occhi con circospezione e versandosi ognuno un bicchiere di liquore di proprio gusto. Poi Shostakovich andò a sedersi sulla poltrona alla sinistra della scrivania, mentre Mikhailov si accomodò su quella di destra, poggiando con ostentazione di familiarità il gomito sulla scrivania per sorseggiare il suo cognac francese. Oistrakh invece rimase in piedi, nel mezzo della sala con un bicchiere di vodka in mano pieno fino all’orlo, cercando di capirne di più sulla situazione prima di fare qualsiasi movimento imprudente.
«Dunque compagni – esordì il Segretario Krusciov – riassumiamo bene la situazione, se ho capito bene. Abbiamo organizzato questo grandioso Concorso musicale internazionale per giovani pianisti e violinisti intitolato a Tchaikovsky. Arrivano musicisti da tutto il mondo per celebrare il genio musicale russo. Ora, dopo dieci giorni di concerti è tempo di proclamare il vincitore e il qui presente Presidente della Giuria, l’illustrissimo Dmitri Shostakovich, riverito maestro nonché segretario della Lega dei Compositori Sovietici, insiste che il primo premio debba essere dato a un pianista americano. Ripeto: un americano. D’altra parte, il qui presente Ministro della Cultura, il compagno Nikolai Mikhailov, sostanzialmente dice che piuttosto che far vincere un americano preferirebbe farsi togliere tutti i molari senza anestesia. Ora io dico a voi: davvero non abbiamo giovani pianisti russi bravi abbastanza per fargli vincere questo concorso?»
«Certo che ne abbiamo – rispose Shostakovich senza indugio – ne abbiamo di bravissimi come Shtarkman, o Vlassenko. Ma questo americano, Van Cliburn si chiama, è più bravo di loro. I suoi concerti sono stati indiscutibilmente migliori, e la giuria è unanime in questo giudizio».
«Più bravo o meno bravo – lo interruppe il Ministro Mikhailov – questo a noi non importa. Il concorso ha come obiettivo l’esaltazione del genio creativo russo e deve far trionfare l’Unione Sovietica anche nell’esecuzione. L’anno scorso abbiamo mandato in orbita lo Sputnik, questo ci rende trionfatori nel campo della tecnologia nei confronti degli americani. Ma ora non possiamo permetterci di perdere il primato sull’arte, con un pianista americano, un texano lungagnone rosso di capelli e con la faccia allampanata poi. E lo chiamiamo a Mosca per farlo trionfare a casa nostra? Nossignore, non possiamo permettercelo. L’Unione Sovietica deve rimanere saldamente e indiscutibilmente il faro nelle arti per i popoli del mondo, e mi permetto di dire che per questa causa ben più importante è dovere di ogni buon comunista sacrificare il proprio gusto personale. E su questo sono sicuro che il Maestro Shostakovich dovrà essere d’accordo con me, lui che ha scritto fior di composizioni immortali per celebrare le imprese dell’Armata Rossa nella grande Guerra Patriottica…»
«E su questo il Ministro ha ragione – lo interruppe a sua volta Krusciov, tentando di stimolare una risposta altrettanto decisa e persuasiva da parte del musicista – Possiamo noi, in tutta coscienza, lasciare che il nostro gusto personale oscuri le finalità della rivoluzione socialista? Possiamo lasciar oscurare la grandezza dell’Unione Sovietica dalla vittoria di un americano a Mosca?»
«Compagno Segretario – rispose sorridendo Shostakovich – sapete benissimo che negli scorsi decenni i tirapiedi di Stalin mi hanno accusato ovunque di comporre musica retorica e apolitica, mi hanno dato del controrivoluzionario e di scrivere musica lontana dai gusti del popolo. Ora Van Cliburn ha già vinto, e lo ha scelto proprio il popolo. Alla fine dei suoi concerti in queste serate il pubblico lo ha ricoperto di calore con applausi come raramente ne ho sentiti, e vi assicuro che ne ho sentiti nella mia carriera. Provate a dire che Cliburn non è il vincitore, e ditelo a tutti i moscoviti che hanno lanciato fiori sul palco sommergendolo, facendo interrompere il concorso per mezz’ora per pulire tutto. È il popolo che ha scelto prima di noi giurati. E del resto come mai potremmo negarlo noi, che abbiamo visto per la prima volta Tchaikovsky eseguito su un palco non solo con la più alta tecnica, cui comunque i nostri pianisti non sono secondi a nessuno, ma con una passione e un trasporto che incantano e, soprattutto, che evoca in pieno il vero spirito del romanticismo russo, una cosa che lo farà volare nel mondo. E, signori, è questo invece il vero fine a cui dobbiamo guardare».
«Cliburn sconfigge la Russia – interruppe di nuovo Mikhailov, ribadendo di nuovo seccamente la frase sottolineandola nell’aria con un dito – Fissatevi bene in testa questa frase perché sarà questo il titolo della copertina del Time e di tutti i giornali occidentali la prossima settimana. Sarà così che lo spirito del romanticismo russo sorvolerà l’Occidente, se noi ci lasciamo fregare dai sentimenti. Del resto lo faremmo anche noi, a parti inverse. Ma proprio noi non possiamo essere così sciocchi da mettere i nostri nemici in posizione di vantaggio, altrimenti noi non avremo più sicurezze e loro invece prenderanno slancio. E dopo cosa dovremo aspettarci nel futuro, che gli americani arrivino sulla luna prima di noi? O che ci tolgano anche la corona di campioni del mondo di scacchi?»
Su questo interrogativo calò un silenzio infastidito che Oistrakh, ancora in piedi e senza aver nemmeno sorseggiato il suo bicchiere di vodka, ruppe timidamente rivolgendosi direttamente al Segretario: «Perdonami Nikita, ma io che ci faccio qui?»
«David, amico mio…» gli rispose Krusciov sconsolato, mentre guardava i due contendenti osservarsi ingrugniti. «Brutto ceffo di un ebreo ucraino che non sei altro, non ti vergoni a bere da solo? Portami un bicchiere e metti sulla scrivania la bottiglia della vodka». Rivitalizzato dalle affettuose angherie dell’amico, il violinista prese una bottiglia di Moskovskaya e la mise sulla scrivania, su cui posò anche il suo bicchiere intonso. «Bevi Nikita, dal bicchiere però, non dalla bottiglia. Non farti riconoscere per quel somaro di contadino ucraino che sei…» rispose Oistrakh disinvoltamente, tra le occhiate stupite di Mikhailov e Shostakovich. Al che Krusciov venne scosso da una risata fragorosa, afferrando la bottiglia, versandosene in gola davvero una robusta sorsata a collo e tirando fuori un forte sospiro di soddisfazione: «… questo sì che è comunismo, non come il cognac francese da aristocrazia decaduta che bevi tu, Mikhailov». Il Ministro, sentitosi colto in flagranza di controrivoluzione, poggiò il suo bicchiere sulla scrivania allontanandolo con circospezione. «Comunque David – riprese il filo il Segretario - tu sei qui perché tre anni fa ti abbiamo dato il permesso di andare negli Stati Uniti per un giro di concerti, e ci sei stato per tre mesi, quindi voglio sapere da te se gli americani saranno così stronzi da prendere una loro vittoria al Concorso Tchaikovsky come un nostro atto di debolezza. Tu li hai conosciuti, li ha visti da vicino…»
«Ecco compagni – cominciò timidamente il violinista – vi dirò: sono stronzi proprio come noi». La battuta suscitò l’ilarità fragorosa di Krusciov, e strappo un’imbarazzata risata anche a Mikhailov, mentre Shostakovich tentò di contenere il sorriso fingendo maldestramente di pulirsi gli occhiali. «Però vi dico una cosa – riprese con più sicurezza Oistrakh – E cioè che la musica non è un prodotto, non è granturco o rame, bensì una riflessione dello spirito umano che tende al sublime divino. La musica, come ogni arte, è il battere d’ali dell’uomo. È il mezzo che ogni uomo ha per volare oltre ogni vincolo di censo, di razza, di condizione, di religione, di pensiero politico. Se ingabbiamo la musica in un processo mentale razionale, o in materiali disegni terreni, la uccidiamo. Pertanto se avete intenzione di ucciderla continuando con questi discorsi, lasciatemi andare a casa a farmi confortare dal mio violino».
E nel silenzio che ne seguì, tutti guardarono Mikhailov sfidandolo a mostrare il coraggio di ribattere ad una riflessione così alta. Tuttavia, notando l’imbarazzo del compagno di governo, Krusciov gli riavvicinò il bicchiere di cognac: «Finiscilo il tuo bicchiere di cognac controrivoluzionario, che costa un occhio della testa all’erario». Poi si rivolse verso Shostakovich dicendogli con timbro risoluto: «Questo Cliburn è davvero il migliore? Allora fatelo vincere! Per il concorso di violino abbiamo problemi anche lì?». «No compagno – rispose soddisfatto il compositore – vincerà Klimonov, è bravissimo ed un allievo del qui presente maestro Oistrakh. Ora permettimi di andare, perché fra mezz’ora proclameremo i vincitori», e così dicendo si congedò stringendo le mani a tutti, per ultimo e più cordialmente allo sconfitto Mikhailov. Mentre Shostakovich usciva dalla sala, Krusciov si rivolse proprio a Mikhailov chiedendogli se avesse qualcosa in contrario in merito alla sua decisione. «Sei tu il capo, compagno – rispose il Ministro – Metteremo in atto una sorta di piano B: diffonderemo alla stampa la notizia che Van Cliburn ha studiato pianoforte alla Juliard da Rosina Lhevinne, che a sua volta si è formata al Conservatorio di Mosca, cosa del resto inoppugnabile. In questo modo faremo passare che l’influenza culturale russa è arrivata anche in America ed è venuta a mostrare i suoi frutti proprio a Mosca».
«Ottimo piano B – risposte Krusciov – sicuramente meglio del piano C», e così dicendo tirò fuori dal cassetto un fascicolo di fogli dattiloscritti intestati del Kgb che allungò sotto lo sguardo del Ministro. «Spero apprezzerai la delicatezza – proseguì Krusciov – Se li avessi tirati fuori davanti a Shostakovich, ti avrebbe accoltellato: dunque tu hai chiesto al comitato per la sicurezza la possibilità di mettere fuori causa questo pianista americano la serata finale facendogli rompere una mano, o addirittura ammazzandolo in un incidente stradale? Ti ricordo che le fotografie di Stalin le abbiamo tolte dai muri già da qualche anno. Non sono più quei tempi, a maggior ragione se andiamo a toccare una persona che è comunque un ospite nel nostro Paese, anche se americano. E comunque certe soluzioni devono passare da me, prima». Mikhailov iniziò a tremare dall’imbarazzo e gli sembrò una liberazione quando il Segretario lo congedò invitandolo a raggiungere la premiazione del Concorso Tchaikovsky portando gli auguri e i complimenti del governo sovietico ai vincitori. Quando il Ministro si chiuse la porta dell’ufficio alle spalle, Krusciov invitò finalmente a sedere il povero Oistrakh, che era rimasto in piedi tutta la sera.
- «Caro David, non sai che rogna sia il potere. A volte non capisco proprio perché ho complottato tanto per ottenerlo».
- «Nikita, a me non la racconti, avrà sicuramente i suoi vantaggi. Però si stava meglio una volta, ti ricordi la guerra? Eravamo più giovani. Ci siamo conosciuti a Stalingrado, nell’inverno del ‘42».
- «Io ero commissario politico. Bombardamenti e fame. Ti ricordi quella sera al teatro dell’opera, tu eseguivi il concerto per violino e orchestra di Tchaikovsky, e non ti sei fermato nemmeno quando hanno suonato le sirene dell’allarme aereo».
- «Non si è alzato nessuno nemmeno dal pubblico, eravate tutti immobili ad ascoltarci, io e l’orchestra. C’era solo la musica. Alla fine del mio assolo a metà del primo movimento, quando entra l’orchestra, ho alzato lo sguardo sul pubblico ed avevate tutti le lacrime agli occhi».
- «C’era davvero solo Tchaikovsky nell’aria. Ed eravamo tutti a un passo dalla morte. La musica fa proprio miracoli».
- «Davvero, caro Nikita. Noi eravamo a Stalingrado, ma il povero Shostakovich stava a Leningrado: 900 giorni di assedio a morire di freddo e a mangiare topi, quando se ne trovavano. E nonostante tutto questo va a comporre la sua Settima Sinfonia, la sinfonia di Leningrado. È davvero un grand’uomo quello lì».
- «Non che noi a Stalingrado banchettassimo col caviale... Ma sai David, invece quel dongiovanni di Mikhailov dov’era durante la guerra?»
- «No, dov’era?»
- «Qui, a Mosca. Faceva il segretario dell’Unione delle leghe dei giovani comunisti. Ha passato la guerra chiuso al caldo in un ufficio pieno di ragazzine in fiore che gli facevano da segretarie…»
- «E si è perso tutto il meglio della guerra. Si è sacrificato, poveretto».
E risero come matti rivangando il passato, tutta la sera.

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« immagine » Mosca, aprile 1958 Essere disturbato mentre provava lo aveva sempre mandato su tutte le furie, ma quando ti manda a chiamare il segretario del Partito, un uomo per giunta fresco di nomina a Presidente del Consiglio dei Ministri dell’Urss, non ci sono molte storie da fare. Per questo...
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06/01/2025 16:02:39
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