Quel maledetto caffè ci stava mettendo troppo tempo a salire.
Chissà quanto l’avrà pressato…
Accendo una sigaretta, lo guardo, è di spalle.
Poso l’accendino sul tavolo di cristallo, mi alzo e vado verso di lui, mi avvicino così tanto da appoggiare il seno sulla sua schiena, mi metto sulle punte e con il mento appoggiato alla spalla, cerco di sbirciare al di la.
“E’ pronto?”
…
“Allora?”
“Sì, sta uscendo, forse il fuoco era troppo basso”
“Bene….”
Lo versa in due tazzine, me ne porge una, allungo la mano destra e allo stesso tempo avvicino la sinistra per prendere il suo polso che stringe l’altra metà della tazzina.
Alza il viso e mi guarda smarrito in chissà quali pensieri.
Sposto le mani in cerca del piano cucina per appoggiare quella tazzina che ormai la sua parte l’ha fatta, continuo a tenere il suo polso fissandolo negli occhi; lo trovo e insieme molliamo la tazzina sul ripiano.
Avvicino le labbra al suo orecchio…
…
“Facciamo un gioco…”
E’ li immobile che fissa il muro del corridio aspettando che continui quella frase.
(adoro quando si illude di ricevere altre parole…)
Indietreggio, lo tiro con me nella stanza che per i successivi 45 minuti sarà la sua condanna, il salotto.
“Sta fermo qui vicino alla finestra”
“Cosa vuoi fare?”
“Sshhh”
Lascio il polso e gli volto le spalle.
“Tira giù la lampo del vestito, con delicatezza”
Esegue il gesto senza proferir parola, così, quando ha fatto, mi giro e scostando il vestito dalle spalle lo faccio scivolare sul corpo, facendolo poi, cadere a terra.
Mi avvicino al divano, mi siedo comodamente di lato con le gambe accavallate e per qualche minuto lo fisso li immobile alla finestra.
“Vieni qui”
Si avvicina.
“Di più, più vicino…”
“Ora abbassati, sulle ginocchia”
Prendo la sua nuca con la mano destra e…
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